[di Lugi Bobba, pubblicato su «Il Riformista» di giovedì 26 ottobre 2023, pag.10]
Come sta il Terzo settore dopo la riforma e con l’avvio del Registro unico del terzo settore (RUNTS)? A questa domanda – formulata in una survey realizzata nel maggio scorso dalla Fondazione Terzjus in collaborazione con Italia non profit – hanno risposto 450 enti nuovi iscritti al Registro. I “prudenti” – ovvero quelli che sono ancora in una posizione di attesa ma con uno sguardo positivo – sono la maggioranza (oltre il 40%). Diminuiscono i “critici” (la situazione è peggiorata) e crescono gli “entusiasti” (le cose vanno decisamente meglio). Dunque il “sentiment” prevalente sui possibili effetti della riforma del Terzo settore è all’insegna di un cauto ottimismo. E d’altra parte, uno sguardo d’insieme – quello proposto dalla Fondazione Terzjus nell’annuale Rapporto sullo stato e l’evoluzione del diritto del Terzo settore in Italia (liberamente scaricabile dal sito della fondazione), ci consegna una fotografia fatta di luci e di ombre, anche se va detto che i decreti relativi alla nuova regolazione sono ormai quasi completati. Manca però all’appello l’autorizzazione comunitaria su alcune norme fiscali che prevedono un trattamento più favorevole per gli Enti del Terzo Settore. È altresì in fase di completamento la complessa operazione di avvio del RUNTS che ha comportato la trasmigrazione di più di 70.000 organizzazioni da oltre 50 diversi registri regionali o locali. Infatti sono ora più di 117.000 gli enti iscritti al Registro Unico del Terzo settore; di questi oltre 22.000 sono nuovi iscritti; circa 5000 le nuove imprese sociali, nate o qualificatesi tali, dalla fine del 2017 ad oggi. Per più dei due terzi di 450 enti nuovi iscritti al RUNTS che hanno partecipato alla survey del 2023, l’iscrizione al Registro rappresenta un’opportunità da non perdere e solo per un quarto un mero adempimento burocratico.
Per la prima volta il Terzjus Report ha provato a tirare le somme relativamente a una delle opportunità previste per gli ETS fin dal 2018. Il riferimento è alle norme circa le detrazioni relative alle erogazioni liberali effettuate dai contribuenti verso gli ETS. Ebbene, dai dati forniti dal MEF Dipartimento delle Finanze, risulta che solo una piccola quota di contribuenti – tra il 2 e il 2,7%, se si escludono gli incapienti – negli anni 2019, 2020 e 2021 si è avvalso delle previste detrazioni fiscali. La stessa percentuale la troviamo anche dall’analisi di circa 1.300.000 dichiarazioni dei redditi di contribuenti che si sono rivolti al Caf Acli sempre nel triennio 2019/2021. Ma ecco la novità: non solo aumenta il numero totale dei contribuenti/donatori tra il 2019 e il 2021 (+5%), ma cresce in misura considerevole anche l’importo medio della doazione (+40%). È probabile che l’incremento della quota detraibile previsto dalla riforma – dal 26 al 30% per tutti gli ETS (e 35% per le sole Odv), nonostante l’anno orribile del Covid, abbia favorito questo maggior flusso donativo verso tutti gli ETS. Mediante la chiave di lettura dell’intero Rapporto – Dalla regolazione alla promozione. Una riforma da completare – si sono formulate cinque proposte finalizzate a porre l’accento sulla dimensione promozionale della riforma. In primo luogo, la leva fiscale. Qui, oltre a condurre in porto l’interlocuzione con la Commissione Europea per l’ottenimento dell’autorizzazione comunitaria, si richiama una nuova opportunità: quella di tradurre in norme operative alcuni principi di delega contenuti nella riforma del fisco – da poco varata dal Governo – relative alle imposte dirette, al regime IVA e all’IRAP per gli enti del Terzo settore. In secondo luogo, considerando il trend positivo – tra il 2019 e il 2021 – sia del numero dei contribuenti/donatori che dell’importo medio dalle donazioni, sembra ragionevole rafforzare l’incentivo fiscale previsto per le erogazioni liberali. Proposta che si muove in direzione diversa da quella indicata dal Governo nella bozza di legge di bilancio, nella quale anche le detrazioni per le erogazioni liberali verso gli ETS, sarebbero soggette ad una contrazione. Ancora – senza alcun intervento normativo – il Governo potrebbe promuovere l’utilizzo di due strumenti già pienamente in vigore: il 5×1000, cercando di raggiungere con una campagna promozionale il 44% di contribuenti con tassazione positiva che non si avvolgono di tale facoltà; dall’altro, dare un robusto sostegno al “Social Bonus” in modo da supportare gli ETS che decidono di rimettere a nuovo immobili pubblici inutilizzati o confiscati alle mafie per destinarli ad attività di interesse generale. Il ritardo nell’avvio di tale strumento, in ragione della formidabile leva fiscale (65% di detrazione) di cui possono godere le donazioni finalizzate a tale scopo, dal 2018 ad oggi ha comportato una perdita per gli ETS di circa 150 milioni di risorse.
Infine, due ultime indicazioni. La prima: per rendere meno arduo l’utilizzo degli istituti dell’Amministrazione Condivisa si potrebbe modificare l’art. 15 della legge 241/90 in modo da attribuire uno statuto generale ai rapporti collaborativi tra PA e ETS senza dover ricorrere a procedure concorrenziali di mercato. Il secondo: con l’ormai prossima approvazione della Raccomandazione sull’Economia sociale da parte del Consiglio Europeo prevista prima di fine anno, sarà di particolare importanza che il Governo italiano predisponga entro il 2024 un Piano strategico nazionale per il rafforzamento e lo sviluppo dei soggetti dell’Economia Sociale del nostro Paese con l’obiettivo di promuovere sia buona occupazione, sia inclusione sociale.