Gli enti del Terzo settore come soggetti protagonisti del disegno costituzionale: un nuovo orizzonte per la promozione della ricerca scientifica e per la tutela del diritto alla salute

  1. Premessa

La ricerca scientifica, specie in correlazione all’ambito sanitario, è senza dubbio un settore di fondamentale e strategica importanza. Dallo stato di avanguardia della ricerca scientifica, infatti, dipende anche la capacità della Repubblica di garantire in maniera piena ed effettiva la tutela del diritto alla salute dei cittadini.

Come noto, tuttavia, le risorse che lo Stato può investire nella ricerca scientifica sono limitate e non sempre sufficienti a favorirne un adeguato sviluppo.

Nell’ottica di rispondere a questa esigenza, gli enti del Terzo settore che perseguono statutariamente l’obiettivo della promozione della ricerca scientifica già da diversi anni stipulano convenzioni-quadro con università, ospedali e IRCCS pubblici, assumendosi l’impegno di finanziare progetti di ricerca e di erogare borse di studio in favore di giovani studiosi, selezionati attraverso procedure competitive ordinate a criteri meritocratici, trasparenti e indipendenti1.

Viene a costituirsi, dunque, un rapporto trilaterale, in base al quale tali enti del Terzo settore erogano finanziamenti agli enti pubblici convenzionati, affinché questi si impegnino a rendere disponibili per i ricercatori i fondi e l’organizzazione tecnologica e strumentale necessaria al perseguimento degli obiettivi dei progetti approvati.

Il finanziamento di progetti di ricerca e l’erogazione di borse di studio secondo lo schema convenzionale appena descritto offrono la possibilità a molti giovani scienziati di contribuire al progresso della ricerca scientifica, attraverso percorsi formativi che arricchiscono indubbiamente i loro curricula. Tuttavia, poiché i ricercatori sono selezionati da enti del Terzo settore – soggetti, quantomeno formalmente, privati – i vincitori dei bandi, una volta esaurita la durata del progetto di ricerca, non conseguono un titolo idoneo a consentir loro l’accesso ai concorsi universitari o ai concorsi banditi da ospedali o da altri organismi di ricerca pubblici, per i quali è richiesto un grado di qualificazione equiparabile a quello conseguito al termine del progetto, né tantomeno a renderli eventualmente destinatari di chiamata diretta per la copertura dei corrispondenti ruoli.

A causa di questo difetto di “comunicazione” tra l’iter universitario post lauream e la carriera di ricerca scientifica all’interno di ospedali o IRCCS pubblici, da un lato, e i programmi di ricerca banditi dagli enti del Terzo settore, dall’altro, si origina dunque un vulnus nel proseguimento della carriera di molti meritevoli scienziati, con il conseguente rischio di dispersione di un importante potenziale, che invece potrebbe ugualmente concorrere al perseguimento dell’obiettivo di promozione della ricerca scientifica e tecnica che l’art. 9 della Costituzione assegna alla Repubblica2.

Tuttavia, le nuove forme di collaborazione tra enti del Terzo Settore e amministrazione pubblica, alla luce del loro espresso riconoscimento costituzionale operato dal Giudice delle leggi nella sentenza n. 131 del 2020, sembrerebbero consentire agli enti del Terzo Settore che perseguono tale obiettivo di interesse generale, di affinare ulteriormente i propri rapporti di collaborazione con la pubblica amministrazione, favorendo l’apertura di interessanti scenari per l’avvio di soluzioni innovative in grado di valorizzare i ricercatori scientifici nel nostro Paese3.

Il fine che si propone il presente elaborato è quindi quello di indagare l’effettiva sussistenza dei presupposti per un intervento normativo che, superando gli ostacoli prettamente formalistici che impediscono di qualificare gli enti del Terzo settore come soggetti pubblici, attribuisca ai ricercatori che abbiano completato i programmi di ricerca da essi finanziati i requisiti e i titoli necessari per poi poter proseguire la propria carriera e attività di ricerca presso i poli universitari, gli ospedali o gli IRCCS pubblici.

Dopo aver posto in evidenza i principi costituzionali di cui le nuove forme di collaborazione tra enti del Terzo Settore e pubblica amministrazione costituiscono estrinsecazione, si tenterà di prospettare le modalità attraverso le quali la predetta equiparazione di titoli ex lege possa armonizzarsi con i principi dell’ordinamento in materia di concorsi pubblici.

  1. Le forme di coinvolgimento degli enti del Terzo settore nei rapporti con la pubblica amministrazione

Le disposizioni contenute nel Titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 (“Codice del Terzo Settore”), indicando e disciplinando le modalità attraverso le quali gli enti del Terzo settore possono instaurare rapporti di collaborazione con gli enti pubblici, si pongono a fondamento di una « “relazione” giuridica»4 per una specifica categoria di enti – gli enti del Terzo settore per l’appunto – che, in seguito alla riforma, non solo sono definiti in positivo come soggetti che perseguono l’interesse generale ex art. 1 del Codice5, ma sono anche dotati di un espresso riconoscimento costituzionale, come si avrà modo di notare nel seguito della trattazione.

In questa prospettiva, dunque, gli artt. 55, 56 e 57 del Codice costituiscono il punto di incontro e di snodo fra il polo degli interessi pubblici, rappresentato dalle amministrazioni dello Stato e dagli altri enti pubblici, e quello dell’interesse generale, rappresentato dagli enti del Terzo settore6.

Mentre gli artt. 56 e 57 prevedono una specifica regolamentazione basata sul paradigma bipolare tradizionale7, rispettivamente, delle «Convenzioni» con le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale finalizzate allo svolgimento di attività o servizi sociali di interesse generale e dell’affidamento in convenzione alle organizzazioni di volontariato del «Servizio di trasporto sanitario di emergenza e urgenza»8, l’art. 55, rubricato «Coinvolgimento degli enti del Terzo settore»9, si presenta come norma a carattere generale, tesa ad individuare le possibili declinazioni del principio di sussidiarietà orizzontale ex art. 118, ultimo comma, della Costituzione, nell’ambito dei rapporti tra enti del Terzo Settore e pubblica amministrazione, introducendo così interessanti novità in relazione all’interpretazione dell’impianto complessivo del Codice10.

Il principio di sussidiarietà permea un ampio progetto di ripensamento dell’assetto organizzativo dei poteri dell’amministrazione e di inedita riconsiderazione dell’interesse generale, che si rende necessario al fine di ricondurre a sintesi, attraverso nuovi modelli di partecipazione e collaborazione, la molteplicità delle istanze provenienti dall’insieme delle realtà, pubbliche e private, costituenti l’assetto sociale, da intendersi «non più in modo verticistico, ma nella pluralità di forme e contenuti che caratterizzano il tessuto comunitario»11.

In tale contesto, assume rilevanza la previsione dell’art. 55, secondo cui le pubbliche amministrazioni, nell’esercizio delle loro funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi, assicurano agli enti del Terzo Settore «il coinvolgimento attivo»12 in tutti i settori di attività di interesse generale definiti dall’art. 5 del Codice.

È da subito evidente come rispetto agli istituti tradizionali della convenzione e dell’affidamento, in cui gli enti del Terzo settore ricoprono un ruolo più “passivo” di fronte alle iniziative assunte dalla pubblica amministrazione, la formulazione dell’art. 55 muti decisamente la prospettiva, consentendo agli enti del Terzo settore di contribuire attivamente con il proprio bagaglio di esperienze e competenze al conseguimento degli obiettivi di interesse generale.

Come osservato da autorevole dottrina, potrebbe ravvisarsi in capo alla pubblica amministrazione in realtà un vero e proprio obbligo giuridico – in quanto tale esigibile dai destinatari e suscettibile di eventuale tutela in sede giurisdizionale – di mettere in campo tutti gli strumenti idonei a consentire agli enti del Terzo settore «di implicarsi nelle diverse forme di partecipazione attiva»13.

Nella prospettiva codicistica, il coinvolgimento attivo di cui si sta ragionando si sviluppa, nel rispetto dei principi sanciti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché delle norme che disciplinano specifici procedimenti ed in particolare di quelle relative alla programmazione sociale di zona, attraverso forme di co-programmazione, co-progettazione e accreditamento, previste e disciplinate – seppur in modo sintetico – rispettivamente, al secondo, terzo e quarto comma dell’art. 55.

Al fine di individuare le più rilevanti innovazioni di principio concernenti la dinamica di sviluppo della dialettica tra amministrazioni pubbliche ed enti del Terzo settore, giova porre l’attenzione sulla stretta connessione tra la fase di co-programmazione e di co-progettazione, sia che quest’ultima si declini nella forma prevista in termini generali oppure in quella tipica dell’accreditamento14.

Il legislatore definisce la co-programmazione come il procedimento finalizzato «all’individuazione, da parte della pubblica amministrazione procedente, dei bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle modalità di realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili» e la co-progettazione come il procedimento diretto «alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti, alla luce degli strumenti di programmazione di cui comma 2» (ovverosia la co-programmazione).

Dalla lettura combinata del comma 2 e del comma 3, emerge chiaramente come la co-programmazione rappresenti un prius, sul piano logico e cronologico, rispetto alla co-progettazione.

In quest’ottica, infatti, la co-programmazione costituisce il momento di individuazione “a monte” di specifici bisogni da soddisfare, mentre la co-progettazione opera “a valle”, consistendo nella definizione delle concrete modalità d’intervento necessarie allo scopo preposto nella fase precedente15.

Per meglio comprendere la portata degli effetti delle disposizioni appena riportate vale la pena osservare che esse presentano significative consonanze con alcune di quelle contenute nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 30 marzo 2001, «Atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona ai sensi dell’art. 5 della legge 8 novembre 2000, n. 328», adottato ai sensi dell’art. 5, comma 2, della medesima legge16.

In particolare, l’art. 1, comma 2, lett. e) del citato D.P.C.M. mira già a valorizzare il ruolo degli enti del Terzo settore nell’ambito della programmazione del sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali, prevedendo la possibilità per le Regioni di adottare specifici indirizzi per «definire adeguati processi di consultazione con i soggetti del terzo settore e con i loro organismi rappresentativi riconosciuti come parte sociale».

Riferimenti alla co-progettazione, invece, si rinvengono alle lett. c) e d) del medesimo art. 1, ove è sancita la possibilità per le Regioni di adottare specifici indirizzi per favorire, rispettivamente, «l’utilizzo di forme di aggiudicazione o negoziali che consentano la piena espressione della capacità progettuale ed organizzativa dei soggetti del terzo settore» e «forme di coprogettazione promosse dalle amministrazioni pubbliche interessate, che coinvolgano attivamente i soggetti del terzo settore per l’individuazione di progetti sperimentali ed innovativi al fine di affrontare specifiche problematiche sociali», ma soprattutto all’art. 7, ove è consentito ai comuni, al fine di affrontare specifiche problematiche sociali, di «indire istruttorie pubbliche per la coprogettazione di interventi innovativi e sperimentali su cui i soggetti del terzo settore esprimono disponibilità a collaborare con il comune per la realizzazione degli obiettivi».

Pur non intendendo trascurare la rilevanza di tali previsioni, è evidente come, in tale quadro normativo, l’art. 55 si presenti quale simbolo di un processo evolutivo notevole, in quanto mira ad estendere questa dinamica relazionale tra sfera pubblica e privata, prima limitata soltanto al settore dei servizi sociali, all’intera gamma delle attività di interesse generale di cui all’art. 5 del Codice ed evoca un coinvolgimento degli enti del Terzo settore «non solo per la materiale erogazione dei servizi e degli interventi, bensì anche nella fase della programmazione e pianificazione degli stessi»17.

L’estensione del coinvolgimento attivo anche nella fase precedente di programmazione rappresenta la pre-condizione essenziale affinché la realizzazione dei progetti e la materiale erogazione dei servizi e degli interventi risultino coerenti con i princìpi enunciati dall’art. 55, comma 118.

Oltre al già citato principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, ultimo comma, della Costituzione, il legislatore, nel prevedere tali forme di coinvolgimento degli enti del Terzo Settore, ha inteso espressamente dare attuazione anche ai principi di cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell’amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare.

Questo richiamo, che potrebbe apparire quasi sovrabbondante, si giustifica nell’evidente necessità di individuare un delicato punto di bilanciamento fra diversi interessi e valori costituzionali, nonché principi derivanti dalla normativa euro-unitaria, recepita nel nostro ordinamento ai sensi dell’art. 117, comma 1, della Costituzione19.

Tuttavia, l’ampia enunciazione dei principi suindicati non è stata da subito sufficiente a legittimare gli enti del Terzo Settore come un’autonoma e specifica categoria costituzionale e ad evitare l’emersione di profili problematici.

In particolare, come si avrà modo di evidenziare nel paragrafo successivo, le maggiori difficoltà si sono riscontrate nel coniugare il principio di sussidiarietà orizzontale, che informa l’intero impianto dei rapporti tra enti del Terzo Settore e pubbliche amministrazioni, con l’esigenza – apparentemente contrapposta – di garantire la tutela della concorrenza tra differenti operatori nel mercato.

2.1. L’apparente contrasto con la normativa euro-unitaria in tema di concorrenza: il parere n. 2052 del 2018 del Consiglio di Stato

Nell’ambito del Tavolo tecnico diretto ad approfondire il tema della gestione dei servizi per l’accoglienza degli immigrati all’interno del Piano nazionale anticorruzione del 2018, l’ANAC ha ritenuto opportuno richiedere al Consiglio di Stato un parere al fine di definire gli ambiti di applicazione, rispettivamente, delle disposizioni del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (“Codice dei contratti pubblici”) e della normativa speciale del Codice del Terzo settore, in caso di affidamento di servizi sociali ad enti del Terzo settore.

In particolare, l’Autorità sollevava dubbi in ordine alla compatibilità degli strumenti di amministrazione condivisa di cui agli artt. 55 e 56 del Codice del Terzo settore con i princìpi euro-unitari in materia di concorrenza, così come recepiti dal Codice dei contratti pubblici, nonché con i princìpi in tema di trasparenza derivanti dal decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33.

Al suddetto quesito, con parere del 20 agosto 2018, n. 2052, ha risposto la Commissione consultiva speciale del Consiglio di Stato, prospettando in termini piuttosto netti le criticità del coordinamento tra il Codice del Terzo settore e il Codice dei contratti pubblici.

In estrema sintesi, a giudizio della Commissione, alla luce della nozione funzionale di impresa fatta propria dal diritto euro-unitario, le procedure di affidamento di servizi sociali non devono ritenersi soggette alla regolazione concorrenziale, solamente ove non abbiano carattere selettivo, ovvero non tendano, neppure prospetticamente, all’affidamento di un sevizio sociale, ovvero ancora nei casi in cui il servizio sia sì prospetticamente svolto dall’affidatario del servizio, ma in forma integralmente gratuita20.

Al contrario, qualora non sia ravvisabile nessuna delle predette condizioni, al di fuori delle attività che le direttive europee in materia di contratti pubblici hanno espressamente escluso dal loro ambito, troverebbe applicazione il Codice dei contratti pubblici, con la conseguente necessaria indizione di una gara d’appalto.

Se, da un lato, le conclusioni a cui perviene il Supremo Consesso potrebbero apparire giustificate, dall’altro, ciò che ha destato maggiori perplessità è l’ottica assunta come base del ragionamento giuridico svolto21.

Sul presupposto che il recepimento del diritto euro-unitario sia avvenuto esclusivamente attraverso il Codice dei contratti pubblici, infatti, il Consiglio di Stato interpreta gli artt. 55 e 56 del Codice del Terzo settore, alla luce dei principi che regolano la concorrenza tra i differenti operatori del mercato.

Come anticipato, nell’iter logico-argomentativo su cui è edificato il parere decisiva rilevanza assume la nozione funzionale di impresa di derivazione euro-unitaria, che prescinde dalla veste giuridica e dai caratteri strutturali del soggetto gerente, concentrandosi, viceversa, sulla ricorrenza in concreto degli oggettivi caratteri economici nell’attività posta in essere.

In quest’ottica, ogni iniziativa diretta alla realizzazione di beni, all’esecuzione di lavori o alla prestazione di servizi astrattamente contendibili sul mercato verrebbe a configurarsi come attività di impresa con la conseguente sottoposizione alla disciplina pro-concorrenziale, indipendentemente dalla natura giuridica di ente del Terzo settore.

Ad eccezione dell’accreditamento c.d. libero e delle procedure di co-progettazione e partenariato finalizzate a rapporti puramente gratuiti, le procedure contemplate agli artt. 55 e 56 del Codice del Terzo settore, dunque, configurerebbero appalti di servizi da assoggettare alla disciplina del Codice dei contratti pubblici che, in considerazione della primazia del diritto euro-unitario, prevarrebbe sulle difformi previsioni del Codice del Terzo settore, avendo luogo, in tali ipotesi, il meccanismo della disapplicazione normativa.

Secondo i giudici di Palazzo Spada, tale sarebbe l’unica prospettiva metodologica atta a evitare che le procedure di affidamento della gestione dei servizi limitino selettivamente l’accesso ad alcuni mercati alle imprese profit a indebito vantaggio delle imprese noprofit22.

Come dinnanzi preannunciato, tale «postura giuridica»23 è stata fortemente criticata sia per la ricostruzione del sistema delle fonti che per la conseguente angolazione prospettica, alla luce della quale è stata analizzata la natura degli strumenti di amministrazione condivisa di cui agli artt. 55 e 56 del Codice del Terzo settore.

In particolare, non è apparso convincente l’assunto secondo cui il recepimento del diritto euro-unitario sia avvenuto esclusivamente attraverso il Codice dei contratti pubblici, per questo motivo da ritenersi quale fonte sovra-ordinata rispetto al Codice del Terzo settore.

In proposito, è stato osservato che il diritto euro-unitario non è informato solamente al principio della tutela della concorrenza, bensì anche al principio solidaristico e di sussidiarietà. La stessa direttiva n. 24/2014/UE, richiamata dal Consiglio di Stato nel parere n. 2052 del 2018, non potrebbe essere interpretata come imposizione agli Stati membri di adottare misure pro-concorrenziali in tutti i settori. Una siffatta interpretazione, infatti, se portata alle sue conseguenze più estreme, potrebbe comportare in ultima istanza l’attivazione dei controlimiti, in quanto il diritto euro-unitario perverrebbe a violare il principio solidaristico e il principio di sussidiarietà, che costituiscono espressione dei valori fondanti del nostro ordinamento costituzionale24.

Il Considerando n. 114 della richiamata direttiva, del resto, stabilisce che gli Stati membri sono liberi di prestare servizi alla persona direttamente o di organizzare servizi sociali attraverso modalità che non comportino necessariamente la conclusione di contratti pubblici e tale impostazione è confermata anche dall’art. 1, comma 4, ove è fatta «salva la libertà, per gli Stati membri, di definire, in conformità del diritto dell’Unione, quali essi ritengono essere servizi di interesse generale, in che modo tali servizi debbano essere organizzati e finanziati, in conformità delle regole sugli aiuti di Stato, e a quali obblighi specifici debbano essere soggetti».

Il rapporto intercorrente tra il Codice dei contratti pubblici e il Codice del Terzo settore non verrebbe così più a configurarsi come di sovraordinazione del primo rispetto al secondo, bensì di complementarietà25.

Pertanto, in quest’ottica, laddove la pubblica amministrazione miri all’acquisto di un servizio, secondo la logica della competitività economica, sarebbe tenuta a stipulare un contratto d’appalto con enti privati a scopo di lucro.

Qualora, invece, l’obiettivo sia la promozione dell’integrazione al fine di perseguire l’interesse generale e il bene comune, verrebbero in rilievo gli strumenti della co-programmazione e della co-progettazione con gli enti del Terzo settore, in ossequio al principio sussidiario-collaborativo.

Secondo questa differente prospettiva, dunque, assumerebbe valore non tanto la dimensione oggettiva dell’attività svolta e il suo carattere economico, quanto invece il profilo soggettivo e teleologico, con particolare attenzione a quali sono gli enti che svolgono le attività e al fine che perseguono26.

Come si avrà modo di approfondire nel seguente paragrafo, in tale scenario di incertezza sulla portata effettiva della riforma del 2017 dell’intero Terzo settore, la Corte costituzionale nella sentenza n. 131 del 2020 ha ripristinato una visione armonica del rapporto fra diritto interno e diritto euro-unitario, valorizzando il rilievo costituzionale degli enti del Terzo settore nell’ambito dei rapporti con l’amministrazione pubblica27.

2.2. Il fondamento costituzionale e l’armonizzazione con il diritto euro-unitario: la sentenza n. 131 del 2020 della Corte costituzionale

Aggiornando i fili della giurisprudenza costituzionale in materia, la sentenza 26 giugno 2020, n. 131 della Corte costituzionale segna l’affermazione di un paradigma interpretativo del Codice del Terzo settore, in grado di orientare sia il legislatore, sia l’amministrazione pubblica che gli enti del Terzo settore stessi verso nuovi interessanti scenari di collaborazione28.

Al di là del decisum29 , ciò che in questa sede preme maggiormente sottolineare è l’intento didascalico della pronuncia, reso evidente dall’ampiezza argomentativa che connota la motivazione30.

La Corte costituzionale, infatti, non si è limitata a risolvere la questione giuridica sottopostale, bensì ha colto l’opportunità per ricostruire la ratio della disciplina del Terzo settore, soffermandosi particolarmente sui principi costituzionali su cui si fondano gli strumenti di amministrazione condivisa ex art. 55 del Codice del Terzo settore.

Nella prospettiva del Giudice delle leggi, il citato art. 55 rappresenta «una delle più significative attuazioni del principio di sussidiarietà orizzontale valorizzato dall’art. 118, quarto comma, Cost.»31.

La Corte, dunque, rinviene le radici delle nuove forme di coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore in quelle relazioni di solidarietà che, già prima dell’avvento dei sistemi pubblici di welfare, sono state all’origine di una fitta rete di mutualità che ha contribuito in modo significativo allo sviluppo sociale.

Del resto, come osservato da autorevole dottrina, la sussidiarietà orizzontale costituisce una specificazione del principio solidaristico di cui all’art. 2 della Costituzione, che garantisce i diritti inviolabili dell’uomo non solo come singolo, ma anche nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità32.

Secondo la Corte, proprio valorizzando l’originaria socialità dell’uomo, il legislatore del Codice del Terzo settore, in ossequio al citato principio della sussidiarietà orizzontale, avrebbe inteso superare la concezione secondo cui solo l’azione del sistema pubblico è intrinsecamente idonea allo svolgimento di attività di interesse generale, ben potendo queste essere perseguite anche da un’autonoma iniziativa di cittadini in forma associata.

In quest’ottica, le forme di collaborazione tra enti del Terzo settore e amministrazione pubblica operano in un ambito di organizzazione delle libertà sociali non riconducibile né allo Stato, né al mercato, costituendo la «gemmazione»33 sul piano normativo di quelle forme di solidarietà che, «in quanto espressive di una relazione di reciprocità, devono essere ricomprese tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, riconosciuti, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente»34.

Seguendo tale iter logico-giuridico, infatti, la Corte costituzionale afferma chiaramente che «[i]l modello configurato dall’art. 55 del Codice del Terzo settore non si basa sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata, ma sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico»35.

Nel quadro delineato dalla Corte, dunque, tra pubblica amministrazione ed enti del Terzo settore si instaura «un canale di amministrazione condivisa»36 con caratteristiche distinte rispetto a quelle che connotano un contratto d’appalto.

Le forme di coinvolgimento attivo ex art. 55 del Codice del Terzo settore, infatti, danno vita a rapporti di tipo paritario, fondati sulla fiducia, sulla collaborazione e sulla convergenza di obiettivi nel perseguimento dell’interesse generale, diametralmente opposti a quelli che si instaurano tra amministrazione e gli altri soggetti privati, di tipo gerarchico, fondati sulla diffidenza reciproca, sulla competizione e sulla divergenza tra interessi pubblici e privati37.

Se dunque il Consiglio di Stato nell’esaminato parere n. 2052 del 2018 ha assimilato gli enti del Terzo settore agli enti profit sulla base di una concezione “naturalistica” di impresa, nella sentenza n. 131 del 2020 muta radicalmente la prospettiva.

L’estraneità alla logica pro-concorrenziale, infatti, non è ritenuta quale possibile motivo di contrasto con i principi di derivazione euro-unitaria.

Smentendo implicitamente l’impostazione seguita dal Consiglio di Stato38, infatti, la Corte osserva come lo stesso diritto dell’Unione europea mantenga in capo agli Stati membri la possibilità di apprestare, in relazione ad attività di significativa valenza sociale, un modello organizzativo ispirato non al principio di concorrenza, ma a quello di solidarietà.

In proposito, a conferma della notevole portata degli effetti di questa decisione, giova segnalare che l’armonizzazione con il diritto euro-unitario nei termini prospettati dalla Corte costituzionale è stata altresì recepita nel testo vigente del Codice dei contratti pubblici.

La legge di conversione 11 settembre 2020, n. 120 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (c.d. decreto semplificazioni), infatti, ha introdotto alcune modifiche al Codice dei contratti pubblici finalizzate a coordinarne l’applicazione con il Codice del Terzo settore.

In particolare, prevedendo specifici richiami agli artt. 30, comma 8 (principi per l’aggiudicazione e l’esecuzione di appalti e delle concessioni), 59, comma 1 (scelta delle procedure e oggetto del contratto) e 140, comma 1 (norme applicabili ai servizi sociali e ad altri servizi specifici dei settori speciali) del Codice dei contratti pubblici il legislatore ha precisato che restano ferme le forme di coinvolgimento degli enti del Terzo settore di cui al Titolo VII del Codice del Terzo settore, in virtù del principio di specialità.

Il Codice dei contratti pubblici, dunque, contiene oggi quelle norme-ponte con il Codice del Terzo settore, che consentono di escludere i profili di incompatibilità tra i due testi normativi paventati dal Consiglio di Stato nel parere n. 2052 del 201839.

A tal riguardo, infatti, sempre sulla scorta delle argomentazioni del Giudice delle leggi, anche le Linee Guida adottate con decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 31 marzo 2021, n. 72 chiariscono che, laddove siano utilizzabili entrambe le modalità per lo svolgimento di un servizio o la realizzazione di un’attività, le pubbliche amministrazioni hanno la facoltà di scegliere alternativamente fra l’attivazione di un rapporto di collaborazione con gli enti del Terzo settore, valorizzando così il principio di sussidiarietà orizzontale, e l’affidamento di un contratto pubblico, tutelando in tal caso la concorrenza degli operatori economici all’interno di un mercato pubblico regolato40.

La sentenza n. 131 del 2020 della Corte costituzionale, dunque, ha permesso di superare lo scenario di incertezza interpretativa che prima interessava gli istituti di amministrazione condivisa, offrendo gli stimoli per il necessario coordinamento sul piano normativo tra il Codice dei contratti pubblici e il Codice del Terzo settore e per l’adozione di specifiche Linee Guida sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore, che descrivono le singole fasi dei procedimenti di cui agli artt. 55 e seguenti del Codice.

Ciò che tuttavia nel prosieguo della presente disamina premerà particolarmente sottolineare è che la scelta del legislatore del 2017, confortata dall’esaminata sentenza n. 131 del 2020 della Corte costituzionale, di prevedere una cooperazione informata in primis al principio di sussidiarietà orizzontale fin dalla fase di programmazione si giustifica a monte in ragione dei peculiari requisiti soggettivi che connotano gli enti del Terzo settore.

Quest’ultimo aspetto, infatti, appare di decisiva rilevanza al fine di individuare i presupposti per un intervento normativo che riconosca ai vincitori dei bandi di programmi di ricerca scientifica finanziati dagli enti del Terzo settore operanti in tale ambito un titolo idoneo per poter proseguire la propria carriera nelle università, negli ospedali o negli IRCCS pubblici.

  1. La prospettazione di una nuova formula collaborativa per la promozione della ricerca scientifica e per la tutela del diritto alla salute

Come anticipato in premessa, il principale ostacolo al riconoscimento ex lege di un titolo che consenta ai vincitori dei programmi di ricerca banditi e finanziati da enti del Terzo Settore di accedere ai concorsi per la copertura di ruoli di un corrispondente grado di qualifica e competenza all’interno degli atenei, degli ospedali e degli altri organismi di ricerca pubblici è costituito dal fatto che la selezione è operata da soggetti formalmente privati.

In base ai principi generali dell’ordinamento in materia di concorsi pubblici, infatti, il titolo necessario per partecipare a concorsi di grado superiore dovrebbe essere rilasciato da soggetti pubblici, dopo l’espletamento di procedure di selezione ad evidenza pubblica.

Nello scenario attuale, dunque, una volta esaurita la durata dei programmi di ricerca, qualora gli scienziati selezionati da enti del Terzo settore fossero intenzionati a proseguire la propria attività, ad esempio, all’interno dei poli universitari, sarebbero costretti a partecipare al concorso di dottorato, che costituisce il primo ciclo di approfondimento di studi successivo alla laurea, completamente prescindendo dalla preparazione e conoscenza nel frattempo acquisita.

Tuttavia, a ben vedere, i margini perché non continui ad aver luogo tale consistente rallentamento nella carriera dei vincitori di tali programmi di ricerca potrebbero rinvenirsi proprio in quei «caratteri specifici»41 che, ad avviso del Giudice delle leggi nell’esaminata sentenza n. 131 del 2020, costituiscono la base imprescindibile per l’attuazione delle nuove forme di collaborazione tra enti del Terzo settore e pubblica amministrazione sin qui analizzate.

La Corte costituzionale, infatti, sulla scorta dell’identificazione sul piano normativo degli enti del Terzo settore come un insieme limitato di soggetti giuridici rivolti a perseguire il bene comune senza finalità lucrative, riconosce loro «una specifica attitudine a partecipare insieme ai soggetti pubblici alla realizzazione dell’interesse generale»42.

Ed è proprio in ragione di tale qualificata propensione a svolgere attività di interesse generale che gli enti del Terzo settore sono legittimati a ricoprire un ruolo attivo sin dalla fase di individuazione dei bisogni da soddisfare e degli obiettivi da perseguire.

Non sarebbe allora azzardato affermare che gli enti del Terzo settore siano decisamente più vicini sul piano sostanziale ai soggetti pubblici quando si tratti di svolgere attività di interesse generale.

Sposando una riflessione di autorevole dottrina, gli enti del Terzo settore potrebbero ritenersi quali «soggetti bifronti»: da un lato, cittadini associati che necessitano del sostegno della Repubblica per lo svolgimento di attività di interesse generale, dall’altro lato, ovvero dalla prospettiva dei cittadini, corpo intermedio che, insieme ai soggetti pubblici, costituisce la Repubblica in senso materiale, favorendo le iniziative per il perseguimento del bene comune43.

Orbene, posto che l’art. 9 della Costituzione attribuisce alla Repubblica il compito di promuovere lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica, una compartecipazione tra gli enti del Terzo settore che perseguono statutariamente quegli obiettivi, da una parte, e le università, gli ospedali e gli IRCCS pubblici, dall’altra, nella fase di selezione dei candidati ai bandi che originano da tale rapporto collaborativo potrebbe costituire una garanzia atta a superare sul piano soggettivo i limiti all’equiparazione di titoli nei termini prospettati.

Ai fini dell’armonizzazione di tale intervento normativo con i principi dell’ordinamento in materia di concorsi pubblici, infatti, assumerebbe decisiva rilevanza il fatto che i vincitori dei bandi verrebbero selezionati, in perfetta coerenza con il dettato dell’art. 9 della Costituzione, da due categorie di soggetti che formano la Repubblica in senso materiale.

Dal punto di vista operativo, gli enti del Terzo settore interessati dovrebbero innanzitutto attivarsi per la definizione di due accordi-quadro distinti, ma di analogo contenuto, con il Ministero dell’Università e della Ricerca e con il Ministero della Salute, a seconda che le amministrazioni pubbliche coinvolte siano, rispettivamente, università e ospedali o IRCCS pubblici.

In particolare, a fronte dell’impegno degli enti del Terzo settore di finanziare i progetti di ricerca e di garantire la partecipazione delle predette amministrazioni nella fase di elaborazione dei criteri di selezione ed eventualmente anche nella definizione dei programmi di ricerca, si potrebbe prospettare nei confronti di ciascuno dei due Ministeri menzionati l’assunzione, tramite l’emanazione di un decreto ad hoc, dell’obbligo di riconoscere in favore dei ricercatori selezionati un titolo idoneo a consentir loro l’accesso ai concorsi banditi dalle istituzioni pubbliche ospitanti o, addirittura, a renderli destinatari di chiamata diretta per la copertura di ruoli di corrispondente competenza, alla stregua di quanto previsto, ad esempio, nel Decreto Ministeriale 28 dicembre 2015, n. 963 per i vincitori di programmi di ricerca di alta qualificazione finanziati dall’Unione europea o dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (dal gennaio 2020 nuovamente diviso in Ministero dell’Istruzione e Ministero dell’Università e della Ricerca44.

Una siffatta risposta sul piano normativo consentirebbe, di conseguenza, agli enti del Terzo settore di attivare a livello locale rapporti di co-programmazione e co-progettazione con le singole università, ospedali e IRCCS pubblici, definendone più nel dettaglio il relativo coinvolgimento in conformità ai parametri indicati nei decreti di cui si auspica l’emanazione45.

In proposito, il fatto che alcuni enti del Terzo settore operanti nell’ambito della ricerca scientifica possano presentarsi come pionieri di tale innovativa forma di collaborazione non costituirebbe una preclusione per altri enti del Terzo settore che intendano perseguire obiettivi della medesima rilevanza costituzionale nel medesimo ambito.

Del resto, come chiarito anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 131 del 2020, gli enti del Terzo settore operano non secondo la logica della competitività, bensì nell’ambito di una dinamica relazionale con la pubblica amministrazione caratterizzata da collaborazione, arricchimento e integrazione reciproca in risposta a bisogni ed esigenze di interesse generale.

In conclusione, come si è avuto modo di argomentare, l’interpretazione dell’art. 55 del Codice del Terzo settore offerta dal Giudice delle leggi apre agli enti del Terzo settore e alle pubbliche amministrazioni che potrebbero essere coinvolte la strada a un nuovo modello di collaborazione in grado di perseguire rilevanti interessi di carattere costituzionale più di quanto non sia possibile mediante la stipula di convenzioni tradizionali.

Non limitare più l’apporto dell’amministrazione pubblica alla mera messa a disposizione dell’organizzazione strumentale, configurandone invece la partecipazione già nella fase di programmazione nel pieno rispetto dei principi in materia di evidenza pubblica, potrebbe, come visto, determinare sul piano normativo un’equiparazione di titoli ex lege fondamentale per la prosecuzione dell’attività di ricerca dei vincitori dei programmi banditi da enti del Terzo settore.

L’obiettivo della promozione della ricerca scientifica non risulterebbe peraltro l’unico ad essere perseguito. Come già anticipato, lo sviluppo della ricerca scientifica è infatti strumentale all’assolvimento anche di un altro dovere della Repubblica, specificamente previsto dall’art. 32 della Costituzione, ovverosia quello di tutelare la salute, che rileva non solo come diritto individuale dei cittadini uti singuli, bensì anche come interesse generale.

Sotto altro profilo, non si può trascurare che il perseguimento di tali interessi costituzionali sarebbe reso possibile dall’impegno degli enti del Terzo settore di finanziare i progetti di ricerca e di erogare le borse di studio. Pertanto, da una siffatta collaborazione anche sul piano economico l’intero sistema trarrebbe un consistente vantaggio in ragione dei valori che si intendono promuovere e tutelare, senza incorrere nel rischio di ledere un importante principio di rilevanza euro-unitaria, come quello della tutela degli equilibri di bilancio, recepito negli artt. 81, 97 e 119 della nostra Carta costituzionale.

Coerentemente al principio di sussidiarietà orizzontale, infatti, le risorse messe in campo dagli enti del Terzo settore nell’ambito di siffatti rapporti di collaborazione rappresenterebbero un valore aggiunto rispetto agli oneri finanziari che l’amministrazione pubblica già di regola sostiene, con l’obiettivo di implementare lo sviluppo della ricerca scientifica in un settore di fondamentale importanza.


.


TUTTI I DIRITTI RISERVATI. È vietato qualsiasi utilizzo, totale o parziale, del presente documento per scopi commerciali, senza previa autorizzazione scritta di Terzjus.
[1]

Un esempio virtuoso in questo senso è rappresentato dalla Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro che, come noto, si propone quale obiettivo primario di sostenere la ricerca scientifica in campo oncologico, attraverso il finanziamento di progetti di ricerca. I candidati ai programmi banditi dalla Fondazione sono selezionati adottando il metodo internazionale del peer review: i progetti per cui è richiesto il contributo finanziario e le candidature per beneficiare dell’erogazione di borse di studio sono sottoposte al giudizio di almeno tre esperti indipendenti che non hanno conflitto di interesse con il richiedente. Tali revisori sono parte di un gruppo di oltre seicento esperti internazionali e/o sono membri del Comitato tecnico-scientifico di AIRC, selezionati per il loro expertise in campo oncologico.

[2]

Sul punto, si osservi che l’Avvocato Pier Giuseppe Torrani, già Presidente di AIRC dal 2014 al 2021, nel suo discorso tenuto al Palazzo del Quirinale in occasione della cerimonia de “I Giorni della Ricerca” del 29 ottobre 2018 aveva già prospettato margini di collaborazione tra AIRC e l’amministrazione pubblica dato il comune obiettivo costituzionale di promuovere la ricerca scientifica.

[3]

In tal senso si è espresso l’Avvocato Pier Giuseppe Torrani nell’ambito di un’intervista rilasciata a Italia non profit in collaborazione con TerzJus dal titolo Riforma in Movimento: intervista a Pier Giuseppe Torrani, 2021, p. 4, disponibile all’indirizzo https://italianonprofit.it/risorse/opinioni/riforma-in-movimento-intervista-a-pier-giuseppetorrani/

[4]

L. GORI, La “saga” della sussidiarietà orizzontale. La tortuosa vicenda dei rapporti tra Terzo Settore e P.A., in Federalismi, n. 14/2020, p. 186.

[5]

G. ARENA, Sussidiarietà orizzontale ed enti del Terzo Settore, in Impresa Sociale, n. 3/2020, p. 96, osserva che in origine il Terzo settore derivava da un’individuazione di carattere residuale, per cui Terzo Settore era «tutto ciò che non apparteneva né allo Stato, né al mercato».

[6]

Ibidem. Secondo l’Autore nella società si possono distinguere tre grandi poli: il polo degli interessi pubblici, rappresentato dai soggetti di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ovvero le amministrazioni dello Stato, le Regioni e i Comuni; il polo degli interessi privati, rappresentato da tutti i soggetti di carattere privato che perseguono fini egoistici; e infine, il polo dell’interesse generale, rappresentato dagli enti del Terzo settore.

[7]

G. ARENA, Sussidiarietà orizzontale ed enti del Terzo Settore, cit., p. 96, osserva come le disposizioni di cui al Titolo VII del Codice del Terzo Settore costituiscano esempi di entrambi i paradigmi sui quali attualmente si fonda il nostro sistema amministrativo: il paradigma sussidiario all’art. 55 e il paradigma bipolare agli artt. 56 e 57.

[8]

Sul punto L. GORI, Gli effetti giuridici «a lungo raggio» della sentenza n. 131 del 2020 della Corte costituzionale, in Impresa Sociale, n. 3/2020, p. 93, esprimendo un giudizio critico sul parere n. 1405 del 2017 reso dal Consiglio di Stato sullo schema del decreto legislativo recante «Codice del Terzo Settore», osserva, tuttavia, che la limitazione oggettiva di entrambe le disposizioni, è priva di una «solida ratio giustificatrice in termini costituzionali». Per quanto concerne l’art. 56, infatti, l’Autore riscontra difficoltà nel giustificare un’ulteriore «partizione interna» alle attività di interesse generale. Con riguardo al servizio di trasporto sanitario di emergenza e urgenza disciplinato dall’art. 57, ritiene che, alla luce della giurisprudenza euro-unitaria in materia, ci siano i presupposti per legittimare il ricorso a tale procedura per tutti i casi in cui si renda necessaria «la tutela della salute e della vita umana, in condizioni di obiettiva
urgenza, imprevedibilità o in cui sia impossibile, per il soggetto destinatario del servizio, provvedere autonomamente». Un eccessivo e ingiustificato restringimento dell’ambito applicativo dell’art. 57 è ravvisato anche da A. ALBANESE, I servizi sociali nel Codice del Terzo Settore e nel Codice dei contratti pubblici: dal conflitto alla complementarietà, in Munus, Editoriale Scientifica, n. 1/2019, p. 164 e ss. e F. SANCHINI, La nuova disciplina dei rapporti fra pubblica amministrazione e terzo settore, in F. DONATI, F. SANCHINI (a cura di), Il Codice del Terzo settore, Giuffré, Milano, 2019, p. 270 e ss.

[9]

Ibidem. Secondo l’Autore già dal nomen iuris adottato emerge chiaramente l’intento del legislatore di dare inizio ad un «cambiamento radicale» nella logica dei rapporti tra pubblica amministrazione ed enti del Terzo Settore.

[10]

L. GORI, La “saga” della sussidiarietà orizzontale. La tortuosa vicenda dei rapporti fra Terzo settore e P.A., cit., p. 186.

[11]

V. TONDI DELLA MURA, Della sussidiarietà orizzontale (occasionalmente) ritrovata: dalle linee guida dell’Anac al codice del terzo settore, in Rivista AIC, n. 1/2018, p. 7.

[12]

G. ARENA, Sussidiarietà orizzontale ed enti del Terzo Settore, cit., p. 97, precisa che l’accostamento dell’aggettivo «attivo» a «coinvolgimento» non è affatto ridondante, bensì risulta foriero di significato, sulla scorta della considerazione del fatto che non sempre il coinvolgimento nelle attività del soggetto agente si sostanzia in una partecipazione attiva e autodeterminata.

[13]

F. SCALVINI, Una nuova stagione. Il Codice del Terzo settore e le relazioni tra enti del Terzo settore e le pubbliche amministrazioni, in Welfare oggi, n. 2/2018, p. 22.

[14]

Ai sensi dell’art. 55, comma 4, infatti, «ai fini di cui al comma 3» (ovverosia i medesimi della co-progettazione) «l’individuazione degli enti del Terzo settore con cui attivare il partenariato avviene anche mediante forme di accreditamento nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità, partecipazione e parità di trattamento, previa definizione, da parte della pubblica amministrazione procedente, degli obiettivi generali e specifici dell’intervento, della durata e delle caratteristiche essenziali dello stesso nonché dei criteri e delle modalità per l’individuazione degli enti partner».

[15]

Sul punto si vedano E. FREDIANI, I rapporti con la pubblica amministrazione alla luce dell’art. 55 del codice del Terzo settore, in Non profit paper, n. 1/2017, p. 171; F. SCALVINI, Co-programmazione, co-progettazione e accreditamento: profili e questioni applicative, in A. FICI (a cura di), La riforma del Terzo settore e dell’impresa sociale, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018, p. 270; F. SANCHINI, Profili costituzionali del Terzo Settore, Tesi di Dottorato, 2018, p. 228.

[16]

L. GORI, La “saga” della sussidiarietà orizzontale. La tortuosa vicenda dei rapporti fra Terzo settore e P.A., cit., p. 190, osserva come il citato D.P.C.M. costituisca «il fondamento della “costruzione” di un modello di gestione dei servizi sociali improntato ad una logica quasi-reticolare». In senso analogo si esprime anche E. FREDIANI, I rapporti con la pubblica amministrazione alla luce dell’art. 55 del codice del Terzo settore, cit., p. 171.

[17]

Così F. SANCHINI, Profili costituzionali del Terzo Settore, cit., p. 227. Analoghe considerazioni sono ravvisabili in L. GORI, E. ROSSI, La legge delega n. 106 di riforma del Terzo settore, in Osservatorio sulle fonti, n. 2/2016, p. 15, i quali, nel commentare l’art. 4, comma 1, lett. o) della legge delega di riforma del Terzo Settore, esprimevano già giudizi positivi sia sull’allargamento degli ambiti di coinvolgimento degli enti del Terzo Settore oltre la sfera dei servizi socio-assistenziali che a proposito della prospettiva di una nuova dinamica, connotata da una partecipazione attiva degli enti del Terzo Settore in tutte le fasi dell’attività programmatoria, di organizzazione e di verifica dei servizi, evidente segno della volontà di superare la tradizionale concezione che limitava il loro apporto al solo momento dell’erogazione dei servizi socio-assistenziali.

[18]

L. GORI, La “saga” della sussidiarietà orizzontale. La tortuosa vicenda dei rapporti fra Terzo settore e P.A., cit., p. 189.

[19]

Ivi, p. 188.

[20]

In proposito, si precisa che secondo la Commissione «solo il rimborso spese a pie’ di lista che, in particolare, escluda la remunerazione, anche in maniera indiretta, di tutti i fattori produttivi e comprenda unicamente le documentate spese vive, correnti e non di investimento, incontrate dall’ente, consente di affermare la gratuità della prestazione del servizio e, dunque, di postulare la estraneità all’ambito del Codice dei contratti pubblici» (Consiglio di Stato, parere 20 agosto 2018, n. 2052, par. 5).

[21]

G. ARENA, F. SCALVINI et al. Il diritto del Terzo settore preso sul serio. Una riflessione a tutto campo, partendo da una lettura critica del parere del Consiglio di Stato n. 2052 del 20 agosto 2018 sul Codice del Terzo settore, p. 1, 28 gennaio 2019, disponibile al seguente indirizzo: https://www.labsus.org/2019/02/il-diritto-del-terzo-settore-presosul-serio/.

[22]

G. SCOPPETTA, Solidarietà e concorrenza nel diritto interno e nel diritto europeo, in A. FICI, L. GALLO, F. GIGLIONI (a cura di), I rapporti tra pubbliche amministrazione ed enti del terzo settore. Dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 131 del 2020, Editoriale Scientifica, Napoli, p. 190.

[23]

Consiglio di Stato, parere 20 agosto 2018, n. 2052, par. 5.

[24]

G. ARENA, F. SCALVINI e al., Il diritto del Terzo settore preso sul serio, cit., p. 3. In senso analogo si esprime anche G. SCOPPETTA, Solidarietà e concorrenza nel diritto interno e nel diritto europeo, cit., p. 192 e ss.

[25]

A. S. ALBANESE, I servizi sociali nel codice del Terzo settore e nel codice dei contratti pubblici: dal conflitto alla complementarietà, in Munus, n. 1/2019, Editoriale scientifica, Napoli, p. 140 e ss. Nello stesso senso si esprime anche L. GORI, La “saga” della sussidiarietà orizzontale. La tortuosa vicenda dei rapporti fra Terzo settore e P.A., cit., p. 202.

[26]

C. BORZAGA, L’art. 55: come liberare il Terzo settore e i servizi sociali dalla schiavitù della concorrenza, in Wellforum, 2019. Sul punto si veda anche L. GORI, La “saga” della sussidiarietà orizzontale. La tortuosa vicenda dei rapporti fra Terzo settore e P.A., cit., p. 202, il quale paventa nella prospettiva del parere n. 2052 del 2018 del Consiglio di Stato il rischio di una “svalutazione” complessiva della riforma del Terzo settore.

[27]

L. GORI, Gli effetti giuridici «a lungo raggio» della sentenza n. 131 del 2020 della Corte costituzionale, in Impresa Sociale, n. 3/2020, p. 90; ID., Sentenza 131/2020: sta nascendo un diritto costituzionale del Terzo settore, in Impresa Sociale, 2020, p. 2.

[28]

A tal riguardo, L. GORI, Gli effetti giuridici «a lungo raggio» della sentenza n. 131 del 2020 della Corte costituzionale, cit., p. 89, la definisce «una sentenza bilancio».

[29]

Il caso origina dalla questione di legittimità costituzionale, promossa con ricorso in via principale dal Presidente del Consiglio dei Ministri, sull’art. 5, comma 1, lett. b), della legge della Regione Umbria 11 aprile 2019, n. 2 (Disciplina delle cooperative di comunità) in riferimento all’art. 117, comma 2, lett. l), della Costituzione. Secondo il ricorrente, tale norma regionale, nel prevedere il coinvolgimento attivo anche delle cooperative di comunità nelle attività di programmazione, progettazione e accreditamento ex art. 55 del Codice del Terzo settore, si sarebbe posta in contrasto con la citata norma statale, che invece limiterebbe detto coinvolgimento ai soli enti del Terzo settore elencati all’art. 4 del Codice. A giudizio della Presidenza del Consiglio, dunque, l’impugnata norma regionale avrebbe inteso ampliare il novero dei soggetti del Terzo settore, individuati e disciplinati dalla legge statale, invadendo così la materia dell’ordinamento civile, riservata alla competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. l), della Costituzione. La Corte costituzionale, tuttavia, con sentenza interpretativa di rigetto ha ritenuto infondata la questione, non ravvisando alcuna alterazione dell’impianto dell’art. 55 del Codice del Terzo settore nella norma regionale impugnata. Secondo la Corte, infatti, quest’ultima non prevede un’omologazione agli enti del Terzo settore di ogni forma di cooperativa sociale, dovendosi essa applicare esclusivamente a quelle cooperative di comunità che siano qualificate come imprese sociali e quindi come enti del Terzo settore e non anche a quelle che non ne rispettino i requisiti
costitutivi.

[30]

L. GORI, Sentenza 131/2020: sta nascendo un diritto costituzionale del Terzo settore, in Impresa Sociale, 2020, p. 2. Sul punto si veda anche F. PIZZOLATO, Il volontariato davanti alla Corte costituzionale, in Dirittifondamentali.it, n. 3/2020, p. 3

[31]

Corte costituzionale 26 giugno 2020, n. 131, Considerato in diritto, par. 2.1. In proposito, G. SCOPPETTA, Il terzo settore nella sent. Corte cost., 26 giugno 2020, n. 131, in TerzJus, 2020, p. 6, indica il principio di sussidiarietà quale «stella polare», cui far costante riferimento nell’implementazione e nell’interpretazione della normativa riguardante tale ambito.

[32]

E. CASTORINA, Le formazioni sociali del Terzo settore: la dimensione partecipativa della sussidiarietà, in Rivista AIC, n. 3/2020, p. 2.

[33]

Così L. GORI, Sentenza 131/2020: sta nascendo un diritto costituzionale del Terzo settore, cit., p. 2.

[34]

Corte costituzionale 26 giugno 2020, n. 131, Considerato in diritto, par. 2.1. In tale passaggio, la Corte richiama espressamente la precedente decisione del 17 dicembre 2013, n. 309 in tema di servizi di volontariato, in cui aveva già avuto modo di sottolineare la rilevanza che assume il principio di solidarietà sociale nel nostro ordinamento giuridico.
In proposito, E. ROSSI, Il fondamento del Terzo settore è nella Costituzione. Prime osservazioni sulla sentenza n. 131 del 2020 della Corte costituzionale, in Forum di Quaderni Costituzionali, n. 3/2020, p. 57, osserva come si venga a delineare «lo statuto costituzionale del terzo settore», risultante dall’intreccio tra principio personalistico, solidaristico e pluralistico.

[35]

Corte costituzionale 26 giugno 2020, n. 131, Considerato in diritto, par. 2.1

[36]

Corte costituzionale 26 giugno 2020, n. 131, Considerato in diritto, par. 2.1

[37]

G. ARENA, L’amministrazione condivisa ed i suoi sviluppi nel rapporto con cittadini ed enti del Terzo settore, in Giurisprudenza Costituzionale, n. 3/2020, p. 1455.

[38]

In tal senso si esprime E. ROSSI, Il fondamento del Terzo settore è nella Costituzione. Prime osservazioni sulla sentenza n. 131 del 2020 della Corte costituzionale, in Forum di Quaderni Costituzionali, n. 3/2020, p. 55.

[39]

L. GORI, Il Codice dei contratti riconosce il rapporto tra PA e Terzo settore, 16 settembre 2020, disponibile al seguente indirizzo: https://www.cantiereterzosettore.it/il-codice-dei-contratti-riconosce-il-rapporto-tra-pa-e-terzosettore/. Sul punto si veda anche M. GALDI, Riflessioni in tema di terzo settore e interesse generale. Osservazioni a C. cost. 26 giugno 2020, n. 131, in Federalismi, n. 32/2020, p. 119.

[40]

In proposito, al par. 1.1. delle Linee Guida è sottolineato come l’esercizio di tale potere discrezionale sia conseguenza di una vera e propria «opzione politica».

[41]

Corte costituzionale 26 giugno 2020, n. 131, Considerato in diritto, par. 2.1.

[42]

Ibidem.

[43]

G. ARENA, Sussidiarietà orizzontale ed enti del Terzo Settore, cit., p. 99.

[44]

Per quanto concerne i programmi di ricerca finanziati dal MIUR, si fa riferimento al programma “Rita Levi Montalcini per Giovani Ricercatori”, i cui vincitori, ai fini dell’espletamento del programma, sono inquadrati per chiamata diretta in qualità di ricercatori a tempo determinato di cui all’art. 24, comma 3, lett. b), della legge 30 dicembre 2010, n. 240 e al programma “SIR-Scientific Independence of Young Researchers”, i cui vincitori sono inquadrati per chiamata diretta in qualità di ricercatori a tempo determinato di cui all’art. 24, comma 3, lett. a), della medesima legge 30 dicembre 2010, n. 240. Finanziati dallo European Research Council, invece, sono: i programmi “ERC Starting Grants”, i cui vincitori possono essere inquadrati in qualità di ricercatori a tempo determinato di tipo b); i programmi “ERC Consolidator Grants”, i cui vincitori possono essere destinatari di chiamata diretta per la copertura del ruolo di ricercatore a tempo determinato di tipo b) oppure di professore di ruolo di II fascia, previa richiesta di nulla osta al Ministro che illustri analiticamente la congruenza del profilo scientifico dello studioso con i requisiti per l’attribuzione dell’abilitazione scientifica nazionale per la fascia e il settore concorsuale ovvero scientifico-disciplinare pertinenti, con adeguata motivazione delle eventuali discrepanze; e, infine, i programmi “ERC Advanced Grants”, i cui vincitori possono essere inquadrati in qualità di professore di ruolo di I o II fascia, sempre previa richiesta di nulla osta al Ministro. Nel decreto sono inoltre menzionati i programmi quadro dell’Unione europea di durata triennale “International Outogoing Fellowships” e “Individual Fellowships” delle Marie Sklodowska Curie Actions, i cui vincitori possono essere destinatari di chiamata diretta nella qualità di ricercatore a tempo determinato di categoria b).

[45]

Sebbene l’art. 55 del Codice del Terzo settore non lo preveda espressamente, le citate Linee Guida adottate con decreto del Ministero del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 31 marzo 2021, n. 72 hanno chiarito che, in applicazione dei principi sul procedimento amministrativo, l’iniziativa può essere assunta anche da uno o più enti del Terzo settore, richiedenti all’ente pubblico competente l’attivazione del procedimento di co-programmazione attraverso la pubblicazione del relativo avviso.

Torna in alto

Ricevi aggiornamenti,
news e approfondimenti sulle attività di Terzjus