[di Gabriele Sepio e Vincenzo Sisci, pubblicato su «Il sole 24 Ore» di Venerdì 11 Aprile 2025, pag. 38]
La crescente diffusione di progetti di amministrazione condivisa sul territorio e nelle comunità locali rende necessaria una chiara classificazione dei contributi erogati nell’ambito della co-progettazione sia ai fini dell’IVA e delle imposte dirette che in relazione alla normativa sugli aiuti di Stato. Tre punti che possono essere chiariti solo tenendo bene in considerazione le peculiarità dell’amministrazione condivisa, che si fonda sulla comunanza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse fra gli enti pubblici e gli Ets partecipanti, uniti nella programmazione e progettazione, in comune, di servizi e interventi di coesione e protezione sociale. Un rapporto inedito fra pubblico e privato sociale ben distante dalla logica dello scambio.
In primo luogo, per quanto concerne l’inquadramento ai fini IVA dei contributi pubblici percepiti nell’ambito della co-progettazione, questi dovrebbero essere considerati esclusi dall’imposta, così come emerge dal condivisibile orientamento dell’Agenzia delle entrate (Risp. n. 904-785/2024). Secondo l’Amministrazione finanziaria, infatti, le risorse economiche erogate da una P.A. non costituiscono corrispettivo ma un contributo ai sensi dell’art. 12 della legge 241/1990. Con la conseguenza che tali somme devono considerarsi fuori campo IVA, in quanto non vanno a remunerare una prestazione sinallagmatica ma finanziano attività di interesse generale svolte a beneficio della collettività e non dell’amministrazione erogante.
Simili princìpi appaiono, poi, rilevanti anche ai fini dell’inquadramento dei contributi ai fini dell’IRES. L’assenza di un sinallagma nelle convenzioni di co-progettazione conduce a escludere la natura reddituale dell’erogazione pubblica. Difatti, in luogo di rivolgersi al mercato tramite indizione di una gara di appalto, l’ente pubblico attiva una collaborazione con gli Ets per lo svolgimento in comune di un progetto di interesse generale, fondata sulla messa a disposizione reciproca di risorse. E, di norma, se l’Ets apporta il suo “know-how sociale” nell’esecuzione delle attività, l’ente pubblico offre la disponibilità dei propri beni; pensiamo all’assegnazione di un immobile pubblico ove localizzare la co-progettazione, ma anche all’erogazione di risorse economiche. Sennonché in un simile contesto, estraneo alla logica commerciale e fondato sul principio di sussidiarietà, i contributi ricevuti dall’Ets appaiono privi di rilevanza impositiva. D’altronde, una simile ricostruzione è coerente all’innovativa concezione della fiscalità degli Ets emergente dalla comfort letter della DG Competition che ha dato il proprio via libera al regime fiscale del Terzo settore. Da questo punto di vista, infatti, anche laddove l’attività di co-progettazione prevedesse contributi pubblici specifici di natura corrispettiva in favore degli Ets, questi non assumerebbero rilevanza fiscale qualora dessero luogo a un avanzo di gestione inferiore al 6%; alla stregua delle imprese sociali, i cui utili sono detassati se impiegati per l’attività statutaria o accantonati a patrimonio.
Ultimo punto, l’inquadramento come aiuti di Stato o meno dei contributi erogati nelle convenzioni di co-progettazione, stante l’equivoco, emerso in alcuni regolamenti comunali, in merito alla necessità di computare i contributi pubblici entro il plafond degli aiuti de-minimis. Le procedure di amministrazione condivisa, fondate sulla comunanza degli obiettivi e delle risorse, non si risolvono in una semplice deroga al Codice degli appalti, il che esclude che i relativi contributi possano essere considerati “selettivi”. Al contrario, come insegna la Corte Costituzionale, l’amministrazione condivisa è un “modello di condivisione della funzione pubblica” (sent. n. 131/2020), principio fondamentale per l’esclusione dei contributi dalla definizione di aiuto di Stato: difatti, le attività che rispondono alle funzioni pubbliche essenziali delle P.A., come la co-progettazione, non costituiscono a monte attività economica e non si collocano sul mercato, senza alcun rischio di distorsione della concorrenza.