di Luca Jahier
[articolo pubblicato in euractiv.it 3 aprile 2023]
DISCLAIMER: Le opinioni espresse in questo articolo riflettono unicamente la posizione personale dell’autore/autrice.
In questi giorni sul #PNRR fioccano ogni serie di commenti, a volte anche esagerati e ingenerosi. In particolare colpiscono due cose: il fatto che da più parti si lasci trapelare che non riusciremo a spendere in tempo i soldi previsti, taluni azzardano, coperti da anonimato, anche meno del 50%. E dunque rassegnamoci a perderli. E poi la ricerca del caprio espiatorio, i governi precedenti, l’amministrazione, le regole europee.
Facciamo un po’ di chiarezza e qualche proposta.
In primo luogo, la tabella di seguito ci fa capire immediatamente quanto sia stata generosa l’Europa con l’Italia (ci viene destinato il 25% del NGEU) e, quindi, perché tutti siano preoccupati da un eventuale fallimento del piano italiano, perché non solo si confermerebbe il ben noto stigma sul Paese, ma manderebbe all’aria l’intera logica così innovativa di questo Piano e l’esperienza della sua unicità straordinaria verrebbe sotterrata per sempre. E i Paesi reticenti non ne vorrebbero sentir parlare mai più. E, infine, perché la logica del NGEU è quella che informa la ottima proposta di revisione del Patto di stabilità europeo. La proposta della Commissione europea non piace a talune capitali e il negoziato in corso in questi mesi ne verrebbe compromesso, a favore di soluzioni assai più conservative.
Certamente i governi precedenti non sono esenti da responsabilità e lo stesso governo Draghi aveva abbassato già due volte i target di spesa possibili negli ultimi mesi del suo mandato, anche in seguito al calo di coesione politica dovuta alla sfiducia al suo governo espressa a luglio 2022 da componenti rilevanti della sua maggioranza, indicando come si dovesse operare per recuperare. Così, certamente alcune delle proposte originarie probabilmente avrebbero dovuto essere diverse. Ma il governo Draghi, appena insediato, ereditava una bozza di proposta del governo Conte che era semplicemente impresentabile (a Bruxelles sarebbe stata bocciata) e non poteva certo permettersi di far saltare i soldi e neppure il lungo lavoro di raccolta delle indicazioni di priorità che aveva ricevuto, essendo la maggioranza del governo Conte parte prevalente della sua maggioranza. E i tempi stringevano. In poco più di un mese, ha riscritto complemetamente il Piano, dato una solida coerenza intorno ai tre obiettivi principali, alle 6 missioni e 16 componenti di investimenti, cui aggiunse il corposo capitolo delle riforme che prima mancava del tutto. E il 21 aprile 2021 l’Italia ottenne, tra i primi, l’approvazione europea.
E anche nel passaggio delle consegne, il 23 ottobre 2022, il governo Draghi consegnò al governo Meloni una precisa ricognizione dello stato dell’arte, molto avanzato in alcuni casi (infrastrutture e mobilità sostenibile) assai meno in altri (digitale).
A cinque mesi dall’insediamento del nuovo governo è dunque lecito aspettarsi indicazioni assai più precise su ciò che va modificato, riformulato o accelerato. La revisione, ci hanno detto in ogni modo da Bruxelles, è possibile, ma tenendo conto che non si può stravolgere tutto il Piano. Ci sono regole precise per negoziare la flessibilità, per ciò che si può includere e ciò che è fuori. Il PNRR è fatto da tre componenti: riforme, investimenti e governance. La governance è stata interamente rivista, e siamo nel lungo iter di approvazione del Decreto e poi della sua implementazione (e i mesi intanto passano). Sugli investimenti da aggiornare il tempo scorre e ci sono scadenze a brevissimo. Non si può certo immaginare di rivedere anche il capitolo riforme, a due anni dall’adozione del Piano. Salterebbe il Piano e perderemmo qualunque credibilità.
Senza sottovalutare le difficoltà, alcune ben note e antiche (la difficoltà di spesa della pubblica amminstrazione) altre più recenti (inflazione, guerra, costi energia, etc.) e gli sforzi fatti da chi al governo è incaricato di coordinare il tutto, bisogna però che tutti si lavori presto per non perdere il treno e far riuscire quest’occasione unica per il Paese.
Mi permetto 4 sottolineature, per procedere celermente, con un’unità di sistema Paese:
- Non si tocchino o riducano o stravolgano nei fatti i tempi e il merito delle riforme previste. Sarebbe un vero harakiri, per il bene e anche per la reputazione del Paese;
- Si rivedano rapidamente gli investimenti previsti, cassando gli improbabili (gli stadi) o gli impossibili da realizzare nei tempi previsti, concordando con Bruxelles una lista aggiornata, anche in vista delle urgenze della sicurezza energetica;
- Si investa con decisione sul rafforzamento gestionale e operativo degli enti locali e territoriali e sulle tante forze sociali ed economiche del Paese, in una logica sussidiaria, che garantisca che il piano rafforzi la coesione sociale e territoriale e si creino prospettive di futuro, anche in termini di maggiore capacità realizzativa per gli altri fondi europei ordinari, per i quali siamo ancora più in ritardo che in passato;
- Per la parte di investimenti non realizzabili e per gli altri fondi aggiuntivi di RePowerEU, sia riformulino secondo il già riuscitissimo modello di InvestEU (e gli esempi di successo italiano non mancano!), puntando sul sistema delle imprese italiane, magari attraverso una rafforzata partnership con Cassa depositi e prestiti (Cdp), con meccanismi di crediti di imposta o crediti agevolati per investimenti strategici per il Paese. Ciò allegerirebbe il peso realizzativo dell’amministrazione pubblica, darebbe più fiato a forze vive del Paese e creerebe probabilmente anche un effetto volano per altri investimenti, come già fanno Spagna e, in parte, Grecia sulla parte a prestito dei rispettivi PNRR.
Ci si metta tutti, rapidamente, “alla stanga”, facendo presto e bene, senza più perdere altro tempo. Perdere il #PNRR non sarebbe solo perdere la faccia in Europa, sarebbe perdere il Paese. Non ce lo possiamo permettere. Chiunque governi.