Lo scorso primo marzo è stata lanciata una consultazione europea degli stakeholder che si è conclusa lo scorso 26 aprile, con ben 133 contributi i più vari e che certamente troveranno ulteriore eco nel Summit europeo dell’Economia Sociale già programmato per i prossimo 26-27 maggio a Mannheim e facendo anche tesoro della Conferenza organizzata dalla Presidenza portoghese lo scorso 29 marzo, per evidenziare il contributo della Economia sociale europea nella implementazione del Pilastro sociale Europeo.
Grazie all’azione convinta del Commissario Nicolas Schmit, siamo in presenza di nuovo momentum per un attore considerato sempre più rilevante per le politiche europee, in particolare di fronte alle transizioni sociali ed economiche in corso, verso una Europa sostenibile. E’ infatti indubbio che già nella prima decade del nuovo secolo il ruolo dell’Economia sociale è uscito finalmente dal cono d’ombra in cui era stato confinato alla fine del secolo precedente. Nella seconda decade, ha conosciuto una vera e propria esplosione di attenzione, riconoscimenti, politiche e strategie di sostegno, specifiche azioni di promozione e moltiplicazione di opportunità di accesso a linee di finanziamento dedicate o di inclusione in nuove linee di finanziamento pubbliche, apertura di nuovi filoni di finanza privata, moltiplicazione di legislazioni nazionali, quadri regolatori o piani di azione specifici a livello di alcuni Stati o Regioni.
La situazione odierna dell’economia sociale su scala europea si può dunque oggi sintetizzare in un un triplice allargamento:
- Dello spettro e del volume di azione.
- Della varietà degli attori in campo
- Degli strumenti di riconoscimento, regolamentazione e sostegno finanziario
Questo settore rappresenta ormai 2,8 milioni di imprese, pari all 10% del totale delle imprese europee; 13,6 milioni di occupati pari al 6,3% della forza lavoro europea; 83 milioni di volontari, equivalenti ad ulteriori 5,5 milioni di occupati a tempo pieno. Con una percentuale di occupati stabili che oscilla dallo 0,2%, fino al 9-10% di paesi come Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi, dimostrando da sole queste cifre il potenziale inespresso e cruciale in tempi di crisi postpandemica e di costruzione di società ed economie più resilienti.
Questo settore, peraltro, da tempo si apre ad ambiti che vanno ben al di là dei più tradizionali settori della creazione di occupazione, della distribuzione e dei servizi, delle politiche di protezione e assistenza sociale, per incrociare in modo, ormai non più solo sperimentale, le nuove ed emergenti prospettive dell’innovazione sociale, della economia collaborativa, dell’economia circolare, dell’economia dei beni comuni, della finanza di impatto, e così via.
Terzjus, l’Osservatorio italiano di diritto del Terzo Settore, della filantropia e dell’impresa sociale, ha deciso di partecipare alla consultazione europea, con un contributo principalmente focalizzato su due questioni di fondo, che ancora oggi risultano particolarmente carenti e al tempo stesso urgenti e necessarie, per garantire la costruzione di un ecosistema adeguato e forte per lo sviluppo futuro di queste organizzazioni e del loro potenziale. (https://terzjus.it/articoli/contributo-di-terzjus-alla-consultazione-della-ce-per-il-piano-dazione-ue-e-per-leconomia-sociale-paes/)
In primo luogo, la definizione di un più preciso perimetro concettuale, che consenta una definizione giuridica più comune e solida. Negli ultimi anni vi è stata senza dubbio una consistente evoluzione sul fronte delle legislazioni nazionali o altri livelli di regolamentazione e piani d’azione, ma questa manca di un quadro di coerenza e omogeneità a livello europeo. Anzi, si potrebbe dire che, proprio la moltiplicazione di tante legislazioni nazionali e/o di regolazioni connesse alle diverse misure e innovazioni introdotte, ha reso ancor più complessa e variegata la situazione. Come dice la stessa OCSE nel 2020: “La diversità delle definizioni e delle basi legali, come la diversità dei metodi di raccolta dati sul settore, rende difficile la comparazione tra paesi del peso e del contributo reale dell’economia sociale, che dunque non è adeguatamente riflesso nel PIL di ogni paese”. Per questo si propongono sostanzialmente due cose.
Primo, un lavoro di sistematica analisi e comparazione di tutte le legislazioni e quadri normativi esistenti nell’ambito dell’Unione Europea e dei 27 paesi membri, condivisa da tutti gli attori pubblici e privati interessati, che permetta di evidenziare i punti di convergenza e quelli di dissonanza e differenziazione, al fine di mettere le basi di un possibile processo di coordinamento e armonizzazione generale a livello europeo, che divenga la base comune di riferimento per ogni azione o politica stabilita a livello dell’Unione e funga anche da benchmark, sia per le amministrazioni statali e regionali, che per il dialogo in sede internazionale e la costruzione di politiche a quel livello (OCSE, ILO, Banca Mondiale, altri).
Secondo, una misura più puntuale, che possa perlomeno permettere di semplificare il carico amministrativo legato all’accesso alle diverse misure di finanziamento europee. Vale a dire, sviluppare la proposta già avanzata dal PE nel 2018 di introdurre una etichetta/certificazione per le organizzazioni dell’economia sociale, basata sull’art 50 TFUE (adozione di direttive per realizzare la libertà di stabilimento di determinate attività), esplorando anche la possibilità di riferirsi all’art 14 TFUE sui servizi di interesse economico generale.
In secondo luogo, si richiama l’urgenza, che era già contenuta nella Dichiarazione di Roma del 17-18 novembre 2014, di addivenire alla creazione di un sistema condiviso di misurazione dell’impatto sociale, che sia poi applicato universalmente. Fu già creato a suo tempo un gruppo di lavoro europeo nell’ambito del GECES nel 2012, che produsse una articolata proposta nel 2014, legata a due particolari misure finanziarie dell’UE, che prevedevano la misurazione di impatto, Purtroppo quel lavoro non ha avuto seguito. Ma questa esigenza sta crescendo in modo esteso ovunque, basta guardare ai testi dei riferimenti specifici all’economia sociale in oltre 20 diverse politiche europee solo nel 2020. Oppure alla legge italiana del 2016 sul Terzo settore. Oppure semplicemente osservare che l’intero impianto dei Piani nazionali di ripresa e resilienza legati al NextGenerationEU (per 750 miliardi di Euro complessivi, da spendersi entro pochi anni) è legato a precisi obblighi di rendicontazione semestrale basata sulla misurazione di impatto. Il terzo settore ha sempre rivendicato la sua specificità, che implica anche ricadute in termini di coesione, partecipazione, democrazia economica e infine di felicità. Ma senza uno sforzo deciso, anche per superare le molte resistenze interne a convenire e poi dotarsi di una propria specifica metodica, riconosciuta e validata, di misurazione del proprio impatto sociale, finirà che saranno altri a definirla o ad imporre all’economia sociale metodi e protocolli pensati per altri ambiti e fini. Un processo che peraltro sta già avvenendo, in particolare nel settore della finanza privata.
E’ necessario ripartire dalle conclusioni del lavoro del GECES e giungere ad un sistema semplice, condivo e largamente adottato. Ma anche di riflettere sulle interconnessioni sempre maggiori con l’agenda per lo sviluppo sostenibile e con l’evoluzione della market economy. E da questo punto di vista, paiono molto stimolanti i 7 criteri per ridisegnare il capitalismo, proposti dall’economista Mariana Mazzuccato nel suo ultimo lavoro, Mission Economy.
Il mondo dell’economia sociale italiano ed europeo si caratterizza da sempre per la sua grande eterogeneità, mobilità, tasso di sperimentazioni e innovazioni, che sesso anticipano innovazioni di sistema non secondarie (si pensi al secondo Welfare o l’economia delle piattaforme). Per questo è necessario raccogliere la sfida della sua dimensione ormai consistente e con coraggio lavorare per queste due sfide – perimetro concettuale e misurazione dell’impatto sociale – che considero ancora più strategiche di 10 anni fa. E forse il momento è arrivato con il Piano d’azione europeo.