Le cooperative di comunità nella nuova legge della Regione Lazio

Nel Bollettino ufficiale del 4 marzo scorso della Regione Lazio è stata pubblicata la l.r. 1/2021, recante disposizioni in materia di cooperative di comunità.

Come può evincersi dal dettato normativo, la regione Lazio riconosce e supporta il ruolo e la funzione delle cooperative di comunità: si tratta di soggetti che intendono avvantaggiare determinate comunità territoriali, elette come proprie dai soci promotori, oppure alle quali appartengono i soci promotori. Le cooperative di comunità, al fine di rafforzare il sistema produttivo integrato e valorizzare le risorse e le vocazioni territoriali, pongono in essere iniziative a sostegno dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale (art. 1).

Attraverso l’art. 2, si procede a definire le cooperative di comunità e a perimetrarne l’ambito operativo. Le cooperative di comunità devono essere costituite in forma di società cooperativa (art. 2511 ss. c.c.). Esse, per contrastare fenomeni di spopolamento, degrado e criticità ambientali, promuovono la partecipazione della popolazione residente alla gestione dei beni o dei servizi collettivi e valorizzano le competenze della popolazione e le tradizioni territoriali attraverso lo sviluppo di attività economiche sostenibili volte: i) al mutuo scambio di beni e servizi; ii) alla riqualificazione delle infrastrutture e del patrimonio immobiliare pubblico; iii) alla creazione di nuove opportunità lavorative e reddituali.

La sostenibilità coincide con l’integrazione e la valorizzazione dei soggetti più fragili della comunità territoriale, così favorendo il loro diritto al lavoro, nonché con la trasmissione di esperienze intergenerazionali all’interno della comunità e con il sostegno dei lavoratori con disabilità.

Come precisato dall’art. 2, comma 3, tra le attività che possono essere esercitate dalle cooperative di comunità rientrano anche le attività d’impresa di interesse generale disciplinate all’art. 2, comma 1, d.lgs. 112/2017 (si tratta del decreto attraverso per mezzo del quale è stata riformata l’impresa sociale). Si tratta di un importante raccordo tra la disciplina regionale e la normativa nazionale in materia di impresa sociale: a quest’ultima le cooperative in questione dovranno uniformarsi per ottenere, eventualmente, la qualifica di impresa sociale, nonché di ente del Terzo settore secondo quanto disposto dal codice del Terzo settore (d.lgs. 117/2017).

Le società cooperative possono realizzare scambi mutualistici; contestualmente, devono avere sede nella regione Lazio e operare prevalentemente in aree montane, interne o a rischio di spopolamento, ovvero caratterizzate da situazioni di criticità sociale e ambientale. In alternativa, potranno agire in contesti periferici, contraddistinti da fenomeni di marginalità sociale ed educativa, economica e di mercato.

Per quanto concerne la compagine societaria, può osservarsi come lo status di socio possa essere acquisito dalle persone fisiche residenti o attive con continuità nel territorio di riferimento della cooperativa di comunità, nonché dalle persone giuridiche con sede nel medesimo territorio o ivi continuativamente operanti (art. 3).

La legge regionale prevede l’istituzione di un apposito albo a cui le società cooperative si iscrivono per ottenere il riconoscimento di cooperativa di comunità e per poter essere destinatarie di contributi e incentivi previsti dalla legge in rassegna (art. 6).

Attenzione merita l’art. 8, rubricato “Strumenti e modalità di raccordo”: tra le diverse modalità di sostegno e di supporto alle cooperative di comunità, è previsto che la regione Lazio, in attuazione dei principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, favorisca il coinvolgimento attivo di questi soggetti nelle funzioni pubbliche di programmazione e progettazione nell’ambito degli interventi e dei servizi di interesse pubblico o di utilità sociale. Più precisamente, è disposto che la regione possa promuovere forme di raccordo tra le attività delle cooperative e quelle delle amministrazioni pubbliche competenti mediante l’adozione di appositi schemi di convenzione, ovvero dando attuazione alle forme di coinvolgimento attivo previsto dall’art. 55 codice del Terzo settore.

La legge regionale individua, quindi, le cooperative comunità quali soggetti da poter coinvolgere nelle funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attività di interesse generale, così come disciplinate dall’art. 5 del codice del Terzo settore. Tale iniziativa legislativa ambisce a rafforzare e a dare concretezza al principio di sussidiarietà orizzontale, senza violare il codice del Terzo settore.

Una simile traiettoria è stata già tracciata dalla legge della regione Umbria 11 aprile 2019, n. 2, laddove è previsto che la Regione, riconoscendo il rilevante valore sociale e la finalità pubblica della cooperazione in generale e delle cooperative di comunità in particolare, possa disciplinare le modalità di attuazione della co-programmazione, della co-progettazione e dell’accreditamento previste dall’articolo 55 del codice del Terzo settore e le forme di coinvolgimento delle cooperative di comunità e, in tale contesto, possa adottare appositi schemi di convenzione-tipo che regolamentino i rapporti tra le cooperative di comunità e le stesse amministrazioni pubbliche operanti nell’ambito regionale (art. 5, comma 1, lett. b). Tale previsione legislativa è stata ritenuta conforme al dettato costituzionale da parte della Corte costituzionale (sentenza n. 131/2020). Secondo i giudici costituzionali, la legge umbra non provvede né a qualificare le cooperative di comunità come enti del Terzi settore, né altera i presupposti dell’art. 55 codice del Terzo settore. Pertanto, occorrerà sempre tenere distinte: a) le modalità attuative dell’art. 55 codice del Terzo settore, per quanto concerne gli enti del Terzo settore, e anche le cooperative di comunità che possano risultare tali; b) le forme di coinvolgimento delle cooperative di comunità, che siano solo così qualificabili, ma non già enti del Terzo settore, e che non potranno essere coinvolte con gli stessi strumenti e modalità riservati dal legislatore statale agli enti del Terzo settore ai sensi del citato art. 55 codice del Terzo settore.

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