Le Cer come enti del Terzo Settore democratizzano l’accesso all’energia

[intervista a Luigi Bobba di Cinzia Arena, «Avvenire» di mercoledì 16 ottobre pag. 2]

Una comunanza d’intenti, favorire l’inclusione e ridurre le diseguaglianze, salvaguardando anche l’ambiente, lega gli Enti del Terzo Settore alle Comunità energetiche. L’anno scorso la produzione e l’autoconsumo di energia rinnovabile è stata inserita tra le attività di interesse generale previste dal Codice del Terzo Settore su richiesta dell’Anci (in base al decreto legge 57 del 2023) rendendo così possibile per le Cer in fase di costituzione assumere la forma giuridica di Ets nelle sue diverse configurazioni (associazione, fondazione, cooperativa e impresa sociale).

La Fondazione Terzjus ha deciso di analizzare il legame tra queste due realtà realizzando il rapporto su “Gli Ets come veicolo di sviluppo delle Cer” in sinergia con Fondazione Cariplo e con l’impresa sociale Fratello Sole-Energie solidali, attiva nella promozione di interventi di risparmio energetico su immobili di enti religiosi del Terzo Settore. Uno studio qualitativo su dieci realtà già operative, dalla Lombardia alla Sicilia.

«L’idea – spiega il presidente della Fondazione Luigi Bobba – è partita da alcune esperienze lombarde, abbiamo analizzato una decina di casi ed è emerso che tra queste due realtà, Cer e Ets, c’è un’anima comune, vale a dire quelle finalità che la legge istitutiva delle Cer delinea in maniera chiara: inclusione, accesso all’energia per le fasce più deboli, finalità sociali. Tutti elementi che fanno parte del dna degli Ets».

Il rapporto entra nello specifico interrogandosi sulla comunanza delle forme giuridico-organizzative e su quale di quelle tipiche degli Ets corrisponda meglio alla finalità di “democratizzare il controllo dell’energia”. L’ultimo elemento analizzato è quello di carattere fiscale, legato ai vantaggi in termini di re-investimento degli utili in attività sociali.

«Possiamo dire che anima comune, interesse generale, forma giuridica appropriata e vantaggio fiscale che ne deriva sono i quattro punti salienti del Rapporto» sintetizza Bobba.

La normativa che riconosce le tariffe incentivanti e introduce contributi a fondo perduto per i Comuni al di sotto dei 5mila abitanti è di recentissima attuazione e di fatto il Gse ha cominciato a mettere a disposizione il formulario dall’inizio di aprile, dopo un lungo periodo di stand by. Le Cer, insomma, sono ancora all’inizio del loro cammino.

«L’importante contributo alla realizzazione degli impianti nei piccoli Comuni e la tariffa incentivante per l’energia prodotta per vent’anni, combinati con il vantaggio fiscale tipico degli Ets, rappresentano sulla carta un boost per la costituzione di nuove Cer. 

Ci sono tutte le condizioni affinché da qui alla fine del 2026 nascano molte realtà di questo tipo» spiega ancora Bobba. Con una finalità, in quanto Ets, solidaristica prima che economica.

«L’Anci si è spesa per piccoli Comuni e la Cei sull’onda della Laudato Si’ considera le Cer un modo per esercitare la responsabilità sociale – aggiunge il presidente di Terzjus -.Siamo partiti da una forte idealità, questa comunanza di valori tra Ets e Cer, adesso dobbiamo verificare se produrrà risultati interessanti».

L’assunzione della qualifica di Enti del Terzo settore potrebbe rappresentare uno step evolutivo per le Cer interessate a massimizzare i risvolti sociali delle attività svolte perché potrebbero accedere ad una serie di strumenti ideati per il non profit: ad esempio alla possibilità di co-pro-gettare con la pubblica amministrazione interventi per il recupero di spazi e infrastrutture pubbliche o di riqualificare beni confiscati alla criminalità. «Come Ets potrebbero partecipare ai sensi dell’articolo 55 del codice del Terzo Settore al social bonus e avvalersi di una struttura pubblica per finalizzarla verso attività sociale, innescando un circuito virtuoso» conclude Bobba. La comunità energetica in questo modo promuoverebbe non solo l’autosufficienza energetica di un gruppo di soggetti ma sarebbe un veicolo per la rigenerazione umana sociale e ambientale della comunità locale.

Nelle conclusioni del rapporto il segretario generale della Fondazione Terzjus Gabriele Sepio sottolinea come la produzione di energia pulita possa essere un contesto in cui sperimentare nuovi modelli economici e produttivi di valore sociale e ambientale finora rimasti in disparte.

«Una Cer che sia anche Ets svolge molte attività di interesse generale elencate dal codice del Terzo settore.

Pensiamo, soltanto per richiamarne alcune, alla riduzione della povertà energetica, all’inclusione sociale, la promozione della sostenibilità ambientale e al coinvolgimento attivo dei cittadini e delle imprese locali in un processo di co-creazione di valore per la comunità nonché di riqualificazione dei beni pubblici inutilizzati e molto altro. Attraverso l’Ets i partecipanti non sono meri consumatori o produttori di energia, ma attori attivi che co-determinano le scelte strategiche ed operative della comunità. Questo modello partecipativo permette una maggiore inclusione sociale, soprattutto per quei soggetti che, altrimenti, sarebbero esclusi dal mercato energetico, come i cittadini vulnerabili o le piccole realtà produttive locali». La scelta delle forme e delle qualifiche giuridiche non è certo secondaria e va effettuata tenendo conto degli strumenti introdotti dalla riforma del terzo settore, spesso inediti ner il mercato. Accesso alle erogazioni liberali, imposta di registro in misura fissa per tutti gli at-ti, possibilità di partecipare a procedure di amministrazione condivisa e utilizzo del social bonus per il recupero di beni immobili pubblici, anche confiscati alle mafie, per destinarli ad attività di interesse generale.

Il rapporto evidenzia una sfida culturale da raccogliere, secondo Sepio, legata al fatto che la maggioranza degli intervistati agisce non come semplice consumer bensì come prosumer. Quindi come soggetto promotore e non semplice consumatore, «segno evidente del fatto che si tratta di un modello dove il mutualismo si esprime attraverso una partecipazione diretta dei soggetti coinvolti. Il prosumer detiene un proprio impianto di produzione di energia, ne consuma una parte mettendo a disposizione l’eccedenza secondo un criterio di prossimità o di solidarietà mirata ai soggetti più fragili».

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