Enti del Terzo Settore: erogazioni liberali più sistematiche e organiche con il nuovo Codice

  1. Premessa;
  2. Il nuovo regime di detrazioni e deduzioni per le erogazioni liberali al Terzo settore;
  3. Adempimenti per fruire delle agevolazioni sulle erogazioni in denaro;
  4. Criteri di valorizzazione delle erogazioni in natura ed adempimenti per fruire delle agevolazioni;
  5. Confronto con le agevolazioni della L. 166/2016 (cd. Legge antisprechi);
  6. Efficacia dei benefici fiscali previsti dal Codice del Terzo settore per le erogazioni liberali.

Premessa

Beni e risorse provenienti da liberalità sono da sempre la fonte principale di sostentamento per gli enti non profit e proprio per questo la riforma punta ad a favorirne ed incrementarne l’afflusso introducendo all’art. 83 del d.lgs. 117/2017 specifiche detrazioni e deduzioni di imposta a favore di chi effettua erogazioni in denaro o in natura a favore degli ETS.

La disposizione si inserisce in un n più complesso schema di riforma dei benefici fiscali – comprendente anche il social bonus (art. 81 del medesimo decreto) e le agevolazioni relative alle imposte indirette ed ai tributi locali (di cui all’art 82) – ed ha il merito di riunire all’interno di un’unica disposizione norme agevolative che prima andavano rintracciate in atti legislativi diversi, conferendo alla materia sistematicità ed organicità. È il caso, ad esempio, delle agevolazioni previste nel Tuir (articoli 15 e 100), spesso destinate solo a determinate tipologie di enti non profit o vincolate a specifiche finalità di interesse generale, nonché dell’articolo 14 del D.L. n. 35 del 2005, meglio conosciuto come legge “più dai meno versi”.

Rispetto al passato, il rinnovato progetto abbraccia un novero di soggetti più vasto, riferendosi alle erogazioni liberali effettuate a favore di tutti gli ETS, incluse le cooperative sociali e le imprese sociali, con la sola eccezione di quelle costituite in altre forme societarie. Si supera in questo modo la rigida dicotomia tra enti non commerciali, meramente erogativi, ed enti commerciali, prettamente lucrativi, derivante dalla riforma fiscale degli anni ‘70 ma ormai non più attuale. Piuttosto, si premia lo svolgimento di attività di interesse generale nei settori indicati dall’art. 5 del CTS e dall’art. 2 del d.lgs. 112/2017 ed il costante reinvestimento degli eventuali utili o avanzi di gestione nelle finalità istituzionali.

Inoltre, la norma rafforza gli incentivi anche dal punto di vista oggettivo, risultando notevolmente più vantaggiosa delle similari misure contenute nelle disposizioni precedenti. Come vedremo, infatti, sul piano quantitativo vengono innalzate le soglie di detrazione (che passano dal 26% al 30% o 35%) ed eliminati i limiti di di deducibilità (prima fissati in 70mila euro per la “più dai meno versi”); mentre, con riguardo ai beni donabili, per la prima volta vengono previste medesime agevolazioni per le erogazioni in denaro e quelle aventi ad oggetto beni in natura, anche al fine di incentivare l’economia circolare e il reimpiego di beni inutilizzati (sulla scia di quanto avviene con la L. 166/2016 cd. Legge antisprechi).

Il nuovo regime di detrazioni e deduzioni per le erogazioni liberali al Terzo settore

L’art. 83 del CTS distingue gli incentivi fiscali a seconda del soggetto donatore.

Per le persone fisiche le alternative sono due. In linea generale, è prevista una detrazione IRPEF pari al 30% dell’ammontare dell’erogazione – in denaro o in natura – per un importo complessivo non superiore a 30mila euro per ciascun periodo di imposta. La percentuale di detrazione è innalzata al 35% nel caso in cui la donazione sia effettuata in favore in una ODV, categoria di enti che per la sua struttura prettamente volontaria riceve un trattamento premiale nella riforma. 

In alternativa, è possibile optare per una deduzione dal reddito complessivo netto dell’erogazione effettuata, nella misura del 10% del dichiarato, senza limiti massimi di importo, con possibilità di portare in avanti l’eventuale eccedenza nei quattro periodi di imposta successivi, fino a concorrenza del suo ammontare.

Qualora il donatore sia un ente o una società, invece, l’unico regime agevolativo è quello della deduzione, da esercitarsi alle medesime condizioni appena illustrate (limite del 10% del reddito complessivo dichiarato e possibilità di riportare in avanti eventuali eccedenze).

Le misure in questione si applicano sia alle erogazioni destinate ad ETS non commerciali sia a quelle rivolte ad ETS commerciali (ivi incluse le imprese sociali diverse da quelle costituite in forma societaria e le cooperative sociali). Nel primo caso (beneficiario ETS non commerciali), condizione per l’applicabilità dell’agevolazione da parte del donatore è che l’ente destinatario dichiari la propria natura non commerciale, ai sensi dell’art. 79 comma 5 CTS, al momento dell’iscrizione del Registro unico nazionale del Terzo settore (RUNTS). La perdita della natura non commerciale va eventualmente comunicata dal rappresentante legale dell’ente all’Ufficio del Registro della Regione o della Provincia autonoma in cui l’ente ha la sede legale, entro 30 giorni dalla chiusura del periodo d’imposta nel quale si è verificata. In caso di mancata tempestività di detta comunicazione, il legale rappresentante dell’ente è punito con la sanzione amministrativa, il cui ammontare è ricompreso tra un minimo di cinquecento euro fino ad arrivare ad un massimo di cinquemila euro (art. 83, comma 4, CTS). 

Quando beneficiario è un ETS commerciale, invece, è necessario che le liberalità siano utilizzate per lo svolgimento dell’attività statutaria, nel perseguimento esclusivo di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che tale impegno risulti in maniera documentata.

I benefici previsti dall’art. 83 del CTS non possono essere cumulati né tra loro, né con altre misure agevolative previste a titolo di detrazione o deduzione di imposta per le medesime erogazioni. Ne consegue che le persone fisiche non potranno, per la medesima donazione avvalersi sia della detraibilità dalle imposte che della deducibilità dal reddito, dovendo scegliere soltanto una delle due misure. Allo stesso modo, per la medesima donazione, i soggetti donatori non potranno cumulare i benefici di cui all’art. 83 con altri previsti da altre disposizioni. Resta fermo che non esiste, ne formalmente ne sotto il profilo sistematico, un divieto espresso a che il contribuente ai fini dichiarativi sfrutti per alcune donazioni il meccanismo della detrazione e per altre la deduzione.

Adempimenti per fruire delle agevolazioni sulle erogazioni in denaro

Per fruire delle misure agevolative sulle erogazioni liberali in denaro, il versamento deve essere eseguito attraverso banche, uffici postali o altri mezzi di pagamento tracciabili (di cui all’art. 23 del D.Lgs. n. 241 del 1997); mentre eventuali contributi in denaro – molto frequenti soprattutto nelle ipotesi di raccolta fondi – non consentono al sovventore di beneficiare di detrazioni o deduzioni di imposta. Sul punto, secondo le indicazioni fornite di prassi (cfr. linee guida dell’ex Agenzia per le Onlus pubblicate nel 2010), tra le modalità di pagamento agevolate rientrerebbero sia i versamenti effettuati tramite gli strumenti bonifico bancario, bollettino postale e assegni (bancari o circolari), sia quelli che avvengono tramite bancomat, carte di debito, carte di credito o prepagate. 

A seconda della tipologia concretamente utilizzata, cambia la prova documentale da fornire per dimostrare il carattere liberale dell’erogazione (cfr. Circolare Agenzia delle Entrate n. 13 del 31 maggio 2019). Nello specifico, per le erogazioni con bonifico (bancario/postale), il versamento deve risultare dalla relativa ricevuta bancaria, mentre per i pagamenti tramite carte di credito, debito o prepagate, si fa riferimento all’estratto conto emesso dalla società che le gestisce. 

Qualora si utilizzino assegni (circolari o bancari), invece, spetterà al beneficiario rilasciare al donatore una ricevuta contenente l’indicazione della modalità di pagamento, così come nell’ipotesi in cui il beneficiario dell’erogazione non sia individuabile tramite il documento relativo.

A ben vedere, il rilascio di una ricevuta da parte del beneficiario potrebbe essere comunque opportuno anche al di fuori delle ipotesi appena considerate.  Si pensi alle ipotesi in cui al contribuente non spetta alcun beneficio perché l’erogazione avviene in denaro e senza alcun mezzo tracciabile.  In tal caso il rilascio di un documento attestante l’erogazione potrebbe avere la funzione di snellire l’attività di rendicontazione delle somme riscosse a titolo liberale, specie qualora si tratti di incassi percepiti in occasione di manifestazioni di raccolta fondi. In quest’ultimo caso, infatti, diventa importante individuare il progetto finanziato nell’ambito dei vari promossi dall’ente, l’ammontare delle somme erogate (sia singolarmente sia nel complesso, per l’intera campagna di raccolta), il carattere liberale delle stesse e le modalità di pagamento utilizzate, nell’ottica del generale obbligo di rendicontazione previsto per questa particolare attività.

Criteri di valorizzazione delle erogazioni in natura ed adempimenti per fruire delle agevolazioni

Con riguardo alle erogazioni in natura, un primo aspetto da considerare riguarda i criteri di valorizzazione dei beni oggetto di liberalità. Sul punto, la disciplina attuativa contenuta nel D.M. 28 novembre 2019 individua diverse regole di calcolo da seguire a seconda della tipologia di bene erogato.

In linea generale, la misura della detrazione o deduzione è determinata in base al valore normale del bene oggetto di donazione. Come suggerito dal Tuir, per valore normale si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o i servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per quanto possibile, si fa riferimento a listini, tariffe, mercuriali, listini delle camere di commercio e tariffe professionali. 

Nel caso in cui il valore così determinato dovesse risultare superiore a 30mila euro o nel caso in cui, per la particolare natura dei beni, non sia possibile desumerne il valore in base a criteri oggettivi, è necessaria una perizia giurata di stima antecedente di non oltre 90 giorni il trasferimento, che attesti il valore della liberalità effettuata.

I beni strumentali o i beni merce, cioè i beni prodotti o scambiati da parte delle imprese, costituiscono un’eccezione a questa regola generale. Per i primi (beni strumentali), il decreto prevede che la quantificazione sia effettuata con riferimento al residuo valore fiscale, vale a dire il valore del bene non ancora ammortizzato, all’atto del trasferimento. Diversamente, quando l’erogazione ha ad oggetto beni merce o materie prime e sussidiarie, semilavorati e altri beni mobili (esclusi quelli strumentali), acquistati o prodotti per essere impiegati nella produzione, la quantificazione deve avvenire in base al minore tra il valore normale del bene, stabilito tramite le direttive del Tuir precedentemente esposte, e quello determinato applicando le regole dettate dall’art. 92 del Tuir per le variazioni delle rimanenze finali. 

Dal punto di vista operativo, per beneficiare delle agevolazioni è previsto un preciso onere documentale a carico delle parti. L’erogazione in natura deve sempre risultare da un atto scritto contenete una dichiarazione del donante, dalla quale emerga una descrizione analitica dei beni e del loro valore, e una dichiarazione del beneficiario, con cui si impegna ad utilizzare direttamente i beni ricevuti per lo svolgimento dell’attività statutaria, ai fini dell’esclusivo perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Tale ultima dichiarazione di intenti, come visto, è prevista dall’art. 83 CTS solo per le erogazioni rivolte agli ETS commerciali. Tuttavia, il decreto attuativo sembra non fare alcuna distinzione, per cui l’obbligo dovrebbe riguardare indistintamente tutte le liberalità in natura, a prescindere dalla natura fiscale del soggetto beneficiario (ciò, anche al fine di non gravare il donatore dell’onere di accertarsi a monte del regime fiscale dell’ente beneficiario).

Inoltre, nelle ipotesi in cui si renda necessaria la produzione di una perizia giurata di stima, una copia della stessa dovrà essere consegnata dal donatore all’ente beneficiario e di ciò si farà menzione nel documento di cui si è detto in precedenza.

Confronto con le agevolazioni della L. 166/2016 (cd. Legge antisprechi)

Le erogazioni in natura trovano espressa disciplina anche nella legge “antisprechi” (L. 166/2016), la di recente introdotta per promuovere l’economia circolare e la redistribuzione delle eccedenze e dei beni inutilizzati per fini di solidarietà sociale. Come precisato nella relazione illustrativa al D.M. 28 novembre 2019, tali misure agevolative non sono cumulabili con quelle previste dall’art. 83 del CTS, per cui spetterà al donatore scegliere di volta in volta il regime ritenuto più conveniente in relazione all’operazione che intende effettuare.

Seppure in parte accomunate nello scopo di incentivare donazioni di beni, le due disposizioni si differenziano sotto molteplici profili. Dal lato soggettivo, le misure hanno un diverso ambito di applicazione sia dal lato del beneficiario che del donatore. Sul primo fronte, rispetto al d.lgs. 117/2017, beneficiari delle erogazioni agevolate ai sensi della legge antisprechi possono essere sia enti pubblici che non profit. E, tra questi, sono espressamente menzionati tutti gli ETS, incluse le imprese sociali a prescindere dalla veste giuridica in cui sono costituite (quindi anche quelle costituite in forma societaria, non comprese nell’agevolazione dell’art. 83 del CTS). Quanto ai potenziali donatori, il Codice del Terzo settore si rivolge ad una generalità di contribuenti (persone fisiche, enti, società), mentre le agevolazioni della L. 166/2016 spettano solo alle imprese donanti. Tale aspetto è strettamente legato alle specifiche restrizioni sui beni che possono essere oggetto di donazioni agevolate. Se, infatti, il CTS incentiva le erogazioni di beni in natura in genere, con la legge antisprechi sono agevolate solo le cessioni gratuite di determinate tipologie di beni, tassativamente individuati. Si tratta, in particolare, di generi alimentari, medicine, prodotti per l’igiene personale, cartoleria, cancelleria e libri, ai quali si sono aggiunti per fronteggiare l’emergenza del Coronavirus, attraverso il D.L. 28 febbraio 2020 anche prodotti tessili, abbigliamento, mobili, giocattoli, materiale per l’edilizia, elettrodomestici, personal computer, televisori, tablet ed altri dispositivi elettronici.

Sul fronte dei prodotti alimentari, le imprese potranno scegliere di donare solo solo beni invenduti, ritirati dalla vendita per decisione aziendale, rimanenze di attività promozionali oppure beni integri ma alterati nell’imballaggio esterno, nonché alimenti prossimi alla scadenza (ad es. il latte e derivati) o che hanno superato il termine minimo di conservazione (ad es. pasta, biscotti). Negli altri casi, invece, sono erogabili sia beni non idonei alla commercializzazione (ad esempio per imperfezioni o alterazioni che non ne modifichino l’idoneità all’utilizzo) sia quelli che per svariate ragioni si sceglie di non immettere sul mercato (salvo specifici limiti per farmaci e medicinali dati dalla particolare natura del bene). 

Diversi sono anche gli adempimenti da porre in essere per beneficiare delle due misure agevolative (art. 83 CTS e legge antisprechi), nonché i vantaggi fiscali attribuiti ai sovventori. Sotto il primo profilo, in luogo del documento bilaterale previsto per le erogazioni in natura del CTS, la L. 166/2016 pone a carico del donante l’onere di un documento di trasporto o equipollente e, per le sole cessioni che non riguardano eccedenze alimentari facilmente deperibili o che, singolarmente considerate non superino i 15mila euro, di trasmettere telematicamente una comunicazione riepilogativa mensile all’Amministrazione finanziaria. Mentre, dal suo canto, il donatario deve rilasciare una dichiarazione trimestrale con l’indicazione analitica dei beni ricevuti e l’impegno ad utilizzarli per scopi sociali.

Dal punto di vista tributario, il confronto tra le due disposizioni riguarda l’ipotesi di donatore impresa, posto che la legge antisprechi non ammette altre tipologie di sovventori. I vantaggi della L. 166/2016 riguardano sia le imposte dirette che l’IVA. Sul primo fronte, le cessioni gratuite dei beni individuati dalla norma non generano un ricavo imponibile (con esclusione dell’applicazione dell’art. 85, coma 2 del Tuir), ferma restando la deducibilità dei costi sostenuti dall’impresa cedente. Ai fini IVA, invece, le operazioni sono assimilate alla distruzione dei prodotti, in quanto non scontano l’imposta ma è riconosciuta la detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti.

Situazione diversa per le imprese che sceglieranno di erogare beni in natura ai sensi del CTS. In tal caso, ai fini IVA la cessione gratuita dei beni è esente solo se rientra nell’ipotesi dell’art. 10, n. 12 del d.p.r. 633/1972,  mentre sconta imposta negli altri casi. Sul piano delle imposte dirette, invece, si applica la tassazione ordinaria dell’art. 85, comma 2, Tuir, ferma restando la deduzione dell’erogazione nei limiti del 10% del reddito complessivo dichiarato.

Efficacia dei benefici fiscali previsti dal Codice del Terzo settore per le erogazioni liberali

Come noto, l’efficacia della riforma del Terzo settore segue diverse tempistiche di efficacia, legate principalmente alla messa in funzione del RUNTS e all’autorizzazione della Commissione europea. Da un lato, per assicurare la compatibilità delle nuove norme con l’ordinamento europeo, il legislatore ha subordinato l’efficacia dei nuovi regimi fiscali ai fini delle imposte dirette al placet europeo. Dall’altro, per potenziare sin da subito il sostegno al non profit, sono state previste alcune misure tributarie immediatamente efficaci (entrate in vigore dal 1° gennaio 2018), ma solo per determinati enti. 

In questo secondo filone rientra l’art. 83 del CTS, insieme ad altre disposizioni agevolative come gli artt. 81 e 82. La norma, come detto, riguarda le erogazioni rivolte a tutti gli ETS, con la sola eccezione delle imprese sociali costituite in forma societaria diverse dalle cooperative sociali. Tuttavia, per il momento la sua efficacia è limitata alle sole Onlus, ODV e APS. La ratio è quella di incentivare sin da subito quegli enti che, ragionevolmente, confluiranno nel RUNTS e che sono già disciplinati con stringenti normative di settore che offrono sufficienti garanzie di non lucratività (rispettivamente, l’art. 10 del d.lgs. 460/1997, per le Onlus, e le leggi 266/2000 e 383/2000, per ODV e APS).

Sul punto, sono emersi notevoli dubbi sulla portata applicativa dell’agevolazione, nella fase intermedia che andrà dalla messa in funzione del RUNTS all’autorizzazione europea. In particolare, se è scontato che Onlus, ODV e APS continueranno a beneficiare delle misure di sostegno in vigore dal 1° gennaio 2018, maggiori perplessità sorgono in relazione agli enti privi di queste qualifiche, che si iscriveranno al Registro. A questo riguardo, il dato testuale dell’art. 104 CTS sembrerebbe far propendere per una lettura restrittiva, volta ad escludere gli enti diversi da Onlus, ODV e APS dall’ambito applicativo delle agevolazioni in attesa del vaglio europeo. Si legge, infatti, all’art. 104, commi 1 e 2 che: “Le disposizioni di cui agli articoli 77, 78, 81, 82, 83 e 84, comma 2, 85 comma 7 e dell’articolo 102, comma 1, lettere e), f) e g) si applicano in via transitoria a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2017 e fino al periodo d’imposta di entrata in vigore delle disposizioni di cui al titolo X secondo quanto indicato al comma 2”, alle ONLUS, alle ODV e alle APS iscritte negli appositi registri; e che: “salvo quanto previsto dal comma 1”, “le disposizioni del titolo X … si applicano agli enti iscritti nel Registro unico nazionale del Terzo settore a decorrere dal periodo di imposta successivo all’autorizzazione della Commissione europea …, e, comunque, non prima del periodo di imposta successivo di operatività del predetto Registro”.

Tuttavia, una lettura sistematica della disposizione e il recente decreto attuativo sulle erogazioni in natura sembrano condurre ad un’interpretazione più estensiva della norma. In primo luogo, se si considera quanto previsto all’art. 101, comma 10 CTS, le agevolazioni della fase transitoria dovrebbero potersi estendere a tutti gli ETS iscritti al RUNTS (ferme restando le dovute eccezioni viste in precedenza), a prescindere dall’approvazione dell’Europa. Infatti, L’art. 83 CTS non rientra tra le norme tributarie sottoposte all’esame della Commissione europea, per cui non sussisterebbero ragioni valide per negarne l’applicazione a tutti quegli enti che, seppure privi delle qualifiche di Onlus, ODV e APS, si iscriveranno regolarmente al Registro unico dopo la sua istituzione. Tale orientamento sembra confermato anche dal recente decreto ministeriale che ha individuato i criteri di valorizzazione per le erogazioni in natura al terzo settore. A tal proposito, nella relazione illustrativa si legge che destinatari di erogazioni agevolate sono tutti gli ETS, comprese le cooperative sociali ed escluse le imprese sociali costituite in forma societaria. Ai quali, in attesa del rilascio dell’autorizzazione europea, si aggiungono Onlus, ODV e APS. Tale precisazione conforta indirettamente la lettura più permissiva proposta in precedenza, ossia che dopo la messa in funzione del Registro unico nazionale, i benefici previsti dall’art. 83. (e dalle altre norme in vigore dal 1°gennaio 2018) dovrebbero riguardare le erogazioni rivolte a tutti gli ETS che soddisfino i requisiti e non solo ad Onlus, ODV e APS (come invece sembra emergere dal tenore letterale dell’art. 104, commi 1 e 2 del CTS)

Articolo da Norme e Tributi de Il Sole 24 Ore, Edizione n. 4 del 7 aprile 2020.

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