Dimensione collettiva e attitudine performativa: spunti sul Terzo settore a partire da un recente libro

Gli scritti di Franco Archibugi, raccolti nel volume intitolato “Il privato collettivo. Un nuovo socialismo che sta cambiando il paese” (Luiss University Press, Roma, 2022), curato da Nicola Acocella e Piero Schiavello, offrono una peculiare chiave di lettura dei fenomeni dell’agire in forma aggregata, della transizione dal Welfare State alla Welfare Society, nonché della responsabilità sociale dei corpi intermedi rappresentativi del Terzo settore.

Proprio con riferimento a quest’ultimo profilo, scrive Giuliano Amato nella Prefazione che in Italia la responsabilità sociale si sta affermando senza attendere «gli impulsi delle istituzioni in chiave di democrazia deliberativa», prendendo piede direttamente dal basso, ovvero mediante «la straordinaria diffusione e il reticolo di attività del Terzo settore» [p. 15]. Gli enti del Terzo settore, ora disciplinati dal codice del Terzo settore (d.lgs. 117/2017) sono portatori di interessi collettivi non meno delle istituzioni pubbliche e, pertanto, sono «abilitati a programmare e progettare gli interventi per la tutela di questi interessi» [p. 15]: ciò genera una simbiosi tra pubblico e privato che, se adeguatamente praticata, «può produrre un radicamento delle istituzioni democratiche altrimenti impensabile» [p. 15].

Nel primo Capitolo, intitolato “Tra neo e post-capitalismo”, A. esamina il rapporto tra le varie fasi del capitalismo e l’impatto della tradizione culturale socialista (tema, quest’ultimo, al centro del secondo Capitolo), constatando l’attuale emergere – e il progressivo consolidarsi – di una società post-capitalista contraddistinta da quattro caratteri [p. 34]:

  1. espansione dell’area non-mercantile e declino della produzione capitalistica e della profittabilità;
  2. diffusione della piccola e media impresa non capitalistica anche nel settore for profit;
  3. genesi e sviluppo del Terzo settore no profit nell’economia;
  4. crescita qualitativa e declino quantitativo dello Stato.

Il Terzo settore rappresenta la risposta, sia in termini di solidarietà e di volontariato sociale, sia in termini culturali e scientifici, alla «incapacità del sistema capitalista di offrire una libera scelta di attività e di libero lavoro ed applicazione agli individui» [p. 36]: si tratta di una manifestazione dell’economia associativa che segna il passaggio dal capitalismo al post-capitalismo e determina un affrancamento degli individui dal lavoro comandato e svolto per necessità (definito dall’A. vol-work: lavoro volontario) [pp. 161-163]. Il settore del “fai da te”, ovvero dello scambio non mercantile, prosegue A., sebbene non privo di forme equivoche, “di economia sotterranea”, dimostra «una certa emancipazione economica delle famiglie e degli individui dal capitale e dai suoi condizionamenti» [p. 36]. Il Terzo settore segna, come si potrà leggere nel Capitolo conclusivo dell’opera, la forma di produzione «con cui il socialismo si può realizzare nel migliore dei modi» [p. 162].

Il Capitolo si chiude con notazioni sul declino dello Stato e sulla sempre più avanzata pianificazione: «nella società post-capitalista, il processo politico tende a diventare così ricco e complesso, e così coinvolgenti i cittadini e i gruppi ufficiali e informali della società civile, che possono diventare una inevitabile ed imperativa necessità il coordinamento e la pianificazione delle decisioni» [p. 40].

A., attraverso il terzo Capitolo, dedicato alle trasformazioni strutturali intervenute nella società contemporanea, censisce i cambiamenti intercorsi nelle attività produttive e nel mondo del lavoro: fine dell’agricoltura, declino industriale, sviluppo delle pmi e calo del lavoro dipendente. La società post-capitalista registra l’espansione del settore terziario, lo sviluppo dell’occupazione quaternaria e precaria, nonché l’elevata specializzazione delle professioni. L’occupazione stessa diviene «una grande occasione di apprendimento, di educazione continua […]» [p. 54]. La conoscenza – archetipo di ricerca, invenzione, capacità dirigenziale e professionalità – risulta centrale nei rapporti di lavoro e nelle nuove forze materiali della produzione e nella combinazione dei fattori produttivi, surclassando il capitale [pp. 60-61].

In questo scenario le attività no profit, che A. invita a non confondere con quelle meramente dettate da generosità e solidarietà, esistenti anche in società pre-capitaliste, tendono a sostituire le attività lucrative, in quanto «è il fine di lucro di per sé che si sta – nel capitalismo estremo – indebolendo nelle motivazioni umane sia di intrapresa che di lavoro. E viene sempre più sostituito da altri fini individuali e collettivi, connessi più alla socialità e al benessere generale […]» [p. 62]. Protagonista indiscusso nel perseguimento di fini meta-economici è l’associazionismo che ha «la qualità di coniugare insieme scopi politici e sociali con l’iniziativa libera e autonoma, per definizione più efficiente di quella burocratica» [p. 62]: esso è ben lontano dalla statalizzazione affetta da gigantismo e da spersonalizzazione e dalla privatizzazione di mercato volta unicamente al profitto [p. 165].

Nel quarto Capitolo, incentrato sul transito dal Welfare State alla Welfare Society, A. avverte come le attività no profit e associative abbiano un peso specifico crescente nel settore lavorativo ed influiscano radicalmente sull’intero sistema economico, decretando così l’obsolescenza di «assunzioni e teoremi della teoria economica dominante» [p. 73]. Occorre, dunque, acquisire consapevolezza del radicarsi di una economia fondata su prestazioni slegate dalla percezione monetaria e dal profitto ed invero capace di esaltare l’interesse sociale e la socialità [p. 75].Nel quarto Capitolo, incentrato sul transito dal Welfare State alla Welfare Society, A. avverte come le attività no profit e associative abbiano un peso specifico crescente nel settore lavorativo ed influiscano radicalmente sull’intero sistema economico, decretando così l’obsolescenza di «assunzioni e teoremi della teoria economica dominante» [p. 73]. Occorre, dunque, acquisire consapevolezza del radicarsi di una economia fondata su prestazioni slegate dalla percezione monetaria e dal profitto ed invero capace di esaltare l’interesse sociale e la socialità [p. 75].

Il quinto Capitolo è dedicato alle attività non-di mercato – attinenti all’educazione, alla sanità e alla cultura, che negli ultimi tre decenni del secolo passato hanno registrato una forte crescita sul totale delle «transazioni societali» [p. 77] – e al futuro del capitalismo. A. passa in rassegna il funzionamento del Welfare State, fondato esclusivamente sull’azione redistributrice, equilibrante e compensativa dello Stato, e le caratteristiche della Welfare Society, ove il benessere, intimamente connesso alla pianificazione (planning society), è fondato «su una struttura della società più equa e più funzionale; più integrata […]; e più democratica, politicamente ed economicamente» [p. 79]. Il nuovo equilibrio si affida all’organizzazione e alla composizione negoziale del conflitto; esso risulta legato ad un processo ex ante di programmazione e di concertazione, così superando il modello della correzione (dei fallimenti del mercato) e degli aggiustamenti tipicamente ex post apportati alla società pianificata (planned society) [pp. 90-91].

A., nuovamente, insiste sulle potenzialità e sull’autonomia del Terzo settore, i cui soggetti agiscono senza fini di lucro e sono volti alla produzione e alla gestione di interessi collettivi [pp. 96-98]; il settore privato-collettivo, forte della sua connotazione associativa, è meglio organizzato e più efficiente delle istituzioni pubbliche e delle grandi imprese, si colloca tra statalismo ed economia del profitto privato ed esprime «un forte carattere di socializzazione dei mezzi e dei fini della produzione» [p. 98]. Rimane essenziale procedere ad una istituzionalizzazione di questo settore che consenta di definire con nettezza caratteristiche e finalità, impedendo commistioni con il comparto pubblico e con quello lucrativo [p. 99] e, al contempo, prevenendo degenerazioni opportunistiche, clientelari, burocratiche e corporative [p. 164]. Pertanto, la mutazione del Welfare State coincidente con l’emergere del Terzo settore «sembra possibile – senza gravi crisi nel modus operandi dei due settori tradizionali, pubblico e privato – solo se l’insieme dello sviluppo e della operatività dei tre settori verrà tenuto sotto controllo da una procedura di pianificazione, entro la quale e in base alla quale si attuino quelle opzioni necessarie per garantire una funzionalità adeguata all’insieme, soprattutto dal punto di vista delle compatibilità di uso delle risorse e della eliminazione di inceppamenti e sprechi della operatività stessa» [p. 103].

I profili della contrattazione ovvero della concertazione di piano, nonché della programmazione sociale, intesi quali strumenti necessari per la costituzione e l’affermazione della società del benessere, vengono approfonditi attraverso una analisi storico-politica, attenta al pensiero e alle dinamiche socialisti, nei Capitoli sesto e settimo.

L’ottavo e ultimo Capitolo, invece, è intitolato “Una agenda rinnovata della politica socialista a medio termine”. A. reputa necessario avviare una maggiore integrazione dello Stato nella società civile: il principio di sussidiarietà dovrebbe allora conoscere una espansione applicativa, «nel senso che si potrebbe rendere libera la società civile di gestire autonomamente quote parti del benessere in modo non lesivo di scelte delle altre componenti l’insieme dell’assetto societale» [p. 152]. Per A. occorrerebbe procedere ad una programmazione generale societale (PGS) che contamini l’intero agire delle amministrazioni pubbliche.

La programmazione strategica delle politiche pubbliche dovrebbe favorire la devoluzione, in outsourcing, di servizi alle organizzazioni associative no profit, reali esponenti della rigenerazione sociale ed economica. Il Terzo settore, secondo la lettura di A., può garantire la «deburocratizzazione del welfare, la sua maggiore adesione alle preferenze dei cittadini e delle famiglie, un maggiore controllo soggettivo del rapporto con il servizio goduto e probabilmente un accesso migliore alla collaborazione anche finanziaria dei partecipanti abbienti» [p. 165]. Al fine di sostenere il no profit occorre elaborare una politica di sostegno che:

  1. preveda agevolazioni fiscali;
  2. favorisca la concorrenza tra organizzazioni no profit e imprese for profit in materia di servizi e appalti pubblici;
  3. definisca standard di performance;
  4. agevoli crediti etici alle organizzazioni no profit mediante fondi di garanzia.

Le riflessioni di Franco Archibugi si rivelano tuttora di fondamentale importanza ed hanno, in qualche modo, anticipato l’esito cui è pervenuto il legislatore italiano mediante l’introduzione del codice del Terzo settore. Con tale intervento disciplinare: i) è stata conferita piena e autonoma dignità istituzionale agli enti del Terzo settore; ii) sono state disciplinate le fattispecie della co-programmazione, della co-progettazione e dell’accreditamento in ossequio ai principi di sussidiarietà e cooperazione. Infatti, come previsto dall’art. 55 del codice del Terzo settore, le pubbliche amministrazioni, nell’esercizio delle funzioni di programmazione e organizzazione degli interventi e dei servizi nei settori di attività di interesse generale, di cui all’art. 5 del codice del Terzo settore, assicurano il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore. Nell’interpretare l’articolo in questione, la Corte costituzionale ha rilevato come ci si imbatta dinanzi ad un “canale di amministrazione condivisa, alternativo a quello del profitto e del mercato: la «co-programmazione», la «co-progettazione» e il «partenariato» (che può condurre anche a forme di «accreditamento») si configurano come fasi di un procedimento complesso espressione di un diverso rapporto tra il pubblico ed il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico”. Il modello configurato dall’art. 55 del codice del Terzo settore “non si basa sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata, ma sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico” (sentenza n. 131/2020).

TUTTI I DIRITTI RISERVATI. È vietato qualsiasi utilizzo, totale o parziale, del presente documento per scopi commerciali, senza previa autorizzazione scritta di Terzjus.
Torna in alto

Ricevi aggiornamenti,
news e approfondimenti sulle attività di Terzjus