Da ente profit a non commerciale con regime speciale

di Marina Garone e Gabriele Sepio

La delega per la riforma fiscale si propone di coordinare e razionalizzare la disciplina tributaria degli enti del Terzo settore e degli enti non commerciali con le altre disposizioni dell’ordinamento fiscale, tenuto conto della sempre maggiore incidenza di queste realtà nel sistema economico del Paese.

Con riguardo all’Iva, è prevista una razionalizzazione della disciplina relativa agli enti del Terzo settore, anche nell’ottica di semplificare gli adempimenti. L’intervento di riforma potrebbe pertanto costituire l’occasione per una armonizzazione della disciplina Iva con il Codice del Terzo settore. Quest’ultimo, infatti, è intervenuto in attuazione della legge delega 106/2016, che non prevedeva una armonizzazione strutturale del regime Iva, ma solo modifiche su specifici aspetti: quali il coordinamento tra regime Onlus e nuova qualifica di Ets, o le semplificazioni per Odv e Aps.

Un’opera di coordinamento e semplificazione si rende necessaria anche in ragione delle modifiche introdotte dal Dl 146/2021, che dal 1° gennaio 2024 dovrebbero determinare l’inclusione in campo Iva, se pur in regime di esenzione, delle operazioni rese dagli enti associativi nei confronti di associati e partecipanti.

Tra i principi e i criteri direttivi relativi alla revisione delle imposte sui redditi, la bozza del disegno di legge prevede l’introduzione di un regime fiscale speciale per le ipotesi di passaggio dei beni dall’attività commerciale a non commerciale, e viceversa, per effetto del mutamento della qualificazione fiscale delle attività.

Tale previsione si lega, in particolare, all’introduzione dei nuovi criteri di cui all’articolo 79 del Codice del Terzo settore, che potrebbero determinare la “riqualificazione” come non commerciali di attività di interesse generale ora considerate commerciali, innescando così gli effetti fiscali legati alla fuoriuscita dei beni dal regime d’impresa. La norma, pertanto, potrebbe attenuare il carico impositivo per molte realtà attive nel sociale, onde evitare effetti penalizzanti legati a una ipotesi di estromissione dalla sfera d’impresa che non sarebbe legata ad una diversa destinazione dei beni, ma solo all’applicazione dei nuovi criteri normativi.

Un possibile riferimento potrebbe essere costituito dal precedente della riforma Onlus, che aveva previsto in casi simili una apposita imposta sostitutiva (articolo 9, comma 2, Dlgs 460/1997).

[Articolo pubblicato su «Il Sole 24 Ore» del 11 marzo 2023]

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