L’art. 56, comma 1, d. lgs. n. 117/17 (Codice del terzo settore) stabilisce quanto segue: “Le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono sottoscrivere con le organizzazioni di volontariato (OdV) e le associazioni di promozione sociale (APS), iscritte da almeno sei mesi nel Registro unico nazionale del Terzo settore, convenzioni finalizzate allo svolgimento in favore di terzi di attività o servizi sociali di interesse generale, se più favorevoli rispetto al ricorso al mercato.”
La disposizione citata ha dunque individuato, nell’ordine, a) le tipologie giuridiche soggettive di Enti del Terzo settore (ETS) ammessi a sottoscrivere le convenzioni; b) i requisiti che i medesimi soggetti devono possedere per accedere alle convenzioni; c) la finalità che le convenzioni sono chiamate a realizzare e, d) quando le pubbliche amministrazioni possono ricorrere alle convenzioni.
L’art. 56 individua – confermando una impostazione giuridica già presente nelle l. n. 266/1991, 328/2000 e 383/2000 – “altera” rispetto alle logiche di mercato, in quanto stabilisce un rapporto collaborativo e non competitivo tra enti pubblici e soggetti non lucrativi
Da ciò consegue che i rapporti che si instaurano tra associazioni ed enti pubblici non costituiscono contratti a prestazioni sinallagmatiche, atteso che il quantum economico che gli enti pubblici riconoscono alle OdV e alle APS si configura alla stregua di un rimborso delle spese sostenute e documentate.
La previsione secondo cui alle OdV e alle APS spetti soltanto il rimborso delle spese sostenute e documentate non esclude tuttavia che le stesse possano avvalersi di personale retribuito per lo svolgimento delle proprie attività. Si tratta di una possibilità già disciplinata nelle l. n. 266/1991 e 383/2000 e confermata dal CTS, a condizione che il numero del personale retribuito non sia superiore al 50% del numero dei volontari.
I contenuti dell’art. 56 CTS sono stati oggetto di una serie di pronunce interpretative che affermano – in termini sintetici – l’incompatibilità dello schema convenzionale con il principio di concorrenza1. Tra queste, oltre al noto parere del Consiglio di Stato del 20182, si segnala la recente sentenza del Tar Marche, sez. I, 7 dicembre 2021, n. 850, che di seguito si intende brevemente commentare. Il caso riguarda l’affidamento ad esito di procedura ad evidenza pubblica, aggiudicato ad una cooperativa sociale, del canile comunale, procedimento avverso il quale ha proposto ricorso un’associazione ONLUS.
Tra i motivi di doglianza, l’associazione ricorrente ha lamentato:
a) l’iscrizione della cooperativa sociale affidataria del servizio nel registro regionale delle cooperative sociali in categoria diversa da quella oggetto dell’appalto;
b) l’assenza nel bando di una specifica valorizzazione delle associazioni protezionistiche di volontariato, in particolare della loro finalità sociale e del divieto di distribuzio\ne degli utili che le caratterizza. Al riguardo, l’Associazione ricorrente evidenzia che, in ossequio alla legge regionale Marche n. 10/1997 e all’art. 2, comma 14 Regolamento regionale n. 2/2001, “i Comuni singoli o associati e le Comunità montane dotati di canili o rifugi devono affidare prioritariamente la loro gestione ad associazioni o enti aventi finalità di protezione degli animali o altre organizzazioni non aventi scopo di lucro, iscritte all’Albo regionale”;
c) la circostanza che per l’Associazione l’IVA è un costo indetraibile, a differenza delle cooperative sociali, di tal che il punteggio relativo all’offerta economica avrebbe dovuto essere attribuito tenendo conto di questa situazione;
d) la violazione ed errata applicazione dell’art. 95 del Codice dei contratti pubblici e dell’art. 56 del Codice del terzo settore.
In ordine al motivo di doglianza di cui sub a), i giudici amministrativi marchigiani lo hanno ritenuto infondato, atteso che il disciplinare di gara prevedeva che, per le imprese, il requisito di idoneità previsto per l’ammissione alla gara fosse l’iscrizione alla Camera di Commercio per attività coerenti con l’oggetto dell’appalto. Considerando che le cooperative sociali, in qualità di imprese, sono tenute ad iscriversi alla C.C.I.A.A., detta iscrizione è stata ritenuta dal Tar “assorbente” anche dell’iscrizione nell’Albo regionale delle cooperative sociali, in specie perché riferita anche all’attività di gestione di canili e gattili, attività che la cooperativa sociale in oggetto gestisce da anni e che ha evidenziato nella domanda di partecipazione alla procedura.
Avuto riguardo al motivo di cui sub b), il Tar ha ritenuto che le previsioni regionali richiamate non risultino conferenti alla situazione di specie, in quanto esse si riferiscono ai casi in cui il comune intenda esternalizzare la gestione del proprio canile di proprietà e non anche, come nel caso in esame, la volontà dell’ente locale di affidare ad un operatore economico l’intera gestione del servizio, ivi compresa la messa a disposizione di uno o più canili. Il Tar, tuttavia, ha altresì voluto aggiungere che anche le cooperative sociali, alla stregua delle associazioni, godono nell’ordinamento giuridico, in particolare in forza del principio di cui all’art. 45 della Costituzione, di un particolare favor legis3.
Per quanto attiene al motivo di ricorso sub c), il Tar ha statuito che essa è del tutto inconferente, poiché, come è noto, le offerte si intendono sempre al netto dell’I.V.A. e comunque indimostrata, atteso che l’associazione non ha provato che la minore competitività della propria offerta economica è dipesa dall’incidenza dell’imposta sul valore aggiunto.
Infine, anche la doglianza di cui sub d) è stata considerata inconferente, in primo luogo, perché l’art. 56 citato “prevede la mera facoltà, e non già l’obbligo, delle amministrazioni pubbliche di stipulare convenzioni con le associazioni del c.d. Terzo Settore”. In secondo luogo, perché tali convenzioni, peraltro, devono essere “…finalizzate allo svolgimento in favore di terzi di attività o servizi sociali di interesse generale…”, mentre nella specie il servizio è svolto in favore del Comune. In terzo luogo, il medesimo art. 56 stabilisce che gli enti locali ricorrano alle convenzioni ivi previste con le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale solo se tali convenzioni risultino più convenienti rispetto al ricorso al mercato. I giudici amministrativi identificano detta convenienza nel fatto che se il comune avesse deciso di sottoscrivere la convenzione con l’associazione di volontariato sarebbe stata più onerosa, considerato che l’associazione medesima ha praticato un ribasso inferiore sulla base d’asta rispetto a quello offerto dalla società aggiudicatrice.
In termini conclusivi, il Tar ha ritenuto legittima la competizione tra soggetti for profit e non profit, in quanto sia il diritto eurounitario sia il diritto nazionale prevedono la possibilità che soggetti imprenditoriali e non lucrativi partecipino, in quanto operatori economici, alle procedure ad evidenza pubblica4.
Le conclusioni cui è giunto il Tar delle Marche meritano attenzione, soprattutto perché esse interessano, da un lato, il principio di concorrenza cui sarebbero sottoposti anche gli enti del terzo settore e, dall’altro, il rapporto tra Enti del Terzo settore e le attività di interesse generale di cui all’art. 5 del Codice del Terzo settore, nonché la loro funzionalizzazione al perseguimento di finalità di pubblica utilità. Per quanto attiene al primo profilo, i giudici amministrativi hanno fatto discendere la convenienza di ricorrere al mercato e, pertanto, al principio di concorrenza, da un elemento successivo e non “preventivo”. Invero, il ribasso praticato dall’organizzazione di volontariato costituisce un elemento conosciuto soltanto ad esito della procedura ad evidenza pubblica e non è stato acquisito ex ante dalla pubblica amministrazione quale elemento di comparazione. Peraltro, è opportuno segnalare che la convenienza di cui all’art. 56 non è identificabile nella sola dimensione di risparmio economico. Essa, infatti, attiene agli obiettivi, alle finalità e allo scopo ultimo per i quali l’amministrazione procedente intende ricorrere allo strumento convenzionale. E, infatti, l’inciso inserito nell’art. 56 su raccomandazione dell’Autorità per la tutela del mercato e della concorrenza non implica una comparazione tra “offerte”, bensì la decisione da parte delle pubbliche amministrazioni di non fare ricorso al mercato, in quanto ritenuto non adeguato per la realizzazione delle finalità sociali che l’ente pubblico intende perseguire.
In ordine al secondo profilo, ancorché il diritto eurounitario e, conseguentemente, il diritto nazionale legittimino la partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica da parte degli enti non profit, occorre interrogarsi su questa libertà alla luce del Codice del Terzo settore. Quest’ultimo, come è noto, ha inteso identificare una nozione unitaria di “ETS” ai quali assegnare un “campo di azione” non indefinito, ma circoscritto, seppure ampio. Le attività di interesse generale di cui all’art. 5 del d. lgs. n. 117/2017, in questa prospettiva, costituiscono il perimetro di gioco degli ETS, chiamati, in ossequio alla previsione di cui all’art. 2 del medesimo Codice, a collaborare ad innalzare i diritti di cittadinanza. Ne consegue – a parere di chi scrive – che, quando non trattasi, per rimanere nel settore dei servizi alla persona, dei servizi sociali così come individuati nelle recenti Linee guida Anac sull’affidamento dei servizi sociali, i rapporti giuridici da instaurarsi tra pubbliche amministrazioni e soggetti non lucrativi siano da ricondurre agli istituti giuridici di natura cooperativa di cui agli artt. 55 e seguenti del Codice del Terzo settore. In quest’ottica, la nozione di derivazione eurounitaria di “operatore economico” estesa anche agli enti non profit rischia, talvolta, di contraddire la ratio iuris della Riforma del terzo settore.