[articolo di Luigi Bobba pubblicato su «Il Riformista» di martedì 13 giugno 2022 pag. 12]
È finito un ciclo dell’azione volontaria che ha preso forma alla fine degli anni ottanta?
Il vistoso calo dei volontari rilevato dall’ultimo censimento dell’Istat sulle istituzioni non profit (INP), ha scosso il mondo di quello che ora – dopo la riforma – è identificato negli enti del terzo settore. Ovvero quelle molteplici forme organizzative – Odv, Aps, Onlus, Imprese sociali, Fondazioni, Società di Mutuo Soccorso – che promuovono l’impegno volontario e la cittadinanza attiva. Questo meno 15% ha suscitato non pochi interrogativi, fatto riemergere antiche paure, ma anche sollecitato una riflessione che guarda alle sfide future. Il mondo dell’impegno volontario, civico e di solidarietà è stato certamente un caso di successo della storia del nostro Paese negli ultimi trent’anni. Ma il dato Istat obbliga a capire che cosa stia avvenendo, in primo luogo tra le giovani generazioni, ovvero se la linfa vitale dell’impegno solidaristico si stia impoverendo oppure se invece stia solo cambiando forma e direzione. La diminuzione dei volontari riflette certamente l’impatto che il Covid ha avuto su tutte le forme di aggregazione e di sviluppo dei legami comunitari. Ma tale constatazione non è sufficiente per capire le trasformazioni che stanno avvenendo nel mondo dell’azione volontaria.
Dalle indagini multiscopo dell’Istat tra il 2015 e il 2019 e antecedenti alla rilevazione censuaria, si osservava già un lieve decremento delle persone che si dedicano ad attività di volontariato in modo continuativo: un’inversione di tendenza rispetto al decennio precedente. Tale flessione appare più marcata tra le giovani generazioni tra i 15 e i 35 anni, mentre impegno volontario mostra una maggiore tenuta tra le persone in età adulto/anziana associate agli enti di Terzo settore. Il demografo Alessandro Rosina ha osservato che i giovani non rifiutano l’impegno volontario, ma vogliono più libertà. Cercano esperienze significative per la loro vita, non rigide appartenenze. Le loro scelte sono maggiormente mutevoli, a volte segnate da una certa fragilità, ma la spinta solidaristica – secondo Rosina – non è scomparsa. Infatti, una certa distanza dei giovani dalle organizzazioni più strutturate e tradizionali appare evidente proprio dalla fatica del ricambio nella guida delle stesse associazioni. Il sociologo Mauro Magatti, nel Rapporto sull’Italia generativa, aveva già intuito i contorni del fenomeno che ora l’Istat ci ha squadernato nel censimento. La spinta propulsiva all’impegno civico e all’azione volontaria, dice Magatti, sembra essersi affievolita. Forse il riflesso di un Paese invecchiato, intrappolato in un declino demografico, comincia a produrre i suoi effetti sia nella vitalità delle nuove imprese, sia nel campo del volontariato.
C’e’ poi un fattore più generale. L’individualizzazione di tutti gli ambiti di vita – dalle relazioni affettive e familiari, al lavoro e all’uso del tempo libero – ha prima lambito e poi fortemente interessato il fenomeno dell’azione volontaria. Sempre l’Istat, di recente, ha quantificato un fenomeno più sfuggente, quello del volontariato individuale: persone che si dedicano a qualche buona causa, ma vogliono sentirsi svincolate dalle reti organizzate e preferiscono impegni temporanei e discontinui. Siamo dunque di fronte al declino dell’azione volontaria nelle forme organizzate e strutturate che abbiamo finora conosciuto? O piuttosto questi elementi di indubbia criticità segnalano altresì qualche nuova traiettoria e lasciano intravedere sprazzi di futuro? Sprazzi che abbiamo avuto sotto gli occhi anche nella tragica alluvione che ha colpito la Romagna. Senza indulgere alla retorica degli “angeli del fango”, si è manifestata una capacità di prendersi cura delle persone e dei territori devastati dall’alluvione, in modi e in forme che hanno destato qualche sorpresa, attingendo in primo luogo alla forza delle reti associative organizzate, ma anche alla linfa del volontariato individuale e temporaneo. Ci sono poi alcuni fenomeni che rilevano proprio a partire dall’avvio del Registro unico nel novembre 2021. Ad oggi si sono iscritti più di 17.000 “nuovi” enti di terzo settore. Non sappiano ancora se rappresentano delle nuove nascite o semplicemente una emersione di realtà esistenti che già ingrossavano il grande fiume del volontariato, pur senza essere mai stati iscritti ad un registro. Lo stesso vale per le “nuove” imprese sociali: sono circa 4.400, quelle nate o qualificatesi tali, dall’avvio della riforma fino al dicembre 2022. Un tasso di crescita pari a circa il 5%, ben superiore a quello vicino allo zero per la generalità delle imprese profit. Cosa si cela dietro a queste emersioni o nuove nascite? Forse una spinta positiva ad organizzare energie volontarie, associative, solidaristiche o di imprenditorialità sociale.
In conclusione, il pugno nello stomaco del dato Istat non ci deve certo spingere ad invocare nostalgicamente i bei tempi passati quanto, come ha scritto Riccardo Bonacina fondatore di Vita, a trovare le strade per “far scoccare la scintilla della passione del possibile”.