Trasformazione di una ODV in APS e mancanza del Registro unico nazionale del Terzo settore

Il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali (da ora, Ministero), attraverso la nota n. 4313 del 18 maggio 2020, ha precisato alcuni rilevanti aspetti che riguardano la trasformazione di una ODV in APS nelle more dell’attuale regime transitorio delineato dal Codice del Terzo settore (d.lgs. 117/2017 e, da ora, Codice). 

Il Ministero ha, da subito, posto in rilievo come la nuova codificazione esprima un intervento riformatore volto ad assicurare una coerenza giuridica, logica e sistematica agli enti del Terzo settore: in tale prospettiva si inserisce l’art. 4 del Codice che delinea un insieme articolato e teleologicamente coerente delle varie soggettività giuridiche1. L’intervento normativo, pur riconoscendo le peculiarità proprie e le caratteristiche morfologiche delle diverse persone giuridiche, rimarca l’importanza di una connotazione unitaria degli enti del Terzo settore che risultano contraddistinti dall’assenza di scopo di lucro e dal perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, perseguite mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale, così come censite dall’art. 5 del Codice2

Condizione imprescindibile per poter appartenere alla galassia degli enti del Terzo settore è l’iscrizione nel Registro unico nazionale del Terzo settore (da ora, RUNTS), puntualmente disciplinato dal Titolo VI del Codice3. Con la piena operatività del RUNTS si intende superare la parcellizzazione dei registri previsti dalle leggi istitutive delle ODV (l. 266/91) e delle APS (l. 383/2000): ad oggi, alla mancata adozione del RUNTS si affianca la necessità, come sottolineato dal Ministero, di considerare le previsioni recate dal Codice che risultano dirette a guidare la transizione tra i sistemi tuttora vigenti e il nuovo impianto normativo. L’art. 101, comma 2, del Codice puntualizza che, fino all’operatività del RUNTS, continuano ad essere applicate le norme previgenti ai fini e per gli effetti derivanti dall’iscrizione degli enti nei registri speciali già esistenti. Come previsto dall’art. 101, comma 3, del Codice, il requisito dell’iscrizione al RUNTS, stante l’assenza di quest’ultimo, è, medio tempore, soddisfatto dall’iscrizione nei registri indicati dalle normative settoriali4

Ciò considerato, nell’ambito dell’adeguamento statutario delineato dall’art. 101, comma 2, del Codice, una ODV che intenda assumere la qualifica di APS deve tenere conto dell’attuale, ancorché parziale, vigenza della l. 383/2000 e, più specificamente, dell’art. 7 e dell’art. 8. Nel caso di specie, il possesso del requisito temporale minimo di un anno di operatività condiziona l’iscrizione della APS nell’apposito registro: il Ministero procedente ha chiarito che tale vincolo continui a produrre pienamente effetti, interpretando ciò “in un’ottica teleologicamente unitaria delle distinte tipologie di enti ricompresi nella definizione di ETS ex art. 4, comma 1 del codice e conseguentemente delle diverse sezioni dell’istituendo RUNTS verso il quale le APS e le ODV iscritte nei corrispondenti registri regionali e nazionale trasmigreranno”. La soluzione tracciata dal Ministero del lavoro risulta coerente con il dato formale – che richiama il funzionamento e le regole dei registri esistenti -, ma, al contempo, intende salvaguardare, in questa fase transitoria, il pluralismo e la piena autonomia organizzativa dei singoli enti5.

Il passaggio, cui consegue la cancellazione, dal registro ODV al registro APS presenta delle criticità di natura patrimoniale che, attraverso l’interpretazione del Codice, vengono ricomposte dal Ministero. Il mutamento qualificativo non determina una fuoriuscita dall’alveo degli enti del Terzo settore: a riprova di un approccio globale ed inclusivo che accompagna il processo riformatore, può essere interpretata la previsione riguardante la devoluzione del patrimonio (art. 9 del Codice), letta congiuntamente all’art. 50 del Codice, dedicato alla cancellazione e migrazione dell’ente del Terzo settore in una diversa sezione6. La devoluzione del patrimonio residuo è omogenea – poiché mira ad una attribuzione a favore di enti con la medesima finalità7 -, nonché sottratta all’autonomia privata – poiché l’art. 9 del Codice dichiara testualmente nulli gli atti devolutivi del patrimonio residuo effettuati in assenza o contrariamente al parere reso dall’Ufficio territorialmente competente del RUNTS8 – e correlata all’estinzione o allo scioglimento dell’ente che quindi viene cancellato dal RUNTS. Inoltre, nel caso in cui l’ente voglia operare ai sensi della disciplina del Codice civile è tenuto a devolvere preventivamente il patrimonio nei limiti degli incrementi realizzati negli esercizi di iscrizione nel RUNTS9

Il legislatore, tuttavia, non intende colpire e pregiudicare la stabilità patrimoniale dell’ente del Terzo settore che intenda modificare la propria qualificazione, afferendo ad una diversa sezione del RUNTS, ma continuando a rappresentare pur sempre un ente del Terzo settore. L’art. 50, comma 3, del Codice delinea la possibilità di formulare una richiesta di migrazione per sopravvenuta mancanza di requisiti legittimanti l’iscrizione in una determinata sezione del RUNTS, ma non estende il deteriore trattamento in termini di devoluzione del patrimonio previsto, invece, unicamente per gli enti cancellati dal RUNTS. Tale meccanismo operativo, come puntualizzato dalla nota in rassegna, deriva dal permanere del vincolo di destinazione impresso sul patrimonio del nuovo ente del Terzo settore che continua ad essere utilizzato in via dell’esclusivo perseguimento delle finalità istitutive10. In tal modo, si intende assicurare concreta operatività agli enti del Terzo settore, anche a seguito di una variazione di qualifica e di una mera migrazione interna al RUNTS.

A conclusione della nota, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali esclude che possa ricadersi nella fattispecie della trasformazione dell’ente, come ora disciplinata dall’art. 42-bis c.c.11: piuttosto, la conversione dell’ODV in APS segna un mutamento del regime giuridico cui l’ente viene assoggettato, concretizza il principio della continuità dei rapporti giuridici, ma non altera la natura associativa, solo oggi divenuta comune ai due enti del Terzo settore (come disposto dall’art. 32, par. 1, e dall’art. 35, par. 1, del Codice)12.

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[1]

Per considerazioni introduttive, v. A. Fici, Introduzione: la riforma come opportunità per il terzo settore e G. Ponzanelli, V. Montani, Dal “groviglio di leggi speciali” al Codice del terzo settore, ambedue in A. Fici (a cura di), La riforma del terzo settore e dell’impresa sociale. Una introduzione, Napoli, 2018, rispettivamente a p. 15 ss. e p. 31 ss. In tema, cfr., altresì, M. Rispoli Farina, Il codice del terzo settore tra novità e contraddizioni e M.A. Ciocia, Il codice del Terzo settore e la complessa coesistenza di una pluralità di regimi normativi, ambedue in D. Di Sabato, O. Nocerino (a cura di), Il terzo settore. Profili critici della riforma, Napoli, 2019, rispettivamente a p. 3 ss. e p. 23 ss.

[2]

A. Fici, Fonti della disciplina, nozione e governance degli enti del terzo settore, in Id. (a cura di), La riforma del terzo settore e dell’impresa sociale. Una introduzione, cit., p. 83 ss. Sulla dinamica dell’attività come requisito della fattispecie dell’ente del terzo settore, v. Id., L’attività degli enti del Terzo settore, in M. Gorgoni (a cura di), Il codice del terzo settore. Commento al Decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, Pisa, 2018, p. 61 ss. V., anche, G. Marasà, Appunti sui requisiti di qualificazione degli enti del terzo settore: attività, finalità, forme organizzative e pubblicità, in Nuove leggi civ. comm., 2018, p. 671 ss.

[3]

Cfr. V., altresì, I.L. Nocera, Il Registro unico e il regime pubblicitario, in F. Donati, F. Sanchini (a cura di), Il Codice del Terzo settore. Commento al d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117 e ai decreti attuativi, Milano, 2019, p. 215 ss.; R. Catalano, Il Registro Unico Nazionale ed il riconoscimento della personalità giuridica agli enti del terzo Settore, in D. Di Sabato, O. Nocerino (a cura di), Il terzo settore. Profili critici della riforma, cit., p. 37 ss.

[4]

C. Fusco, Registro unico nazionale del Terzo settore: attuazione tardiva di una necessità impellente, in M. Schirripa (a cura di), Il Terzo settore e la Stella del no profit corso di diritto civile – anno 2016-2018 in ricordo di Sebastiano Ciccarello, Napoli, 2019, pp. 408-410.

[5]

C. Amato, Ordinamento e amministrazione, in M. Gorgoni (a cura di), Il codice del terzo settore. Commento al Decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, cit., p. 215 ss. Amplius, v. A. Fici, Profili e principi generali della riforma del Terzo settore, in Id., E. Rossi, G. Sepio, P. Venturi, Dalla parte del Terzo settore. La Riforma letta dai suoi protagonisti, Bari-Roma, 2019, spec. p. 40 ss.

[6]

Ai sensi dell’art. 9 del Codice è previsto che “In caso di estinzione o scioglimento, il patrimonio residuo è devoluto, previo parere positivo dell’Ufficio di cui all’articolo 45, comma 1, e salva diversa destinazione imposta dalla legge, ad altri enti del Terzo settore secondo le disposizioni statutarie o dell’organo sociale competente o, in mancanza, alla Fondazione Italia Sociale. Il parere è reso entro trenta giorni dalla data di ricezione della richiesta che l’ente interessato è tenuto a inoltrare al predetto Ufficio con raccomandata a/r o secondo le disposizioni previste dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, decorsi i quali il parere si intende reso positivamente. Gli atti di devoluzione del patrimonio residuo compiuti in assenza o in difformità dal parere sono nulli”.

[7]

A. Gorassini, Un percorso random nella post moderna città del diritto. Alla ricerca della via maestra del terzo settore, in M. Schirripa (a cura di), Il Terzo settore e la Stella del no profit corso di diritto civile – anno 2016-2018 in ricordo di Sebastiano Ciccarello, cit., p. 233.

[8]

D. Di Sabato, La definitività dell’atto di dotazione di beni in favore dell’associazione: divieto di recupero dell’apporto e obbligo di devoluzione, in Ead., O. Nocerino (a cura di), Il terzo settore. Profili critici della riforma, cit., p. 68.

[9]

Cfr. D. Poletti, Scioglimento, in M. Gorgoni (a cura di), Il codice del terzo settore. Commento al Decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, cit., p. 262 ss.; A. Bucelli, Destinazione e devoluzione del patrimonio (Articoli 8-12), in F. Donati, F. Sanchini (a cura di), Il Codice del Terzo settore. Commento al d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117 e ai decreti attuativi, cit., p. 55 ss.

[10]

R. Di Raimo, Destinazione e disciplina del patrimonio, in M. Gorgoni (a cura di), Il codice del terzo settore. Commento al Decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, cit., p. 81 ss., p. 92 ss.

[11]

Cfr. A. Fusaro, Trasformazione, fusione e scissione degli enti del libro primo del codice civile e degli enti del terzo settore, in A. Fici (a cura di), La riforma del terzo settore e dell’impresa sociale. Una introduzione, cit., p. 427 ss., p. 448 ss.; M. Bianca, Trasformazione, fusione e scissione degli enti del terzo settore, in Orizz. dir. comm., 2018, 2, p. 1 ss.

[12]

Secondo il Ministero, resta ferma “l’identità di ratio sottesa ad entrambe le fattispecie (ovvero quella di accompagnare l’evoluzione dell’ente con un più adeguato e opportunamente formalizzato assetto organizzativo”.

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