1. Premessa
Le ricorrenze non sono mai solo occasioni celebrative. Ci invitano a ripercorrere il cammino intrapreso ma, soprattutto, ci spingono ad individuare la traiettoria futura.
Bene ha fatto il Forum a delineare, mediante il position paper “Dalla percezione al cambiamento: il terzo settore oltre il fare”, le possibili scelte in vista dell’Assemblea del 29 novembre 2024. Un’occasione per distogliere temporaneamente l’attenzione dal “fare” quotidiano e provare ad immaginare la direzione del cammino per gli anni a venire.
Sì, alla fondazione del Forum 30 anni orsono, posso dire: io c’ero. Così come, ricordo molto bene la grande convention dell’aprile 1998, durante la quale sottoscrivemmo il “Patto per la solidarietà” con l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri, Romano Prodi. Nel mio breve intervento – ero allora il portavoce del Forum – dissi che il Terzo settore non assomigliava al personaggio dell’Odissea “Iro, il pitocco”, sempre pronto a rivolgersi agli altri e alle istituzioni per ottenere qualche elemosina o richiedere un qualche sostegno. No, avevamo – già allora – cominciato a prendere consapevolezza della nostra autonoma e distintiva soggettività; stavamo diventando, anche con la sottoscrizione di quel “Patto” un attore sociale che non poteva più essere ignorato o considerato un soggetto di serie B. In quel patto era contenuto – seppure in nuce – un salto di qualità: “la solidarietà non è un lusso” – il fortunato slogan della manifestazione fondativa del ’94 – diventava proposta politico-programmatica e il Forum si candidava ad essere il soggetto di rappresentanza di quel vasto mondo – associativo, volontario, cooperativo e mutualistico – capace di rafforzare tutti giorni e in tutto il Paese i legami comunitari, includere i più fragili, generare buona occupazione, difendere e promuovere i diritti degli esclusi, insomma contribuire a creare una società più giusta, equa e inclusiva.
La missione originaria certamente non è scolorita e conserva la sua spinta propulsiva; tuttavia il contesto è radicalmente cambiato. Quali sono le sfide che il Forum come soggetto di rappresentanza di tanta parte del mondo del Terzo settore deve affrontare? E quali le scelte da compiere per incarnare nell’oggi il carisma delle origini?
2. Le sfide
Ci sono tre sfide che riguardano propriamente l’originale missione che i soggetti di Terzo settore sono chiamati ad affrontare: continuare ad essere sentinelle delle persone vulnerabili e dei territori dimenticati; provare ad attivarsi come vettore per lo sviluppo di una crescita inclusiva; diventare un attore non subalterno dello spazio pubblico nel tempo della democrazia digitale.
Si tratta non tanto di occupare nuovi spazi, bensì di avviare processi per delineare gli indicatori di una “transizione sociale” che appare altrettanto rilevante quanto quella ecologica. Una “transizione sociale” i cui caratteri possono essere rintracciati: nell’assicurare a tutti i beni essenziali per una vita dignitosa; nel contrastare la crescente solitudine delle persone e non arrendersi ai processi di atomizzazione della vita quotidiana, ricostruendo i legami comunitari; infine, nel rispondere all’invasività crescente delle piattaforme informative, mediatiche e di entertainment con la cura dei processi partecipativi e democratici.
Il ruolo di “sentinelle” dei più vulnerabili è certamente nelle corde più antiche dei soggetti di Terzo settore. Ma i pericoli di esclusione, di marginalità, di diritti non riconosciuti hanno volti e sembianze inediti che richiedono una continua e nuova forma di vigilanza.
Assumere, poi, la funzione di vettore di una crescita inclusiva significa promuovere lo sviluppo di un’economia sociale non come segmento marginale, ma componente strutturale di una libera economia di mercato.
Infine la terza sfida, forse la più insidiosa. Le tecnologie digitali stanno cambiando (o hanno già cambiato) la sfera pubblica ovvero i luoghi della partecipazione e della cittadinanza. Le grandi piattaforme informative, dell’entertainment e dell’e-commerce stanno colonizzando la sfera pubblica o meglio sono diventate l’infrastruttura della stessa. Tutto ciò obbliga a ripensare radicalmente alcune funzioni tradizionali – come l’advocacy – che da sempre costituiscono parte essenziale dell’agire delle realtà associative e dei movimenti civici. Ne consegue anche un ripensamento delle forme, dei contenuti e dei linguaggi della dimensione educativa e formativa. Insomma, il ruolo “politico” del Forum, ovvero la capacità di interpretare – mediante i propri associati – le istanze dei più deboli per rappresentarle nell’agone democratico, è forse il sentiero più impervio per il Terzo settore.
3. Le scelte
Queste tre sfide – se assunte sia nell’orizzonte strategico che nell’agire quotidiano – conducono a concentrare le scelte future attorno a tre distinte polarità.
La prima. L’elemento di maggiore criticità che le organizzazioni non profit evidenziano sta nella difficoltà sia nell’avvicinare, motivare e ingaggiare nuovi volontari, sia nel reperire figure professionali con competenze adeguate ai nuovi compiti che debbono svolgere. Si tratta di una questione vitale per i prossimi anni: nel primo caso – per i volontari – la criticità si è acuita nel tempo più recente in quanto i tradizionali “formatori” – parrocchie, circoli, movimenti, oratori – hanno perso progressivamente la capacità di gestire ambienti, organizzare percorsi in grado di orientare giovani (e meno giovani) a dedicarsi in modo volontario a qualche impegno civico, a qualche buona causa. La riduzione della portata di questi affluenti naturali comporta oggi una crescente difficoltà nel ricambio dei gruppi dirigenti delle realtà associative, volontarie e cooperative. Una difficoltà ingigantita anche per il fatto che la disponibilità all’impegno volontario ha cambiato forma; si è fatta più discontinua e maggiormente individualizzata. Un fenomeno censito anche dall’Istat che rileva una decrescita del volontariato organizzato nelle reti associative e l’insorgere di un volontariato individuale (più presente tra i giovani) e spesso legato ad emergenze sociali o ambientali. Sull’altro versante, le organizzazioni dell’economia sociale – ovvero quello che sono impegnate in attività produttive o nella fornitura di servizi, un po’ a causa delle basse retribuzioni medie del settore, un po’ per lo status marginale attribuito al lavoro educativo e nel sociale, faticano – come ha ben evidenziato l’ultimo rapporto Excelsior – a trovare persone – in particolare giovani – con le competenze professionali richieste. Dunque è qui che le istituzioni pubbliche, le fondazioni bancarie e filantropiche dovrebbero impegnare risorse in modo da orientare gli ETS a dedicarsi ad una seminagione di “vocazioni” volontarie, sia ad attrarre giovani talenti disponibili ad investire professionalmente nel lavoro sociale.
In secondo luogo, se il terzo settore vuole fuoriuscire definitivamente da una logica minoritaria e non essere ridotto ad azione caritatevole o ad opere buone, ma, al contrario, incidere sulle politiche pubbliche per rimuovere le cause delle diseguaglianze, deve ambire ad una soggettività propria e distintiva non subalterna né al mercato, né allo Stato.
La stagione sembra propizia per ridurre e cancellare questa subalternità agendo attraverso gli istituti dell’amministrazione condivisa come via maestra per costruire un rapporto cooperativo/collaborativo con le pubbliche Amministrazioni. Un discorso analogo vale anche per le imprese di mercato, oggi spinte dalla nuova regolazione europea – gli indicatori ESG – a rafforzare la propria reputazione sociale non con azioni di mero maquillage informativo, ma supportando e realizzando insieme con gli ETS progetti ad alto impatto sociale e altresì utilizzando lo strumento del “volontariato di competenza” come modalità ordinaria con cui trasferire agli ETS competenze nella messa in opera di progetti ad alto valore sociale.
Infine in questa singolare temperie, gli ETS – e il Forum che in gran parte li rappresenta – si trovano ad avere l’opportunità di utilizzare al meglio lo specifico e qualificato riconoscimento avuto con il Codice del terzo settore, avvalendosi pienamente delle opportunità di crescita, sviluppo e innovazione che lo stesso CTS ha messo a disposizione. Ed è proprio la dimensione promozionale (si pensi al social bonus, all’amministrazione condivisa, alle donazioni di beni e di denaro) quella ancora meno frequentata ed utilizzata. Da lì potrebbe partire una spinta ad attivare risposte efficaci ai tanti bisogni ancora non riconosciuti o insoddisfatti, specialmente per quei cittadini o quei territori dimenticati perché fragili o marginali.
A ciò si aggiunga – in conclusione – il potenziale sviluppo dei soggetti dell’economia sociale che potrebbe derivare dall’adozione e attuazione del Piano d’Azione per l’Economia Sociale. Tale Piano – oggetto di una Raccomandazione del Consiglio Europeo del novembre scorso – invita il governo a predisporre uno specifico Piano nazionale per conseguire gli obiettivi di creare buona occupazione e inclusione sociale.
Due opportunità – la prima già normata e in via di attuazione, la seconda in costruzione – che rappresentano per gli ETS un acceleratore nel rispondere alle sfide evocate nella parte iniziale di questo breve contributo.
E trenta anni di prezioso lavoro del Forum costituiscono un buon viatico per non sottrarsi a queste sfide e compiere le scelte necessarie.