Enti del Terzo settore e beni immobili confiscati alla criminalità organizzata

Il 30 luglio scorso, l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (sin d’ora, Agenzia) ha pubblicato un bando volto ad individuare gli enti collettivi cui assegnare direttamente e a titolo gratuito – ai sensi dell’art. 48, comma 3, lett. c-bis, del Codice Antimafia, introdotto dall’art. 18, comma 4, lett. b), della legge 161/2017 – determinati beni immobili confiscati in via definitiva, al fine di destinare i medesimi a finalità sociali. I corpi intermedi potenzialmente destinatari sono menzionati all’art. 48, comma 3, lett. c), del Codice Antimafia e sono accomunati dall’assenza di scopo di lucro: si tratta delle organizzazioni di volontariato, delle cooperative sociali, delle comunità terapeutiche, delle associazioni di promozione ambientale, nonché delle cooperative a mutualità prevalente. La disposizione normativa in questione, secondo l’Agenzia, va interpretata nel senso di un riferimento sostanzialmente agli Enti del terzo settore, richiamati oggi dall’art. 4 del Codice del Terzo settore.

Si tratta, nel complesso, di una peculiare modalità di assegnazione, ove emerge il ruolo centrale giocato dagli enti del Terzo settore per la crescita culturale e per lo sviluppo sociale del Paese: nelle premesse dell’avviso pubblico può leggersi come l’indizione abbia un carattere sperimentale, risultando finalizzata a dare piena attuazione allo strumento innovativo previsto dall’art. 48, comma 3, lett. c-bis del Codice Antimafia. Si sollecita, quindi, “un’ampia platea di riferimento, costituita – per la prima volta – dagli Enti ed Associazioni del privato sociale, chiamati ad elaborare progetti con finalità sociale, ‘calati’ ed incentrati sui beni confiscati posti a bando che saranno loro assegnati a titolo gratuito secondo modalità e criteri predefiniti”.

Tra i requisiti di ordine generale, prescritti per la partecipazione all’assegnazione dei beni immobili, concorrono: a) l’iscrizione negli albi o nei registri legalmente previsti; b) la previsione statutaria dello svolgimento di attività e servizi sociali coerenti con quelli oggetto della domanda di partecipazione; c) l’inesistenza di cause di esclusione dalla partecipazione a procedure pubbliche, secondo quanto previsto dall’art. 80 del Codice dei contratti pubblici.

Il requisito previsto alla lettera a) permette di valorizzare il regime transitorio enunciato dall’art. 101, commi 2 e 3, del Codice del Terzo settore: stante la perdurante assenza del Registro unico nazionale del Terzo settore (RUNTS), operano le norme previgenti ai fini e per gli effetti derivanti dall’iscrizione degli enti nei registri settoriali e, al contempo, l’iscrizione nel RUNTS si intende soddisfatta dall’iscrizione nei registri previsti dalle normative di settore.

Le finalità e i principi espressi nel Codice del Terzo settore agli artt. 1 e 2 rinvengono una  concretizzazione nel bando in rassegna: l’Agenzia intende avvalersi di procedure competitive informate ai canoni della trasparenza e della proporzionalità che permettano di giungere alla selezione dei “migliori progetti di riuso e rifunzionalizzazione” e consentano di rendere effettiva la coesione e la promozione sociale, la partecipazione, l’inclusione e la crescita della persona, in una prospettiva di sviluppo dei valori della sussidiarietà e della cooperazione. L’assegnazione diretta agli enti del Terzo settore, dovrà avvenire nel rispetto dei princìpi di trasparenza, pubblicità e parità di trattamento, ferma restando l’irriducibile destinazione sociale del cespite.

Attraverso l’istruttoria pubblica avviata dall’Agenzia si punta a valorizzare i beni confiscati, consentendo alle comunità pregiudicate dal fenomeno mafioso di poter godere delle strutture in questione. In tal senso, diviene centrale una valutazione delle progettualità che si fondi sull’idoneità tecnica in termini di out-put e di out-come, quale valore aggiunto per la comunità di riferimento, anche in chiave prospettica e potenziale (la durata minima dell’assegnazione è di dieci anni). Si innescherebbero, pertanto, processi di fruizione comune dei beni riallocati che transitano dal necessario coinvolgimento degli enti del Terzo settore, capaci di attivare un virtuoso processo cooperativo di crescita sociale. L’effettiva fruizione sociale e l’aumento di benessere collettivo generato dal riuso dei beni immobili confiscati legittima un eventuale (nonché unico) rinnovo decennale dell’assegnazione in uso dei beni. Viene, pertanto, esclusa la possibilità di rinnovo automatico, subordinando il medesimo al riscontro: a) della permanenza in capo all’assegnatario dei requisiti necessari per la partecipazione all’Avviso; b) del perseguimento delle finalità civiche, solidaristiche o di utilità sociale; c) del corretto impiego delle risorse pubbliche eventualmente attribuite.

Le aree in cui possono essere presentati i progetti di destinazione sono cinque – sociale (in senso stretto); salute e prevenzione; occupazione e ricerca; cultura; sicurezza e legalità – e appaiono pienamente compatibili con il perimetro delle attività di interesse generale perseguite istituzionalmente dagli enti del Terzo settore, così come delineate all’art. 5 del Codice del Terzo settore (peraltro, l’art. 3 dell’avviso in rassegna richiama espressamente le attività di interesse generale codificate). La partecipazione al bando lascia emergere il ruolo nevralgico degli enti del Terzo settore: questi ultimi costituiscono soggetti capaci di generare benefici sociali, supportando le comunità in cui si esplica l’attività in oggetto.

Nel senso di una decisa specializzazione del Terzo settore va, infine, interpretata la previsione dei requisiti tecnici per i soggetti partecipanti (art. 4): essi devono risultare costituiti da almeno tre anni e devono aver svolto nell’ultimo triennio un servizio identico, o quantomeno analogo, a quello oggetto della domanda di partecipazione.

Mediante l’affidamento diretto dei beni immobili a gli enti del Terzo settore si intende rinsaldare il legame tra il dovere istituzionale di recuperare e riallocare i beni illecitamente sottratti alla collettività e l’azione spontanea aggregata, posta in essere dagli enti del Terzo settore, volta al perseguimento del bene comune. Ciò, come ricordato sopra, dovrà avvenire nel pieno rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità e parità di trattamento e sulla scorta di una valutazione dell’impatto sociale generabile e generato: gli enti del Terzo settore possono sì godere di affidamenti diretti, ma ciò non determina un abbassamento dei livelli qualitativi delle prestazioni erogate né una concorrenza regolamentare al ribasso, quanto una valorizzazione del portato istituzionale in coerenza con il Codice del Terzo settore.

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