di VERONICA MONTANI*
Associazioni e fondazioni del Terzo settore: le regole di governance**
English title: Associations and Foundations in Third Sector Code: governance
DOI: 10.26350/18277942_000073
Sommario: 1. Gli ETS e gli enti di Libro V del c.c.: un inquadramento preliminare. 2. Enti del Terzo settore e diritto societario. 3. L’organizzazione interna: assemblea e organo amministrativo. 4. I controlli interni: organo di controllo e revisore legale dei conti. 5. Gli ETS tipici e l’impresa sociale: cenni.
1. Gli ETS e gli enti di Libro V del c.c.: un inquadramento preliminare
Costituisce ormai un dato acquisito il superamento di quella che per lungo tempo era stata considerata un’intrinseca incompatibilità tra ente associativo e natura contrattuale, in favore dell’applicazione a tutti i fenomeni associativi delle norme in tema di contratti, con un progressivo riconoscimento dell’applicabilità analogica (rectius diretta, secondo una parte della dottrina) anche alle associazioni prive di personalità giuridica delle norme sui contratti plurilaterali e sui contratti in generale, nonché di tutte le norme previste dal capo II del titolo II del libro I del codice civile che non presuppongono il riconoscimento quale ratio della loro disciplina. L’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale ha poi portato ad un riconoscimento di compatibilità delle regole dettate per gli enti societari, di volta in volta selezionate: si pensi ai profili connessi alle modalità di convocazione dell’assemblea, alle modalità di voto (per referendum, telematico, per delega), alle gestione delle associazioni complesse (e in particolar modo ai profili assembleari multilivello e di ammissione ed esclusione degli associati) e, ancora, in relazione al termine applicabile alle azioni di annullamento delle delibere assembleari e di sospensione delle delibere, così come ai relativi soggetti legittimati nonché alle cause estintive e all’individuazione del momento estintivo degli enti associativi privi dipersonalità giuridica.
L’applicazione analogica delle norme del libro V agli enti del libro I, è, poi, centrale in tema di esercizio da parte degli enti di libro I di un’attività economica, riconoscendosi, ormai pacificamente, l’applicabilità della nozione di imprenditore in capo a fondazioni e associazioni, alternativamente secondo la portata dell’art. 2082 c.c. ovvero dell’art. 2201c.c., e delle regole che compongono lo statuto dell’imprenditore (generalee speciale) e, in particolare, di quelle relative al fallimento degli enti stessi (con applicazione delle nuove disposizioni previste dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza).
Nel passaggio da un modello di ente di tipo erogativo ad un modello (anche) produttivo, gli enti del libro I vengono riconosciuti a pieno titolo come soggetti imprenditoriali, non soggiacendo, dunque, ad alcun limite o divieto in tema di forme di investimento finanziario, acquisti di partecipazioni in società di capitali o in società di persone, riparto di utili in società di cui l’ente non profit sia socio. Non da ultimo, per lungo tempo le norme societarie hanno rappresentato il punto di riferimento in tema di trasformazioni dirette tra enti del libro I, scissioni e fusioni, sino all’entrata in vigore della riforma del Terzo settore e dell’art. 42 bis c.c., espressamente dedicato alle trasformazioni tra associazioni e fondazioni.
Il modello organizzativo degli enti di libro V ha, dunque, da sempre rappresentato un termine di confronto per gli enti di Libro I e, talvolta, di soluzione delle problematiche derivanti dalla lacunosità della relativa disciplina. Non sorprende, quindi, che il testo della riforma del Terzo settore, soprattutto in relazione alle regole di governance degli enti di Terzo settore, contenga ampi richiami alle norme di Libro V.
La definizione di ente del Terzo settore ricomprende, infatti, tanto fondazioni e associazioni (e altri enti di diritto privato) quanto le società che decidano di richiedere (e ottengano) la qualifica di impresa sociale. Questo dato, unitamente al riconoscimento della possibile natura imprenditoriale in capo agli enti del Terzo settore aventi forma giuridica di associazione e fondazione, anche a prescindere dalla qualifica di impresa sociale, pone in evidenza come il legislatore, su una forte spinta europeistica, abbia pienamente equiparato, sotto il profilo della possibile attività, le due “famiglie” di enti (societari, incluse le cooperative, da un lato e senza scopo di lucro, dall’altro), confermando l’allontanamento del profilo soggettivo dell’impresa e, secondo parte della dottrina, recependo una piena neutralità delle forme.
Emerge come le soluzioni, cui la giurisprudenza e la dottrina erano già pervenute per via interpretativa tramite l’applicazione analogica delle norme societarie agli enti del libro I, siano state, in molte occasioni, recepite in via legislativa nel testo della riforma del Terzo settore: scorrendo le norme non può non cogliersi una complessiva e significativa influenza delle norme societarie, tanto che parte della dottrina ha, per l’appunto, discorso di “societarizzazione” degli enti del Terzo settore, a fronte di un fenomeno ormai pacifico di “progressivo travaso di regole e principi dall’ambito societario a quello degli enti non lucrativi”.
* Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ([email protected]).
** Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review ed è destinato alFormulario Notarile Commentato, Gli enti del Libro I e del Terzo settore, diretto da G. PETRELLI, a cura di M. AVAGLIANO-M. IANNACCONE.