Gli sviluppi legati all’introduzione del Codice del Terzo Settore sono ben più estesi di quelli che sembrano percepiti sinora. Si ha l’impressione che la trasformazione culturale, politica e giuridica legata alla nuova codificazione non sia sufficientemente indagata e, per quanto più direttamente mi riguarda, sono forse i costituzionalisti e gli amministrativisti a dover prendere piena coscienza di un mutamento, che non si è affatto limitato ad aprire un nuovo capitolo di figure e di rapporti privatistici.
Quando venne approvata la riforma del titolo V della Costituzione, l’attenzione si concentrò sulla nuova allocazione delle competenze legislative fra Stato e Regione, sugli errori che essa conteneva e tanto bastò perché essa venisse catalogata (dai più) come un capitolo infelice nella storia della Repubblica. La realtà è che in tale riforma c’era, forse in primo luogo, il radicamento nel nuovo art.118 del principio di sussidiarietà, che in quella storia rappresenta un capitolo fortemente innovativo e tutt’altro che infelice.
Nel primo comma si rovescia il vecchio modello statalista e centralista – quello secondo cui tutto ciò che è pubblico deriva necessariamente dallo Stato – e si scrive che le funzioni amministrative spettano in via di principio ai Comuni e solo in presenza di esigenze unitarie possono essere collocate ai livelli superiori, sino allo Stato. Nel quarto comma si promuove il diretto coinvolgimento dei cittadini pronti a farlo nello svolgimento di attività (non si dice se pubbliche o private) di interesse generale.
È così che trova dunque consacrazione costituzionale il principio di sussidiarietà, in entrambe le accezioni nelle quali esso si articola. E trova in tal modo svolgimento, in particolare con il quarto comma, una delle implicazioni che già potevano leggersi nel principio personalistico degli articoli 2 e 3, i quali sulla persona e sulla relazione interpersonale costruiscono il tessuto dei diritti e dei doveri, dei bisogni e delle risposte di cui il cittadino, ogni cittadino, può essere insieme portatore e corresponsabile.
Ebbene, il Codice del Terzo Settore è la prima, compiuta e consapevole attuazione di tali principi. E la sentenza n.131/2020 della Corte Costituzionale è importante, perché ne dà atto in modo esplicito. Grazie soprattutto all’art.55 del Codice, la conformazione stessa dell’azione amministrativa viene per la prima volta adeguata al nuovo art.118 ed è in primo luogo per questo che il Codice acquista la caratteristica di “grande riforma”.
Con la disciplina della co-programmazione e della co-progettazione ci si imbatte in due straordinarie novità, che corrispondono a finalità e a prospettive da tempo avanzate, e non solo in Italia, per rafforzare le radici stesse dei nostri sistemi democratici malati. Basti citare un libro di Carlo Donolo, uscito postumo in questi giorni, Su ponti leggermente costruiti, nel quale l’autorevole e compianto sociologo sostiene che la c.d. democrazia deliberativa deve servire non ai “governanti” per conoscere le domande dei “governati”, alle quali toccherà poi a loro rispondere, ma per identificare insieme domande e risposte, giacché anche i cittadini, certo i cittadini attivi, hanno esperienze e visioni che concorrono alle stesse risposte.
È esattamente questo ciò che troviamo nella co-programmazione e nella co-progettazione, che sono l’una l’identificazione dei bisogni, l’altra la messa a fuoco delle risposte; entrambe condivise dalle amministrazioni pubbliche e dai soggetti del Terzo Settore. Con in più un’altra novità, che non va sottovalutata. Le nostre amministrazioni, che in passato erano state almeno in parte amministrazioni del fare, con personale che del fare era esperto, sono divenute nel tempo amministrazioni del far fare, con personale esperto in incentivi e in appalti, che servono a far fare le cose ad altri. L’amministrazione condivisa che esce dal Codice fa riemergere la necessità di un personale pubblico che torna a impegnarsi nel fare, capendone per ciò stesso meglio i modi, i costi, i tempi; e le responsabilità. Anche questo concorre, e non poco, al senso di una grande riforma.