Cesarina Tavani lavora per l’area marketing di UnipolSai. Dal marzo del 2020, appena scattato il lockdown, si mette a disposizione per incontrare da remoto una classe di seconda media della scuola di Melegnano, nella cintura metropolitana di Milano. In un momento delicato della vita di tutti vuole raccontare ai dodicenni come sia possibile fare carriera senza trascurare la propria vita privata: i ragazzi ascoltano le storie, alcuni iniziano a sognare un futuro diverso, che loro stessi possono costruire preparandosi, studiando, impegnandosi e rimanendo aperti alle differenze. Federico Rabbaglio invece è un esperto di impianti di stoccaggio e dispacciamento di Snam: risolvere i problemi è parte della sua attività quotidiana e dal 2018 aiuta associazioni e cooperative che si occupano di disabilità a migliorare le proprie attività. Poi c’è Valentina D’Autilia: lavora da quasi sette anni nell’area risorse umane del gruppo Chiesi di Parma. Viene coinvolta in un processo informale attraverso il quale i candidati volontari e gli enti del Terzo settore fanno conoscenza reciproca, con la collaborazione del Centro Servizi per il Volontariato dell’Emilia che mette in collegamento imprese e associazioni. Si trova così a fornire la sua competenza ad un’associazione che lavora per reinserire donne vittime di violenza.
Il fenomeno
Quelle di Cesarina, Federico e Valentina sono solo tre delle tante storie di volontariato di competenza. Un fenomeno nuovo che sta crescendo nelle aziende italiane e a cui l’associazione Terzjus ha dedicato uno studio esplorativo intitolato «Professione volontario» e realizzato con il sostengo di Eudaimon e Fondazione Roche, la cui pubblicazione è scaricabile gratuitamente dal sito www.terzjus.it. «Volontariato e competenza spiega il presidente di Terzjus, Luigi Bobba sembrano essere due parole contrapposte. Quando si parla di volontariato si pensa ad un’attività gratuita e spontanea che non appare collegata ad una dimensione professionale né tanto meno a un rapporto di lavoro. Ma oltre a non essere antitetiche, le due parole contengono una dialettica generativa». «Il volontariato racconta uno dei curatori dell’indagine, il ricercatore Cristiano Caltabiano è entrato a far parte del quotidiano di Cesarina, Federico e Valentina in modi e forme distinti, a seguito di una scelta delle loro società. Quello che abbiamo scoperto è che il volontariato di competenza prevede un interscambio: i professionisti entrano in processi di comunicazione per cogliere bisogni ed esigenze e guidarli verso soluzioni condivise. E, Così facendo, maturano quella che possiamo definire la “perizia dell’artigiano”. Qualcosa si presta alla comunità, ma qualcosa si acquisisce».
Sotto la lente dell’indagine esplorativa sono andate dieci grandi aziende che da anni promuovono progetti di volontariato aziendale: Chiesi Farmaceutici, Boehringer Ingelheim Italia, Roche Italia, Novartis Italia, 3M Italia, Snam, UnipolSai Assicurazioni, Gruppo Marazzato, Novacoop Piemonte e Edison. Insieme contano più di 36.000 dipendenti fra cui centinaia coinvolti in attività di volontariato dentro e fuori l’azienda. «Ogni esperienza aggiunge Bobba ha in comune degli elementi: assistiamo ad una coproduzione dell’azione volontaria, qualcuno apporta una professionalità, ma anche un ruolo attivo della realtà in cui l’azione viene intrapresa. Questa capacità di calarsi nei bisogni dei territori è l’elemento più innovativo. Non sono risposte standard, sono competenze tecniche efficaci solo se tengono conto delle attese della comunità».
Quali figure
Dalla ricerca emergono quattro profili di volontari. «Il primo spiega Caltabiano lo definiamo “d’emergenza”: l’azienda decide di affrontare un fatto collettivo per un periodo limitato, mettendo i suoi ranghi a disposizione. Di fronte a un pianeta che vive crisi climatiche ed economiche continue, una singola azienda o più aziende possono unirsi e aggredire una causa di interesse collettivo con le proprie risorse in accordo con le istituzioni. Il secondo è quello di consulenza: professionisti che servono alle associazioni in situazioni particolari, si pensi ai bilanci o ai sistemi informatici. Il terzo invece lo chiamiamo educativo, competenze che vengono messe a disposizione in contesti scolastici o formativi anche per aiutare i giovani a risanare i propri deficit scolastici o a valorizzare i loro curricola se in cerca di lavoro. Infine, c’è il volontariato professionalizzante: giovani delle aziende con forti potenziali che fanno un’esperienza all’interno di una ONG o di una associazione per acquisire competenze, ad esempio, di leadership o problem solving».
Esperienze in cui tante imprese stanno iniziando a credere, anche per costruire relazioni migliori coi dipendenti. «Possono aiutare anche le aziende conclude Caltabiano a fidelizzare i propri operatori che sono per loro un capitale importante su cui investono tempo e risorse e scongiurare fenomeni emersi nel post pandemia come quello delle dimissioni volontarie».
[intervista di Giulio Sensi a Luigi Bobba, presidente Terzjus, pubblicata a pag. 12 di «Corriere Buone Notizie» di martedì 19 luglio 2022]