“Né terzi né primi, semplicemente inclusivi”

Questo il titolo del workshop inserito nel calendario degli eventi del Global Inclusion 2021 promosso dal Sole24ore, dal Comitato Global Inclusion-art.3 e da AIDP, l’associazione dei direttori del personale. Quale significato dare a questo titolo? Innanzitutto il Terzo settore non si percepisce come fenomeno marginale od emergenziale. Né vuole rinchiudersi in una prospettiva di autosufficienza, quasi che fosse migliore degli altri solo perché agisce per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Ma, “semplicemente inclusivi” riassume e attualizza la missione di questo tempo: diventare protagonista di uno sviluppo non solo sostenibile ma anche inclusivo. Non a caso il filo rosso di Global Inclusion 2021 – L’orizzonte dell’equità – mette al centro l’inclusione culturale, sociale e lavorativa.

La missione dell’inclusione è messa in tensione da tre fattori: la completa attuazione della riforma del Terzo settore; il ruolo che le organizzazioni non profit riusciranno ad esercitare all’interno del PNRR; il peso dell’Italia nella realizzazione del “Social Economy Action Plan”.

Ma procediamo con ordine. La riforma del Terzo settore offre l’opportunità alle più di 350.000 realtà associative, mutualistiche, di volontariato e d’impresa sociale di avere una “casa comune”, un comune riconoscimento giuridico. Varata nel 2017, la Riforma rischia di essere un’occasione sprecata se il Governo non concluderà rapidamente l’iter attuativo del Registro Unico degli Enti del Terzo Settore (RUNTS) e la notifica alla Commissione UE di alcune delle nuove norme fiscali. La partenza del RUNTS non è ancora avvenuta a causa delle diverse velocità delle Regioni a cui è affidato il compito di istituire il Registro nel proprio territorio. Tanto che ad oggi, la data di avvio non è ancora nota. Inoltre, l’inspiegabile ritardo del Governo (prima di tutto di quelli che si sono succeduti tra il 2018 e il 2020) nel notificare alla Commissione UE alcune norme fiscali soggette ad autorizzazione comunitaria, non fa che alimentare la situazione di incertezza. Gli ETS, poi, sono contestualmente sfidati nel saper cogliere le nuove opportunità che la Riforma ha già ha messo in campo: la revisione del 5 per mille, le nuove norme per le donazioni in denaro e in natura, il Regolamento delle attività diverse da quelle di interesse generale e il social lending. Misure ancora poco conosciute e poco utilizzate.

In secondo luogo, il PNRR. La sola lettura della Missione 5 mette in evidenza diversi capitoli – la non autosufficienza, la formazione duale, il servizio civile, l’utilizzo degli immobili confiscati alle mafie, il welfare di comunità, l’housing sociale – che rappresentano un vero banco di prova per uno sviluppo inclusivo.

Dirimente sarà il metodo che verrà utilizzato per realizzare questi investimenti a forte valore sociale. Non a caso, il Presidente del Consiglio, intervenendo alla Camera, ha parlato di un virtuoso rapporto con le istituzioni che veda rispettato il principio del coinvolgimento attivo della cittadinanza. E’ quello che prevede l’art.55 del Codice del Terzo settore che individua  gli istituti dell’amministrazione condivisa. Per tale ragione, la PA non può più considerare gli ETS dei semplici fornitori di servizi, ma deve coinvolgerli come “partner di progetto”.

Una strada fortemente innovativa che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 131/2020, ha autorevolmente legittimato sottolineando la “comunanza di scopo” tra ETS e PA nella realizzazione di attività e servizi di interesse generale. Infine vi è l’orizzonte europeo, con il varo entro fine anno del Social Economy Action Plan.

Il Commissario Nicolas Schmit, a cui è assegnatala delega, attribuisce a questo piano un valore fondamentale nel rafforzamento del “terzo pilastro”, quello dei diritti sociali che la UE tutela e promuove anche mediante la creazione di un ecosistema forte e diffuso delle organizzazioni di Terzo settore.

Il Governo italiano e le rappresentanze degli ETS possono operare in due direzioni: spingere perché finalmente nasca un diritto comune  del Terzo settore e promuovere l’introduzione di metriche e indicatori affidabili per la valutazione di impatto sociale degli interventi finanziati dalla UE. Siamo un una posizione favorevole per far pesare il ruolo dell’Italia, in quanto abbiamo un Terzo settore radicato e diffuso e perchè siamo l’unico Paese europeo ad avere una legislazione unitaria. Non sprechiamo questa formidabile occasione.

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