L’Europa pronta a lanciare un Action Plan on Social Economy. L’Italia risponderà presente?

Finirà che torneremo a fare il tifo per l’Europa. Dopo il raffreddamento (o peggio l’ostilità) degli ultimi tempi, che ha messo in crisi la tradizionale propensione degli italiani ad apprezzare le istituzioni di Bruxelles in quanto surrogato dei fragili governi nostrani, il pendolo potrebbe tornare a farci apprezzare la nostra collocazione nell’Unione Europea. Il virus ha indebolito i sovranismi, mostrando che senza un’azione coordinata con gli altri paesi è molto più complicato contenere i danni prodotti dalla pandemia. Vedremo nelle prossime settimane come si chiuderà la partita sul bilancio europeo e sulle misure straordinarie per fronteggiare la fase post emergenza Covid-19. Ma dopo la mossa a sorpresa di Francia e Germania, a favore di un piano di 500 miliardi a fondo perduto per aiutare l’economia europea, e soprattutto dopo che la Commissione europea ha rilanciato con un fondo di 750 milioni di euro, tra contributi e prestiti, che ha di fatto raddoppiato il bilancio europeo (e di cui l’Italia sarà tra i principali beneficiari) si è aperta una finestra per il rilancio del disegno comunitario. Se ci sarà un merito della sentenza con cui la corte costituzionale tedesca ha sollevato dubbi sul quantitative easing e sui poteri della Banca Centrale Europea, sarà quello di avere provocato una reazione di segno opposto. Tanto che anche l’umore degli italiani nei confronti di Bruxelles potrebbe presto cambiare di nuovo.

Non sarà un percorso facile. Ma se il gruppo di traino è composto dagli stati che contano di più, per dimensioni e per volume delle rispettive economie, è possibile che si inneschi un meccanismo che non può essere fermato. Potremmo ricordare il coronavirus come l’agente che ha scatenato quel processo di ulteriore integrazione europea che sembrava senza speranza. Non solo. Poiché il riavvicinamento sta avvenendo sotto la spinta di una crisi che da sanitaria è diventata rapidamente non solo economica ma anche sociale, la risposta europea non può essere timida su questo secondo versante. Dopo che per anni al “pilastro sociale” delle politiche UE è stato riservato un ruolo minore, quasi decorativo, l’impatto dei tre mesi che hanno sconquassato le nostre vite potrebbe finalmente cambiare la prospettiva con cui si guarda al futuro della società europea.

Un indizio in questo senso è stato l’intervento nei giorni scorsi del commissario Nicolas Schmit al Geces, il Gruppo di esperti della commissione europea sull’economia sociale. Con un discorso senza toni di circostanza, Schmit ha messo da parte la vaghezza dei suoi predecessori. Del resto, conosce il tema e prima di diventare commissario europeo si era già fatto notare per il suo impegno. A nome della Commissione UE ha chiarito che le imprese sociali sono considerate protagoniste non marginali dello sviluppo europeo: perciò avranno più spazio nella futura programmazione. L’economia sociale sarà pienamente integrata nei programmi comunitari e nel Multi-Annual Financial Framework comunitario, entro il quale sarà assunta come priorità per la gestione dei fondi di coesione.

Questo impegno sarà sancito da un piano che la Commissione si è impegnata a definire entro la seconda metà del 2021. Nome di battesimo: Action Plan on Social Economy. Riprenderà alcune premesse della precedente Social Business Initiative, promettendo di imparare dagli errori del passato e di trarre le conseguenze dall’esperienza di questi mesi. Nelle intenzioni di Schmit, non nascerà nelle stanze della Commissione ma da un’ampia consultazione pubblica. E non sarà materia di competenza verticale, bensì coinvolgerà tutte le principali policy su cui l’apparato comunitario è all’opera. Quindi, sarà un piano d’azione sull’economia sociale allineato con le priorità politiche della Commissione europea, e in particolare con l’obiettivo di quella just transition che detterà la strategia comunitaria dei prossimi anni. Affiancando gli obiettivi del Green Deal, che in un primo momento sembravano catalizzare totalmente l’attenzione della Commissione a guida Von der Leyen.

Ci aspettano mesi interessanti. Perché quando il negoziato sul bilancio sarà concluso a Bruxelles bisognerà evitare che gli Stati membri, ai quali spetta la traduzione operativa, diluiscano o tradiscano il nuovo orientamento comunitario. Schmit ha già scritto a tutti i governi per sollecitarli a fare la loro parte. Auguriamoci che i destinatari non impilino le sue lettere nella posta che può aspettare.

Articolo pubblicato originariamente su Vita.it

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