Enti associativi, cambiano i requisiti per la qualificazione di soggetti Iva

[di Raffaele Rizzardi e Gabriele Sepio, in Norme & Tributi de «Il Sole 24 Ore» del 16 Gennaio 2025]

Nuovo regime IVA per gli enti associativi. Da definire il perimetro delle operazioni che verranno attratte in campo IVA e quali le possibili semplificazioni per tutelare gli enti di minori dimensioni. Il 2025 segna una fase di transizione per le realtà associative, con effetti significativi sulle operazioni istituzionali rese nei confronti di soci, associati e partecipanti. Il d.l. Fisco Lavoro (146/2021), intervenuto a fronte di un obbligo di derivazione unionale, comporterà dal 1° gennaio 2026 la trasposizione delle norme prima contenute nell’art. 4 del Decreto IVA all’interno dell’art. 10 del medesimo decreto.

Una modifica che segnerà il passaggio dal regime di esclusione a quello di esenzione IVA delle operazioni core rese dagli enti associativi a fronte di corrispettivi specifici o quote supplementari. Tuttavia, questo non significa che tutte le operazioni prima qualificate fuori campo IVA si ritroveranno tout court ad essere inquadrate nel sistema di esenzione, giacché sarà necessario vagliare la sussistenza del requisito soggettivo ai fini dell’applicazione dell’IVA. 

Stando alle regole generali alla base dell’applicazione del tributo, infatti, occorrerà verificare se lo svolgimento di ciascuna operazione si innesti nell’ambito di una attività economica svolta dall’ente in via abituale e, dunque, non occasionale. Per questa ragione non tutte le attività svolte dietro corrispettivo dagli enti associativi “migreranno” nel regime di esenzione, risultando fondamentale valutare, in ogni caso, l’abitualità del comportamento ai fini dell’acquisto dello status di soggetto passivo IVA. In tal senso, le entrate occasionali come un pranzo sociale una tantum o la vendita di gadget a soci, associati e partecipanti durante un evento isolato, non dovrebbero comportare ex se l’obbligo di apertura della partita IVA, né tantomeno l’onere di adempiere agli obblighi di fatturazione e registrazione contabile, salvo che il “singolo affare” si inserisca in una operazione caratterizzata da una pluralità di atti economici coordinati. In coerenza con tale impostazione, d’altronde, si pone la stessa giurisprudenza unionale, la quale ha precisato che un soggetto che realizza occasionalmente un’operazione tipica di un commerciante o prestatore di servizi non deve essere automaticamente qualificato come soggetto passivo IVA (cfr. sentenza 13 giugno 2013, Causa C-62/12).

Per confrontarsi con le nuove norme in vigore dal 2026, pertanto, risulterà decisivo esaminare la frequenza con cui tali attività sono svolte e, più in generale, l’insieme delle circostanze entro cui è realizzata la cessione di beni o la prestazione di servizi. Sullo sfondo, tuttavia, resta la necessità di adeguare le novità IVA a quelle che sono le esigenze del mondo associativo, garantendo un minimo di proporzionalità rispetto alla dimensione delle realtà interessate dai nuovi obblighi. In questo contesto, emerge l’esigenza di ridurre il carico burocratico per le piccole associazioni, senza pregiudicare la trasparenza contabile e l’aderenza ai principi della normativa unionale. In tal senso, la direttiva 2006/112/CE prevede già regimi semplificati per le piccole imprese, con ricavi inferiori a 85mila euro, con la possibilità di esentare tali realtà dall’obbligo di identificazione IVA e dagli adempimenti ad essa connessi (cfr. nuovo art. 284, in lettura combinata rispetto agli artt. da 292-bis a 292-quinquies). Tale disciplina può rappresentare un punto di riferimento anche per gli enti di tipo associativo che solo saltuariamente operano in ambito economico.

Altra questione centrale riguarda poi l’applicazione del regime di inversione contabile (reverse charge) per le realtà associative. Per le prestazioni di servizi come la pulizia o i lavori edili, infatti, l’obbligo di versare l’IVA viene trasferito al committente; tuttavia, in assenza di una partita IVA, il prestatore continuerà ad applicare l’IVA ordinaria, evitando così l’inversione. Resta quindi il problema operativo per quegli enti che, pur godendo di esenzioni parziali, rischiano di incorrere in difficoltà nella gestione delle operazioni soggette al meccanismo del reverse charge.

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