Mercoledì 14 dicembre 2022, presso la sala degli specchi di Unioncamere, a Roma, si è tenuto un importante seminario nel corso del quale sono stati presentati i risultati principali di una ricerca condotta congiuntamente dall’Ente camerale e dalla Fondazione Terzjus. Lo studio, dal titolo Le nuove imprese sociali. Tendenze e prospettive dopo la riforma del terzo settore, è stato pubblicato nella serie dei quaderni di Terzjus e curato da Luigi Bobba (presidente di Terzjus), Antonio Fici (direttore scientifico di Terzjus) e Claudio Gagliardi (vicesegretario generale di Unioncamere)*. Oltre ai tre autori, hanno preso parte all’incontro alcuni degli esperti che hanno redatto i capitoli di questo pregevole lavoro di investigazione scientifica: Paolo Venturi (direttore di Aiccon), Gabriele Sepio (segretario generale di Terzjus), Gianluca Salvatori (segretario generale di Euricse). Al tavolo di discussione, abilmente moderato da Maria Carla De Cesari (caporedattore de il Sole 24 ore) sono stati invitati anche Stefano Granata (presidente di Federsolidarietà), Alessia Di Gregorio (vice capo dell’unità “Prossimità, economia sociale e industrie creative”, facente capo alla DG Grow della Commissione UE), Giuseppe Tripoli (segretario generale di Unioncamere), e Pierluigi Sodini (responsabile servizio Registro Imprese e Anagrafi camerali di Unioncamere). Gli interventi dei relatori offrono molti spunti di riflessione sull’evoluzione dell’economia sociale, a circa cinque anni dall’approvazione del D.lgs. 3 luglio 2017, n.112 sulla nuova disciplina delle imprese sociali, inquadrata nel Codice del Terzo Settore (CTS – D.lgs. 3 luglio 2017, n. 117). Le comunicazioni dei partecipanti al workshop saranno presto raccolte sul sito Web della Fondazione Terzjus. In questo breve articolo vengono per sommi capi anticipate tre fra le evidenze più significative emerse dalla presentazione.
- La riforma stimola la crescita e la diversificazione dell’economia sociale. Dall’analisi desk condotta sui dati in possesso di Unioncamere risulta che sono 3.438 le Nuove Imprese Sociali (NIS) nate dopo l’entrata in vigore del D.lgs 112/2017, pari al 17% del totale di quelle attualmente attive e iscritte nell’apposito registro delle Camere di commercio territoriali (poco meno di 20.000). In solo un quinquennio le NIS sono perciò diventate una componente rilevante dell’economia sociale, un settore economico formato prevalentemente da cooperative sociali (ex legge 381 del 1991), emerse gradualmente nel nostro paese dagli anni Ottanta dello scorso secolo, con l’obiettivo di contribuire allo sviluppo del welfare a livello locale (non solo in campo socio-assistenziale e sanitario), attraverso modalità di produzione di servizi che coniugano solidarietà ed efficienza, mettendo la persona al centro delle prestazioni di sostegno con i suoi bisogni. È interessante sottolineare che la riforma ha già prodotto un effetto tangibile in questo ambito del terzo settore: se le cooperative sociali rappresentano la quasi totalità (il 97%) delle imprese sociali costituitesi prima del D.lgs. 112/2017, esse scendono al 75,3% fra le organizzazioni fondate negli ultimi cinque anni. Ciò vuol ire che la cooperazione, pur continuando ad essere il maggiore incubatore di questa forma di impresa, non lo esaurisce; varie tipologie di impresa sociale previste dal nuovo dettato normativo si sono affiancate alle cooperative sociali; poco meno di un quarto (24,7%) degli enti istituiti che hanno preso corpo a seguito del decreto legislativo del 2017 sono società a responsabilità limitata, altre società di capitali, società cooperative non sociali, società di persone, fondazioni o associazioni. Come ha sottolineato Luigi Bobba, pur riconoscendo la centralità delle cooperative sociali, il D.lgs 112/2017 e lo stesso CTS hanno arricchito le modalità con cui si può fare impresa nel mondo della solidarietà organizzata, offrendo una cassetta di attrezzi innovativi agli Enti del Terzo Settore (ETS), senza chiudere le porte alla possibilità di creare società miste nella cui compagine sociale figurano il settore pubblico, attori di mercato e diversi ETS (Odv, Aps, Fondazioni, ecc.). Anche Stefano Granata, basandosi sull’esperienza accumulata nella centrale di Confcooperative, è persuaso del fatto che le NIS non debbano essere messe in contrapposizione alla cooperazione sociale: sono le stesse cooperative sociali, molto spesso, a dar vita alle NIS quando vogliono generare innovazione nelle comunità locali. Ad ogni modo, come ha evidenziato Claudio Gagliardi, l’economia sociale è un comparto assai rilevante, sia sul versante occupazionale sia perché generano una quota di PIL superiore a settori ben più conosciuti e promossi come la moda o l’agroalimentare.
Si diversifica poi il bacino d’azione dell’impresa sociale. Come ha osservato Antonio Fici l’articolo 2 del D.lgs 112/2017, nel definire le attività di interesse generale, estende notevolmente il perimetro d’azione delle NIS: non solo i servizi socio-assistenziali, la cura sanitaria e l’inserimento lavorativo delle persone più fragili (disabili, ex detenuti, dipendenti cronici, ecc.), ma anche l’educazione, l’istruzione e la formazione professionale, la salvaguardia dell’ambiente, le attività a carattere ricreativo e culturale, il turismo sociale e l’housing sociale, il commercio equo e solidale, il microcredito e l’agricoltura sociale. La norma che ha rivisitato l’economia sociale ha recepito e codificato cambiamenti in atto nella nostra società, creando nuovi terreni di sviluppo dove le imprese sociali possono sperimentarsi innescando progettualità ed esperienze inedite. Paolo Venturi ha in proposito parlato di apertura di nuove filiere produttive da parte delle NIS, non di rado ad opera di enti della cooperazione i quali, grazie ad assetti organizzativi leggeri che non ricalcano più il modello ad alta intensità di lavoro tipico delle cooperative sociali, riescono ad attivare processi trasformativi radicali. Le NIS possono in tal senso dare un contributo sostanziale alla coesione delle comunità locali; si stanno incamminando verso l’innovazione, per quanto non possano ancora godere appieno degli incentivi fiscali contenuti nella riforma, per i quali si attende ancora il via libera da parte della Commissione Europea. In tal senso, l’economia sociale sembra esprimere una carica di dinamismo economico e solidaristico che prescinde dalla fiscalità di vantaggio contenuta nella riforma, come ha rilevato acutamente Gabriele Sepio. Un dinamismo che potrebbe conoscere una forte accelerazione quando le due più importanti norme fiscali del dlgs. 112/17 – la deduzione del 30% sul capitale versato e l’azzeramento delle imposte sugli utili interamente reinvestiti – saranno parte integrante del nostro ordinamento.
L’economia sociale è al centro dell’agenda politica europea (e non solo). Gli scenari internazionali sono in rapida evoluzione e piuttosto inquietanti: dal crack dei subprime negli Stati Uniti (2008) alla guerra in Ucraina (2022), passando per la crisi del debito sovrano in Europa (2012-14) e per la pandemia (2020-2021). In quindici anni il susseguirsi di guerre, emergenze sanitarie, ambientali e umanitarie, shock economici ha incrinato la fiducia nel neoliberismo: gli automatismi di mercato non riescono più a garantire un benessere diffuso su scala planetaria. Aumentano le diseguaglianze sociali, gli effetti del cambiamento climatico diventano sempre più drammatici, un conflitto sanguinoso sta scuotendo l’ordine geopolitico mondiale, destabilizzando in particolare l’Europa. Gianluca Salvatori si è soffermato sul riorientamento delle politiche della UE: da qualche anno a questa parte si sta assistendo ad un riallineamento delle strategie e degli investimenti dell’Unione, non più centrati sul rafforzamento del mercato unico, quanto piuttosto guidati dall’obiettivo di costruire un pilastro sociale capace di mitigare gli squilibri sociali che si sono aggravati in modo particolare negli anni venti del terzo millennio, minando la tenuta del modello europeo. In tale ottica, l’economia sociale gode di una popolarità crescenti nelle determinazioni delle istituzioni comunitarie, essendo concepita come un soggetto sociale che pone attenzione alle risorse ambientali, alle esigenze delle comunità e ai vissuti delle persone, redistribuendo gli utili dell’attività economica, attraverso criteri di democraticità interna. Questo cambiamento di prospettiva è ben visibile nel Piano d’azione sull’economia sociale della Commissione Europea per gli anni 2021-2030, illustrato nelle sue linee essenziali da Alessia Di Gregorio. Negli anni a venire Bruxelles intende puntare seriamente sulle imprese sociali, partendo dalla constatazione che queste sono un ecosistema dove si può coniugare l’innovazione, la prossimità fra persone e la transizione ecologica. L’economia sociale può in tal senso dare un contributo fondamentale allo sviluppo della democrazia, contaminandosi in modo virtuoso con le forze migliori del libero mercato, come ha suggerito nelle conclusioni del convegno Giuseppe Tripoli. In questo la nuova normativa sulle imprese sociali, e più in generale il CTS, possono offrire utili strumenti per chi ha ancora a cuore le sorti progressive della società.
Per chi fosse interessato il volume può essere scaricato gratuitamente sui siti ufficiali delle due organizzazioni che hanno promosso e realizzato l’indagine: https://terzjus.it e https://www.unioncamere.gov.it/
Cristiano Caltabiano