La produttività misura anche gli obbiettivi di interesse generale

A cura di Gianpaolo Sbaraglia e Gabriele Sepio

Premi di produttività e welfare come strumenti di valorizzazione dei dipendenti del mondo non profit. Due normative, quelle sui piani welfare e produttività, che trovano un punto di incontro con la recente riforma del Terzo settore.

I chiarimenti da parte dell’agenzia delle Entrate (circolare 28/2016), in ordine alla applicabilità dell’aliquota sostituiva del 10% sui premi di produttività anche al Terzo settore, aprono la strada a nuove opportunità per gli enti non profit. Queste realtà, infatti, hanno la possibilità di applicare strumenti pensati per il mondo profit ma che, se adeguati alla natura dell’ente, possono costituire una valida chance per valorizzare il trattamento economico dei dipendenti e i comportamenti virtuosi. È necessario, però, che vengano rispettati tutti i presupposti stabiliti dal legislatore (articolo 1, comma 182e seguenti della legge 208/2015). Questo significa che i dipendenti in forza in un ente del terzo settore possono fruire dell’aliquota ridotta sui premi di produttività purché siano stati individuati e raggiunti obiettivi incrementali compatibili con la natura giuridica del medesimo ente.

Una precisazione che ha un notevole impatto per due ragioni. In primo luogo, si ha una valorizzazione dell’efficienza e della qualità dell’apporto fornito dai dipendenti. In secondo luogo, l’aumento della produttività incide sullo svolgimento di attività di interesse generale e può favorire la diffusione di comportamenti che hanno una ricaduta positiva sulla collettività e sul territorio.

Effetti positivi, quelli dei premi di produttività, in grado di incentivare il lavoro dei dipendenti, che in maniera analoga possono riscontrarsi anche, in senso ampio, nei piani di welfare aziendale, ovvero nell’assegnazione di benefit da parte del datore in favore dei propri dipendenti con l’intento di migliorare i luoghi di lavoro e conciliare il lavoro con la vita privata. Servizi che spesso hanno finalità sociale (asilo nido, assistenza ai non autosufficienti) cui è riservato per il dipendente che li riceve un regime di esenzione fiscale e contributiva (articolo 51, commi 2 e 3, del Tuir) e che possono essere erogati anche nel contesto del Terzo settore.

Le realtà non profit, infatti, non solo potranno – in esecuzione di un piano di welfare – assegnarli ai dipendenti ma anche offrirli a lavoratori del mondo profit. Si pensi, ad esempio, al caso del dopo scuola organizzato da un’associazione di volontariato o a un corso sportivo da parte di un’associazione sportiva dilettantistica. Un aspetto, quello del welfare, molto interessante in considerazione del potenziale dello stesso espresso con il decreto Aiuti-bis (Dl 115/2022). Provvedimento che ha consentito l’innalzamento dell’esenzione dei fringe benefit assegnati ai dipendenti da 258,23 a 600 euro per il 2022, e che ammette la possibilità di vedersi rimborsate le bollette per le utenze domestiche. È quantomai evidente come la possibilità di plasmare tali strumenti profit sul Terzo settore potrebbe, tra l’altro, permettere di conoscere e – di conseguenza sostenere – le attività di interesse generale svolte dalle realtà del settore che si mettono a disposizione delle aziende per fornire servizi welfare. Un aspetto da non sottovalutare in considerazione dell’impatto che può avere sul territorio e sulla comunità.

[Articolo pubblicato su «Il Sole 24 Ore» il 6 Ottobre 2022]

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