Le CER sposano il Terzo settore. Così funziona

[di Luigi Bobba, pubblicato in «Corriere della Sera» del 15 ottobre 2024, pag. 33]

Fare una CER (Comunità Energetica Rinnovabile) nella forma giuridica di ETS (Ente del Terzo Settore) è una scelta convincente, appropriata e conveniente? È questo l’interrogativo a cui ha cercato di dare una risposta il report realizzato da Fondazione Terzjus in collaborazione con l’impresa sociale Fratello Sole e con il contributo di Fondazione Cariplo. Lo studio, recentemente presentato al Senato, è ora disponibile e liberamente scaricabile dal sito www.terzjus.it.

La scelta di utilizzare una delle forme giuridiche degli ETS per costituire una CER appare convincente per una ragione principale: esiste un’“anima comune” tra CER e ETS. Infatti, il D.lgs 199/2021 qualifica le CER come uno strumento per generare insieme benefici ambientali, economici e solidaristici. Una modalità comunitaria per promuovere l’autosufficienza energetica e favorire l’accesso ad energia meno costosa  per le fasce sociali più disagiate. 

Principi del tutto consonanti con le finalità ”civiche, solidaristiche e di utilità sociale” tipiche degli ETS. La scelta poi – dice il Rapporto di Terzjus – risulta appropriata anche alla luce del D.L.57/2023 che inserisce nell’elenco delle attività di interesse generale previste dall’art. 5 del CTS e dall’art. 2 del D.lgs. n. 112/2017 anche “gli interventi e i servizi finalizzati alla produzione, all’accumulo e alla condivisione di energia da fonti rinnovabili a fini di autoconsumo”. 

Dunque vi è ora la certezza  che l’attività tipica delle CER sia qualificata come attività di interesse generale. Ma di più.

Le forme giuridiche tipiche degli ETS (associazione, fondazione, cooperativa/impresa sociale) si prestano  anche meglio a promuovere modalità cooperative/collaborative tra soggetti diversi in vista di un bene comune. Infine, la scelta si presenta maggiormente conveniente in quanto la CER con la qualifica di ETS può sommare i benefici tipici delle CER ( tariffe incentivanti per l’energia prodotta e contributo in conto capitale per quelle collocate in Comuni sotto i 5000 abitanti) con quelli previsti per la generalità degli ETS: accesso alle erogazioni liberali, possibilità di co-progettare con la PA, utilizzo del “social bonus” per riqualificare edifici pubblici inutilizzati o confiscati alle mafie. Per di più, anche in forza di un recente orientamento della Agenzia delle Entrate, gli utili della CER, derivanti dalla vendita di energia, non hanno rilevanza fiscale qualora vengano indirizzati alla promozione di attività di interesse generale.

Tutto bene, dunque? È presto per dirlo. Dai dati che saranno resi pubblici dal GSE a fine anno, capiremo quante CER siano nate e se la scelta della CER/ETS sia premiante, come evidenziato dal Rapporto di Terzjus.

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