Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è chiamato a pronunciarsi in ordine all’estensione dell’ambito applicativo dell’art. 17, comma 4, del Codice del Terzo Settore. La norma si inquadra in quella parte della disciplina del nuovo Codice che mira a fornire una nozione giuridica generale del volontario e dell’attività di volontariato, con riferimento anzitutto agli enti del terzo settore ma non solo ad essi (poiché il volontario può agire anche, e dunque non esclusivamente, per il tramite di un ETS), ed assume quindi notevole rilevanza sistematica. La figura del volontario vi viene identificata avendo riguardo ai caratteri dell’assenza di vincolatività, dell’esclusivo fine di solidarietà, della personalità dell’attività e della destinazione di questa in favore della comunità, cui si aggiunge, ma ai soli fini del Codice (ed in particolare dell’obbligatorietà dell’iscrizione nell’apposito registro dei volontari) e non della definizione generale, anche il carattere della non occasionalità. Ognuno di questi elementi essenziali può porre problemi interpretativi circa le ipotesi che si debbano considerare rientranti o meno nella figura generale a seconda di come li si intenda, ma non sarebbe azzardato sostenere che quello in concreto più rilevante sia il profilo dell’esclusivo fine solidaristico e dunque dell’assenza di ulteriori finalità, specie di quelle direttamente o indirettamente lucrative.
Ed è a tal riguardo che si pone il problema della disciplina del rimborso spese, istituto che da un lato assume fondamentale importanza, laddove si voglia evitare che l’attività di volontariato risulti in concreto appannaggio dei soli soggetti benestanti, un esito che si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali, in quanto tale attività rappresenta un momento di svolgimento della personalità e di adempimento dei doveri sociali di solidarietà ed è quindi doppiamente rilevante ex art. 2 Cost. (cfr. Corte Cost. n. 309/2013, in questo sito), ma, dall’altro lato, rappresenta anche il punto di tensione in cui rischia di incrinarsi la tenuta del predetto requisito solidaristico. Il Codice disciplina dunque l’ipotesi tentando una mediazione tra le diverse esigenze, con la predisposizione di un sistema di cautele e di freni a possibili abusi, per cui in linea di massima il rimborso è ammesso solo a fronte di spese effettive e documentate, entro i limiti ed alle condizioni che l’ente deve predeterminare (art. 17, comma 3), mentre viene dichiaratamente esclusa la possibilità di rimborsi forfetari. La norma subito successiva prevede tuttavia un procedimento semplificato di rimborso che, purché si rimanga al di sotto di certe soglie, potrà essere riconosciuto anche a fronte di una autocertificazione (art. 17, comma 4). Tale facoltà non rappresenta, peraltro, un’ipotesi marginale, ma viene riconosciuta agli enti del terzo settore in termini generali, con la sola eccezione delle vicende in cui la personalità della prestazione del volontario è massima, avendo ad oggetto addirittura il dono di organi o tessuti dello stesso, e diviene quindi intollerabile qualsivoglia forma di, sia pur velata ed indiretta, onerosità. Pertanto, nella gran parte delle ipotesi che si prospettano all’attenzione degli operatori, la facoltà in discorso rappresenta un’opzione rilevante, il che spiega anche il concreto interesse del quesito sottoposto al Ministero.
Il problema si pone con riguardo al coordinamento fra i diversi plessi normativi che a tutt’oggi si intrecciano nel mondo del terzo settore, anche all’indomani della codificazione del 2017 e del suo tentativo di superare il preesistente “groviglio” delle leggi speciali. Com’è noto, infatti, sono ancora in vigore discipline speciali esterne al Codice del Terzo Settore, benché in una qualche misura dallo stesso coordinate in un tendenzialmente unitario sistema. Fra di esse si colloca pure quella rilevante nel caso di specie, ovvero la legge sulle cooperative sociali (l. 8 novembre 1991, n. 381), enti cui risulta dunque riferibile tutta una pluralità di livelli normativi. Infatti, il decreto sull’impresa sociale le qualifica sì come imprese sociali di diritto, allo scopo anzitutto di inserire subito nella nuova tipologia una realtà consolidata (scongiurando un fallimento analogo a quello della figura disegnata dal d.lgs. 24 marzo 2006, n. 155, cui, nella sostanziale assenza di incentivi, solo ben pochi soggetti avevano aderito), ma, dall’altra parte, si premura di far salva la ricordata legge speciale, per cui le disposizioni del nuovo decreto si applicheranno a dette cooperative solo ove compatibili con quelle previgenti, derogatorie per l’appunto in quanto speciali (d.lgs. 3 luglio 2017, n. 112, art. 1, comma 4). Peraltro, la medesima norma precisa altresì che a tutte le imprese sociali si applichino, ove compatibili col decreto, che da questo punto di vista è a sua volta lex specialis, le norme del Codice del Terzo Settore, ed in caso di lacune di quest’ultimo quelle del Codice Civile (d.lgs. 3 luglio 2017, n. 112, art. 1, comma 5). Ricapitolando l’articolato schema, a fronte di una cooperativa sociale la disciplina generalissima è il Codice del 1942, derogato dal Codice del Terzo Settore, a sua volta derogato dal decreto sull’impresa sociale, a sua volta ancora derogato dalla legge speciale del 1991. Pertanto, anche la menzionata disciplina dei rimborsi semplificati ai volontari, collocata nella parte generale del Codice del Terzo Settore, si trova coinvolta nel meccanismo, ed il nostro quesito riguarda appunto la sua applicabilità o meno anche ai volontari delle cooperative sociali alla luce della predetta gerarchia delle fonti. Nell’ambito del decreto impresa sociale l’attività di volontariato è infatti in linea di massima ammessa dall’art. 13, comma 2, che offre al riguardo una disciplina assai sintetica, per cui risulteranno tendenzialmente applicabili le previsioni generali del Codice del Terzo Settore, ivi compresa quella in esame, non ravvisandosi nel decreto alcuna disciplina derogatoria in punto di rimborsi. Nell’ambito della legge speciale sulle cooperative sociali invece una previsione in punto di rimborso spese ai (soci) volontari esiste (art. 2, comma 4, legge 381/1991), e fa riferimento alle spese effettive e documentate sulla base di parametri stabiliti in via generale dall’ente, per cui il dubbio sull’applicabilità di quella dettata nel Codice del Terzo Settore si fa concreto, e giunge all’esame dei competenti uffici ministeriali.
La risposta formulata dal Ministero si impernia sull’esame di compatibilità fra l’appena menzionata norma della legge speciale e la disposizione generale da cui il nostro discorso ha preso le mosse: esame che ha un esito positivo. La disciplina speciale non appare infatti in contrasto né quindi ostativa all’applicazione di quella generale, che potrà dunque essere riguardata come integrativa. In sostanza l’ente, nell’esercizio della sua autonomia in punto di determinazione delle metodologie di quantificazione e rimborso delle spese sostenute dai volontari potrà anche avvalersi della facoltà di procedere in modalità semplificata, ai sensi dell’art. 17, comma 4, del Codice del Terzo Settore. Trova così ulteriore conferma quanto prima dicevamo circa il carattere in realtà tutt’altro che eccezionale di tale disposizione, cui anche nel caso di specie viene riconosciuta una portata applicativa ampia e generale.