La recente sentenza della Corte costituzionale – n. 72 del 15 marzo 2022 – risulta di notevole importanza al fine dell’interpretazione del codice del Terzo settore-CTS (dopo la nota sentenza n. 131 del 26 giugno 2020, attraverso la quale è stato perimetrato il rapporto tra gli enti del Terzo settore e le pubbliche amministrazioni).
Oggetto del giudizio costituzionale è stato l’art. 76 CTS, rubricato “Contributo per l’acquisto di autoambulanza, autoveicoli per attività sanitarie e beni strumentali”: nell’ordinanza di remissione, il Consiglio di Stato ha sollevato questioni di legittimità costituzionale del predetto articolo, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 9, 18, 76 e 118 Cost., nella parte in cui riserva alle sole organizzazioni di volontariato (ODV) i contributi finanziari, escludendo gli altri enti del Terzo settore (ETS) che svolgono le medesime attività di interesse generale.
Ai sensi dell’art. 76, comma 1, CTS, le risorse finanziarie – come precisato anche dal decreto attuativo ministeriale del 16 novembre 2017 – sono volte a sostenere l’attività di interesse generale delle ODV mediante “l’erogazione di contributi per l’acquisto, da parte delle medesime, di autoambulanza, autoveicoli per attività sanitarie e di beni strumentali, utilizzati direttamente ed esclusivamente per attività di interesse generale, che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diverse utilizzazioni senza radicali trasformazione, nonché per la donazione dei beni ivi indicati nei confronti delle strutture sanitarie pubbliche da parte delle organizzazioni di volontariato e delle fondazioni”.
Per il Consiglio di Stato, la valutazione politica del legislatore, in termini di circoscrizione dei soggetti meritevoli delle provvidenze economiche, è risultata irragionevole e discriminatoria, oltre a non essere conforme al principio di proporzionalità e ad eccedere i principi e i criteri direttivi fissati nella legge delega 106/2016; diversamente, per l’Avvocatura di Stato, rappresentativa delle ragioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri, intervenuta in giudizio, la ricostruzione del giudice a quo sarebbe irricevibile, in quanto il legislatore non avrebbe discriminato enti attivi nel medesimo ambito di utilità sociale, ma avrebbe promosso e sostenuto le ODV, così compensando i vincoli stringenti prescritti dal CTS agli artt. 33-35 in termini strutturali e funzionali. In giudizio si è costituita anche la Fondazione Catis, fondazione di partecipazione attiva negli ambiti della pubblica assistenza, dell’emergenza extraospedaliera e della mobilità di infermi, e parte ricorrente in sede giurisdizionale amministrativa. Per la Fondazione Catis, l’art. 76 CTS, da un lato, ridisegnerebbe soggettivamente il sostegno finanziario che l’abrogato art. 96, comma 1, l. 342/2000 prevedeva in favore delle organizzazioni di volontariato e delle Onlus; dall’altro, attuerebbe una ingiusta discriminazione legata alla forma giuridica utilizzata dai singoli enti.
Per i giudici costituzionali, l’eccesso di delega non è configurabile: (i) il riconoscimento e il favor, all’interno del Terzo settore, per lo status di volontario e per la specificità delle ODV (art. 5, comma 1, lett. a), l. 106/2016) e (ii) la clausola di salvezza delle condizioni di maggior favore relative alle organizzazioni di volontariato nell’ambito della revisione della disciplina sulle Onlus (art. 9, comma 1, lett. m), l. 106/2016) sono indici normativi che legittimano la struttura dell’art. 76 CTS, fondata appunto sulla valorizzazione delle specificità delle ODV.
Nessuna discriminazione è altrimenti riscontrabile; l’art. 4 CTS definisce l’insieme degli ETS, riconoscendone le peculiarità individuali. Ciò impedisce l’affermazione di una legislazione omologante e, di contro, abilita regimi differenziati di sostegno pubblico che “si giustificano in ragione di diversi fattori, tra cui anche quello della specifica dimensione che assume, strutturalmente, l’apporto della componente volontaria all’interno dei suddetti enti”.
Molto chiaramente, si legge nella sentenza in rassegna: “L’esigenza di una disciplina unitaria diviene invece recessiva nella disciplina del Capo IV (Delle risorse finanziarie) del Titolo VIII (Della promozione e del sostegno degli Enti del Terzo Settore), che, anche razionalizzando forme di finanziamento preesistenti, identifica un ambito dove è prevalente l’elemento attinente alla tipologia organizzativa, al punto che la normativa in oggetto non riferisce alle imprese sociali alcuna forma di contributo statale diretto, riservandola esclusivamente ad altri ETS”.
Giunta a tal punto, la Corte costituzionale ricostruisce i profili costitutivi e operativi delle ODV, la valenza della componente volontaristica, l’impossibilità –elemento non neutrale – per le ODV di ricavare dallo svolgimento di attività di interesse generale dei “margini positivi da destinare all’incremento dell’attività stessa”. Ciò “a differenza, in particolare, delle imprese sociali (qualifica che può essere ottenuta anche dalle fondazioni), che possono percepire forme di corrispettivo dai destinatari delle prestazioni rese”. Dunque, sussiste “una definita linea di demarcazione all’interno della pur unitaria categoria degli ETS: è ben vero che quelli che scelgono di svolgere attività economica – accettando i correlati vincoli, primo dei quali la rinuncia alla massimizzazione del profitto – possono essere considerati operatori di un “mercato qualificato”, quello della welfare society, distinto da quello che invece risponde al fine di lucro. Tuttavia, rimane fermo che tali soggetti hanno la possibilità di ricevere un corrispettivo per il servizio reso e quindi, anche in tal modo, procurarsi le risorse, cui fa riferimento la norma censurata, necessarie all’acquisto degli automezzi e dei beni strumentali al sostegno delle attività di interesse generale. Possibilità che invece è preclusa, come si è visto, alle ODV”.
A seguito dello scrutinio degli artt. 17 e 33 CTS e dell’art. 13, comma 2, d.lgs. 112/2017, dalla lettura della Corte costituzionale emerge come l’art. 76 CTS: i) consenta di sostenere enti “che non dispongono della possibilità di pattuire, per il servizio reso tramite l’attività di interesse generale, una remunerazione in grado di permettere l’acquisto o il rinnovo di automezzi e beni materiali strumentali”; ii) permetta di valorizzare il peso sociale degli enti connotati da una prevalenza della componente volontaristica.
Pertanto, il filtro selettivo stabilità dalla norma è legittimo; tuttavia, appare auspicabile “che il legislatore intervenga a rivedere in termini meno rigidi il filtro selettivo previsto dalla norma censurata in modo da permettere l’accesso alle relative risorse anche a tutti quegli ETS sulla cui azione – per disposizione normativa, come nel caso delle associazioni di promozione sociale, o per la concreta scelta organizzativa dell’ente di avvalersi di un significativo numero di volontari rispetto a quello dei dipendenti – maggiormente si riflette la portata generale dell’art. 17, comma 3, cod. terzo settore, per cui al volontario possono essere rimborsate «soltanto le spese effettivamente sostenute e documentate per l’attività prestata»”.