Controllo pubblico e governance di una fondazione ex IPAB

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2684 dello scorso 20 marzo, ha confermato la decisione del TAR Friuli Venezia Giulia (5 agosto 2021 n. 244) e, per l’effetto, ha respinto il ricorso avanzato dalla Fondazione Mario Morpurgo Nilma avverso il diniego di approvazione delle modifiche statutarie espresso (ex art. 2, comma 1, e 7 d.P.R. n. 361/2000) dalla Regione autonoma competente: era stata ritenuta illegittima la modifica statutaria dell’art. 7, comma 1, sulla nomina e composizione del consiglio di amministrazione della Fondazione. Scopo della Fondazione, come si legge all’art. 4 dello Statuto, è di soccorrere, in qualsiasi forma, persone in condizioni di bisogno con preferenza a famiglie decadute e poveri vergognosi. Si legge all’art. 2: “La Fondazione si è costituita con Decreto del Presidente della Zona di Trieste del Governo Militare Alleato n. 3183/15738 di data 5 dicembre 1947 e, successivamente, eretta in Ente Morale con il decreto del Presidente della Repubblica n. 487 di data 26 maggio 1965. In data 27 luglio 2005 con decreto del Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, su istanza del Presidente della Fondazione Morpurgo Nilma di data 5 maggio 2005, l’Istituzione di pubblica assistenza e beneficenza Mario Morpurgo Nilma è depubblicizzata e trasformata in Fondazione di diritto privato. La Fondazione acquista la personalità giuridica di diritto privato mediante l’iscrizione nel registro regionale delle personalità giuridiche”.

La modifica statutaria avrebbe determinato il superamento della designazione maggioritaria degli amministratori da parte del Comune di Trieste (pari a 3/5). Il testo era il seguente: “il Consiglio di Amministrazione è composto da cinque membri, di cui uno designato dal Comune di Trieste, uno dalla Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura della Venezia Giulia, uno dalla Fondazione A. Caccia e M. Burlo Garofolo e due dalla Federazione del Volontariato del Friuli Venezia Giulia Onlus”.

Secondo i ricorrenti, il TAR non ha fatto emergere la base legale, quindi la giustificazione – riveniente dalle disposizioni e dallo spirito delle tavole fondazionali – del potere perpetuo di nomina dei tre componenti del Consiglio di amministrazione da parte del Comune di Trieste, né tantomeno ha valorizzato la necessità di un adeguamento statutario alle nuove disposizioni inderogabili del codice del Terzo settore.

Il Consiglio di Stato ha ritenuto infondato il suddetto motivo.

È interessante notare come i giudici di Palazzo Spada abbiano chiarito che la modifica statutaria non trovi una fonte giustificatrice nell’art. 4, comma 2, del codice del Terzo settore, così evitando che “la Fondazione sia considerata un soggetto controllato, coordinato o diretto da un ente pubblico”. Infatti, il legislatore del 2017 non ha annoverato gli enti derivanti dalle trasformazioni dalle IPAB tra i soggetti esclusi dal Terzo settore: ai sensi dell’art. 4, comma 2, la nomina da parte della pubblica amministrazione degli amministratori «si configura come mera designazione, intesa come espressione della rappresentanza della cittadinanza, e non si configura quindi mandato fiduciario con rappresentanza, sicché è sempre esclusa qualsiasi forma di controllo da parte di quest’ultima».

Per i giudici:

  1. la preponderanza numerica dei componenti designati dal Comune non costituisce, sic et simpliciter, una fattispecie di controllo, tale da non rispettare il divieto di rappresentanza. Chiariscono i giudici: “non può riconoscersi portata rappresentativa a una nomina se essa è indirizzata alla maggioranza dei membri di un collegio: la rappresentanza attiene ai rapporti fra il rappresentato (in tesi, il Comune di Trieste) e il rappresentante (in tesi, il componente del consiglio di amministrazione designato dal primo), mentre la preponderanza numerica nell’ambito dell’organo che gestisce l’ente si riverbera sulla capacità di incidere sulle decisioni dell’ente”;
  2. le decisioni dell’ente non sono predeterminate dal Comune di Trieste (inteso alla stregua del soggetto rappresentato). Ciò “è attestato anche dal fatto che i consiglieri nominati dal Comune di Trieste hanno votato modifiche statutarie sulle quali gli Enti nominanti hanno successivamente espresso parere contrario”;
  3. inoltre, il nuovo testo dell’art. 7, comma 3, dello Statuto, risultato immune alle censure regionali, dispone che “in nessun caso i Consiglieri potranno decadere dalla carica ad istanza dell’Ente che li ha nominati”. Per i giudici, ciò “rende evidente la mancanza di una riserva di controllo in capo al Comune di Trieste, rappresentando una garanzia di autonomia decisionale degli amministratori nominati dallo stesso”.

Infine, richiamando quanto espresso nella Nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali del 4 marzo 2020 n. 2243, si consolida la necessità di una valutazione concreta, ovvero condotta attraverso le disposizioni dell’atto costitutivo e delle previsioni statutarie, circa il riscontro di fattispecie di controllo dei singoli enti da parte delle pubbliche amministrazioni. Questa evidenza – che, ripetiamo, escluderebbe per gli enti privati l’acquisizione della qualifica di ETS – non emerge nel contesto in esame, risultando, di conseguenza, priva di copertura legale la delibera di modificazione dell’assetto gestorio.


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