Amministrazione condivisa: quali opportunità per le associazioni.

Dopo la sentenza n. 131/2020 della Corte Costituzionale, non sarà più possibile sostenere che lo Stato sia l’unico titolare del bene comune. Già Ferruccio De Bortoli, nell’editoriale del 1 settembre di Buone Notizie, sosteneva che la “disattenzione al limite della sciatteria” nei confronti del terzo settore, fosse il frutto di una visione ideologica incapace di riconoscere al privato-sociale quella funzione di “cuscino solidale a favore della parte più debole del Paese, degli invisibili e dei dimenticati”.

Ebbene, la sentenza della Corte si muove invece in tale direzione, affermando che l’art.55 del Codice del terzo settore (CTS) – quello che regola i rapporti tra Enti del terzo settore (ETS) e Amministrazioni pubbliche – rappresenta una delle più significative attuazioni del principio di sussidiarietà orizzontale.

Per tale principio (art.118 della Carta), le diverse articolazioni dello Stato hanno il compito di “favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, nello svolgimento di attività di interesse generale, secondo il principio di sussidiarietà”. In sintesi, la Corte afferma che nel rapporto tra ETS e Amministrazioni pubbliche, vi è una “comunione di scopo” che giustifica un trattamento specifico nei confronti degli ETS. Infatti, l’art 55 del CTS prefigura una convergenza di obiettivi tra privato sociale e Stato nel realizzare interventi diretti ad elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale. La Corte, in buona sostanza, riconosce che, in relazione ad attività a forte valenza sociale, sia compatibile anche con il diritto dell’Unione Europea, un modello organizzativo ispirato non al principio di concorrenza ma a quello di solidarietà.

Dunque, dopo il parere fortemente conservativo del Consiglio di Stato del 2018, la sentenza rappresenta una vera rivoluzione culturale che dà fondamento al modello della “amministrazione condivisa”. Naturalmente questa particolarità è riservata esclusivamente agli ETS che, per struttura, scopo e funzionamento, potranno iscriversi al Registro unico del Terzo settore. Si aggiunga che nel settembre scorso, nel Dl “Semplificazioni”, è stata introdotta una norma del tutto coerente con la sentenza della Corte.  Ovvero che, quando un’amministrazione pubblica vuole realizzare un servizio o un’attività di interesse generale, deve avvalersi prioritariamente degli art.55 e 56 del CTS e non del Codice degli appalti, assumendo il ruolo di “partner di progetto” secondo i principi di co-programmazione e co-progettazione. Insomma, per gli ETS si tratta di passare dal ruolo di semplice fornitore a partner dello Stato nella realizzazione e cura di beni comuni. A tal proposito, giova richiamare i contributi raccolti nel primo Quaderno di Terzjus – Osservatorio giuridico del Terzo settore – (scaricabile dal sito www.terzjus.it). Uno strumento utile per passare dalla norma alla prassi, al fine di contrastare quella “miopia suicida” – evocata da De Bortoli-, che impedisce di riconoscere al terzo settore un ruolo essenziale sia nel rilancio economico che nella coesione sociale del Paese.

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