La condivisione del sapere e il circuito virtuoso

Fare volontariato è una professione? Sembrerebbe un ossimoro, eppure non lo è. Lo si evince dai risultati dell’indagine esplorativa condotta dalla Fondazione Terzjus – in collaborazione con Fondazione Roche e la società Eudaimon – su 10 casi di aziende che hanno sviluppato il “volontariato di competenza”. Ovvero hanno “prestato” – in forma non onerosa – propri dipendenti ad Enti del Terzo settore (ETS) per sostenere e sviluppare progetti di utilità sociale. Ciò che emerge dalle interviste ai 24 volontari aziendali (l’ebook con i risultati della ricerca si può scaricare da www.terzjus.it), è che quando il sociale e le imprese fanno squadra, ne guadagna il bene comune.

L’originalità di queste singolari esperienze sta nell’aver preso in carico i bisogni delle persone e dei territori nelle loro fragilità, nel desiderio di fuoriuscita da una situazione di povertà, disagio, solitudine o esclusione. Per di più, i protagonisti del volontariato di competenza tendono a proporsi non come specialisti che con il loro sapere arrivano, risolvono il problema e se vanno. Piuttosto si presentano come attori di un processo di “coproduzione” dell’azione volontaria finalizzata a rispondere in modo efficace al bisogno individuato. Ovvero, i destinatari del progetto non sono dei semplici beneficiari, ma vengono coinvolti nella soluzione del problema a cui diventa possibile dare una risposta appropriata grazie anche alle competenze dei volontari aziendali.

Non è un caso che dalle testimonianze raccolte, molti dei volontari al termine della loro “leva volontaria”, si sentano trasformati, cambiati da ciò che hanno vissuto fuori dalle mura aziendali tanto che poi, in non pochi casi, l’esperienza vissuta diventa la premessa di un mutamento sia del proprio percorso professionale, sia dello “sguardo” sui problemi che si sono affrontati; sia, infine, della scoperta di competenze non valorizzate nel ruolo aziendale ricoperto. Dunque, attraverso il volontariato di competenza – che rappresenta per ora un segmento modesto del più generale fenomeno del volontariato aziendale – si può attivare un circuito virtuoso tra imprese profit ed ETS, nel senso che le competenze professionali dei volontari aziendali possono diventare un risorsa importante  per lo sviluppo e la qualificazione di attività e servizi di interesse generale.

Certamente come tutti i fenomeni presenta delle criticità ma anche potenzialità. Aspetto quest’ultimo che va identificato nel virtuoso intreccio tra volontariato di competenza e welfare aziendale. Due strategie che possono alimentarsi a vicenda in quanto mettono in relazione il benessere percepito “dentro” e “fuori” dall’azienda. Uno strumento quello del volontariato di competenza peraltro ulteriormente “forgiato” dalla Riforma del Terzo settore che consente di “distogliere” il lavoratore dal proprio compito aziendale per prestarlo ad un ETS avvalendosi anche di una facilitazione fiscale mediante la quale si può godere di una riduzione del costo del lavoro da sopportare. Infatti con la riattualizzazione dell’art.100 del TUIR, si premiano le aziende dove si sviluppa il volontariato di competenza attraendo nel sistema d’impresa voci di spesa non collegate all’attività tipica, ma orientate esclusivamente al bene comune.

Luigi Bobba, pubblicato a pag. 38 de «Il Sole 24 Ore» del 7 luglio 2022

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