La ricerca che viene oggi presentata ha il pregio di offrire ai lettori la possibilità di approfondire un tema di spiccata novità, quale il volontariato i competenza. Di fronte ad un fenomeno appena emergente dal contesto sociale di riferimento, la prima domanda che immediatamente si pone al giurista è: questo fenomeno è già regolato dalle norme vigenti? Serve un intervento normativo?
Ebbene, nella prospettiva giuridica in cui intende collocarsi il presente intervento, davanti a questa ricerca il dato fondamentale che spicca è la conferma dell’attualità del Codice del Terzo settore, a dispetto di quanti, ancor oggi, a distanza di cinque anni dalla sua adozione, rimpiangono, “laudatores temporis acti”, i precedenti assetti normativi.
Innanzitutto, il codice ci offre una definizione del volontariato, all’articolo 17, comma 1, “aperta”: una volta individuati i suoi tratti caratterizzanti nella personalità, gratuità, libertà, spontaneità, non lucratività, prevede ampi spazi attraverso i quali l’azione volontaria può dispiegarsi, non necessariamente per il tramite di un ETS. La lungimiranza del legislatore della riforma si può vedere anche in questa concezione della multiformità del volontariato, capace di sussumere all’interno della definizione dell’articolo 17 le esperienze fattuali più diverse, che non si trovano ingabbiate all’interno di rigidi paletti normativi. L’elasticità della disposizione è la più sicura garanzia della sua capacità di essere applicata anche a fenomeni non definiti al momento della scrittura della norma, che andranno a prendere forma più stabile nel futuro.
La seconda considerazione è l’importanza della promozione della cultura del volontariato: il volontariato ha un valore in sé, costituito dalla sua dimensione relazionale, che si sviluppa poi nei diversi ambiti della vita sociale. Il codice del Terzo settore si caratterizza per una finalità promozionale, vale a dire creare le precondizioni giuridiche affinché il Terzo settore possa autonomamente crescere sia in termini di capacità organizzativa, sia in termini di capacità di implementazione delle attività di interesse generale da esso svolte. Al contempo la finalità promozionale coinvolge anche l’autonoma iniziativa dei singoli cittadini che concorrono al perseguimento del bene comune, anche attraverso la propria azione volontaria. In tale quadro si innesta l’articolo 19 del Codice, che impone alle pubbliche amministrazioni la promozione della cultura del volontariato. Ad esso si affianca 63, comma 2 del Codice, che tra i diversi compiti assegnati ai centri di servizio per il volontariato annovera i “servizi di promozione, orientamento e animazione territoriale, finalizzati a dare visibilità ai valori del volontariato e all’impatto sociale dell’azione volontaria nella comunità locale, a promuovere la crescita della cultura della solidarietà e della cittadinanza attiva (…), facilitando l’incontro degli enti di Terzo settore con gli enti di natura pubblica e privata interessati a promuovere il volontariato”.
In questo senso, il volontariato di competenza è un rilevante elemento di sfida culturale. Sarebbe un grave errore – in cui, ahimè, non pochi incorrono, leggere il Codice del Terzo settore esclusivamente come un complesso di norme, precetti a cui gli enti devono conformare il proprio operato se intendono continuare a far parte del Terzo settore. Una simile lettura riduzionistica perde completamente di vista il profilo più importante del Codice, quello culturale. Il Codice, infatti, chiede l’assunzione di una nuova forma mentis, al fine di rendere sempre attuale il valore e la funzione sociale del Terzo settore e del volontariato. In questo caso, chiama gli ETS a guardare oltre il perimetro delle proprie attività ed ella propria organizzazione, sollecitandoli ad intessere trame relazionali con il mondo profit nell’ottica della crescita (reciproca, come giustamente la ricerca pone in evidenza) della capacità di migliorare le condizioni delle comunità di riferimento.
Da ultimo, la ricerca ha evidenziato come l’articolo 89 del Codice già prevede l’utilizzo della leva fiscale come strumento incentivante le scelte delle aziende di promuovere il volontariato di competenza attraverso l’estensione a tutti gli ETS non commerciali di una disposizione pensata inizialmente per le sole ONLUS, consistente nella deducibilità nel limite del 5 per mille dell’ammontare complessivo, delle spese relative all’impiego di lavoratori dipendenti per prestazioni di servizi erogate a favore di ONLUS, con conseguente ampliamento della platea dei beneficiari. Anche qui troviamo un ulteriore elemento di riflessione, che merita la sua attenzione soprattutto a fronte di posizioni, che criticano fortemente l’impianto fiscale del Codice, ignorandone, probabilmente, tutti i suoi contenuti.
In conclusione, la riforma del Terzo settore è entrata nella fase della sua concreta applicazione, spostandosi dalle pagine dei codici alla vita quotidiana: in tal senso, il volontariato di competenza costituisce un esempio lampante di questo processo, al quale il Ministero del lavoro e delle politiche sociali*, che già a partire dall’indomani della pubblicazione del Codice, ha sempre posto la promozione della cultura del volontariato tra le priorità da sostenere, non farà mancare la sua attenzione.
*Alessandro Lombardi, Direttore generale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali