Rivedere le tasse di successione per ridurre le disuguaglianze. Così il New York Times intitolava recentemente un editoriale di Henry Aaron. Segnalando un dibattito che sta prendendo sempre più piede sul tema del trasferimento di ricchezza tra le generazioni. Alle condizioni attuali, ha scritto Aaron, le norme sulle successioni finiscono per ostacolare la mobilità economica e sociale. Con l’effetto di creare dinastie di censo che minano il principio di uguaglianza e contribuiscono ad alimentare quel risentimento profondo i cui effetti non mancano di manifestarsi nella vita politica.
Non è stato sempre così. Ancora nel 1976, sempre negli Stati Uniti, l’imposta di successione arrivava, per gli immobili, fino al 70 per cento del loro valore. Poi, di esenzione in esenzione, nei decenni successivi non solo quella percentuale si è ridotta sempre di più ma è crollata anche la base di contribuenti cui si applicava. Oggi negli USA sono chiamati a pagarla soltanto lo 0,07 per cento degli eredi. Per gli altri, tra innalzamento delle franchigie e ampliamento della casistica che permette di sottrarsene legalmente, l’imposta sui lasciti è diventata quasi del tutto volontaria.
Non troppo diverso il caso dell’Italia. Il nostro paese ha una delle imposizioni su lasciti e donazioni più basse al mondo. Dal 2000 in avanti è stata prima ridotta, poi abolita del tutto (2001), e infine reintrodotta (2006) con un’aliquota minima del 4 e massima dell’8 per cento, nonché una soglia di esenzione di 1 milione di euro. A fronte di un’aliquota media OCSE che oggi è del 15 per cento. In Francia o Regno Unito la percentuale massima d’imposizione oscilla attorno al 45-50 per cento, mentre in Belgio per i parenti di sesto grado arriva addirittura all’80 per cento. E comunque in tutti questi paesi le soglie di esenzione sono significativamente più basse (in Francia ogni figlio può contare su un’esenzione fino ad un massimo di 100 mila euro).
Per questo, nel nostro paese l’incidenza delle successioni sul gettito fiscale è meno di 800 milioni all’anno a fronte di un impressionante cifra di 250 miliardi di patrimonio trasferito ogni anno in eredità (dato preconsuntivo 2017). Nonostante l’aumento della ricchezza, dagli anni Novanta le imposte di successione e donazione sono diminuite allo 0,3 allo 0,1 del gettito complessivo. Vale a dire che oggi, per avere un termine di raffronto, le imposte di successione in Italia pesano solo un terzo circa del canone di abbonamento alla RAI. Malgrado l’Italia sia tra i paesi in cui le famiglie detengono uno dei più alti volumi di ricchezza privata in proporzione alla popolazione: un totale di circa 10.500 miliardi di euro tra beni mobili e immobili. Una cifra che, a dispetto dell’andamento dell’economia italiana, negli ultimi dieci anni è venuta aumentando costantemente.
Mentre infatti il reddito reale pro-capite dal 2007 è diminuito dell’8 per cento, la ricchezza finanziaria degli italiani si è mantenuta ad uno dei livelli più alti del confronto internazionale (siamo un paese in cui il patrimonio, poggiato per più della metà sul mattone, supera di oltre otto volte il reddito medio disponibile. Il rapporto più alto tra tutti i paesi OCSE). Tale accumulo di ricchezza privata, che è l’altra faccia del debito pubblico monstre, è quanto ha permesso agli italiani di far fronte alla stasi economica e al declino della produzione. Ma con la ricchezza privata non si può pensare di compensare a lungo il declino economico di un paese. È solo un modo per ritardarne gli effetti.
Anche perché esiste naturalmente un problema di distribuzione. Dal 1995 al 2014 la quota di ricchezza netta personale dell’uno per cento della popolazione più abbiente è passata dal 16 al 25 per cento. Oggi il 10 per cento più ricco in Italia possiede il 53 per cento di questa ricchezza. Un altro 30 per cento è nelle mani di un ulteriore 20 per cento della popolazione. Mentre quasi la metà degli italiani partecipa in misura minima alla sua distribuzione. Quindi chi può permettersi di vivere bene grazie alla rendita non rappresenta la maggioranza del paese. Considerando che le famiglie italiane sono circa 25 milioni, appare evidente lo squilibrio con cui la ricchezza è ripartita. Nei fatti, solo il 2,6% delle famiglie italiane può definirsi concretamente benestante (dai dati della Banca d’Italia), sono 648.499 le famiglie italiane che detengono una ricchezza finanziaria investibile superiore a 500.000 euro).
Non solo. Un’ulteriore disuguaglianza è quella che divide le generazioni. Malgrado le compensazioni all’interno delle famiglie – che se da un lato aiutano i giovani dall’altro creano dipendenza e ne rallentano l’emancipazione – il divario si sta allargando sempre di più. L’Italia è il paese europeo con più over 65: sono 13,7 milioni e in trent’anni supereranno i 20 milioni. Ed è la fascia di età la cui ricchezza è cresciuta di più negli ultimi decenni. La terza e la quarta età hanno visto aumentare le proprie disponibilità finanziarie del 77 per cento negli ultimi 25 anni. Contemporaneamente, quelle dei trentenni sono diminuite del 34 per cento. Ipotecando pesantemente il futuro del nostro paese.
Per questo, in un tempo di disuguaglianze crescenti, torna di attualità il tema di una tassazione più equa sulle successioni. Lo suggerisce anche lo studio del Fondo monetario internazionale di cui pubblichiamo un estratto in questo numero di Civic. Occorre rivedere il sistema delle imposte sulle successioni e sulle donazioni con l’obiettivo di intervenire sul fronte della redistribuzione della ricchezza tramite interventi fiscali che risparmino le attività di impresa o il lavoro, già abbastanza colpiti. Servono interventi in grado di correggere la tendenza a concentrare sempre di più i patrimoni e di riequilibrare il rapporto tra reddito e rendita, che oggi pende pericolosamente dal lato della seconda. È una questione di giustizia e di coesione sociale. Gli effetti della “lotteria” con cui si trasmettono le rendite vanno mitigati o sarà sempre più complicato tenere insieme il paese.
Ovviamente quando si parla di tasse sulla ricchezza il dibattito assume inevitabilmente una piega ideologica. Non è un caso se negli ultimi anni la riduzione delle imposte è stato un cavallo di battaglia che ha condizionato con forza il dibattito pubblico, rendendo qualsiasi proposta di aumento un tabù capace di azzoppare qualsiasi carriera politica. Per questo è opportuno riferirsi ai dati esposti sopra, raffreddando gli animi e ragionando sulle cifre. Per quanto sin qui detto, una maggiore progressività nella tassazione dei lasciti comporterebbe più vantaggi che svantaggi. Senza toccare i diritti degli eredi diretti. Infatti – come proponiamo – in Italia si potrebbe intervenire sui gradi di parentela più distanti rispetto all’asse principale, lasciando invariate le aliquote per i parenti diretti e aumentando solo quelle dal quarto al sesto grado.
L’Italia è un paese che invecchia. La demografia traccia un futuro in cui, per la crisi della natalità, un quinto della popolazione non avrà eredi diretti. Il positivo di questa situazione negativa è che avremo una straordinaria opportunità per redistribuire una parte consistente dei patrimoni accumulati. Aumentando le imposte per chi non ha eredi diretti ma anche prevedendo agevolazioni significative per chi deciderà di dedicare la propria ricchezza a progetti di utilità pubblica. La proposta che qui presentiamo non sarebbe completa se si limitasse solo ad alzare le aliquote. Il suo senso compiuto non è quello di inasprire il fisco per una volontà punitiva verso chi è più abbiente, ma consiste piuttosto nel reindirizzare parte delle ingenti risorse private verso azioni dedicate al benessere collettivo e a scopi sociali. Come in Belgio, ad esempio, dove i lasciti alle organizzazioni non profit (ma si potrebbero includere università e scuole, ospedali e musei) sono tassati con l’aliquota più bassa.
È tempo di affrontare la questione. Non solo per allinearci alla media degli altri paesi, che in tema di lasciti e donazioni hanno una fiscalità più equa, ma anche per portare più risorse a quella parte della società che ne ha di meno. Ponendo dei limiti ai meccanismi della rendita e tornando invece ad assumere l’uguaglianza delle opportunità come un valore irrinunciabile.
PROPOSTA DI LEGGE
ART. 1.
1. I commi 48 e 49 dell’articolo 2 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, sono sostituiti dai seguenti:
«48. I trasferimenti di beni e diritti per causa di morte sono soggetti all’imposta di cui al comma 47 con le seguenti aliquote sul valore complessivo netto dei beni:
- devoluti a favore del coniuge, del convivente, che abbia stipulato un contratto di convivenza ai sensi dell’art. 1, comma 50, della legge 20 maggio 2016, n. 76, e dei parenti in linea retta sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, 1.000.000 di euro: 4 per cento;
a-bis) devoluti a favore dei fratelli e delle sorelle sul valore complessivo netto eccedente, pe ciascun beneficiario, 100.000 euro: 6 per cento;
b) devoluti a favore degli altri parenti fino al quarto grado e degli affini in linea retta, nonché degli affini in linea collaterale fino al terzo grado: 6 per cento;
c) devoluti a favore di altri soggetti:
1) beni di valore complessivo netto fino a 150.000 euro, aliquota del 20%;
2) beni di valore complessivo netto da 150.001 euro a 300.000 euro, aliquota del 30%;
3) beni di valore complessivo netto oltre 300.000 euro, aliquota del 40%;
49. Per le donazioni e gli atti di trasferimento a titolo gratuito di beni e diritti e per la costituzione di vincoli di destinazione di beni l’imposta è determinata dall’applicazione delle seguenti aliquote al valore globale dei beni e diritti al netto degli oneri da cui è gravato il beneficiario diversi da quelli indicati dall’articolo 58, comma 1, del testo unico di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, ovvero, se la donazione è fatta congiuntamente a favore di più soggetti o se in uno stesso atto sono compresi più atti di disposizione a favore di soggetti diversi, al valore delle quote dei beni o diritti attribuiti:
- a favore del coniuge, del convivente, che abbia stipulato un contratto di convivenza ai sensi dell’art. 1, comma 50, della legge 20 maggio 2016, n. 76, e dei parenti in linea retta sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, 1.000.000 di euro: 4 per cento;
a-bis) a favore dei fratelli e delle sorelle sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, 100.000 euro: 6 per cento;
b) a favore degli altri parenti fino al quarto grado e degli affini in linea retta, nonché degli affini in linea collaterale fino al terzo grado: 6 per cento;
c) a favore di altri soggetti:
1) beni di valore complessivo netto fino a 150.000 euro, aliquota del 20%;
2) beni di valore complessivo netto da 150.001 euro a 300.000 euro, aliquota del 30%;
3) beni di valore complessivo netto oltre 300.000 euro, aliquota del 40%;».
2. All’articolo 2 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, dopo il comma 49-bis è inserito il seguente comma:
49-ter. Nelle ipotesi previste dal precedente comma 48, lettera c) nonché in quelle previste dal precedente comma 49, lettera c), il dante causa individua nell’atto di successione, di donazione o di costituzione del vincolo di destinazione l’ente del Terzo settore di cui all’art. 5 del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, ovvero l’ente pubblico, la fondazione o l’associazione legalmente riconosciuta avente come scopo esclusivo l’assistenza, lo studio, la ricerca scientifica, l’educazione, l’istruzione o altre finalità di pubblica utilità, l’ organizzazione non lucrativa di utilità sociale (ONLUS) o la fondazione di cui al decreto legislativo emanato in attuazione della legge 23 dicembre 1998, n. 461, al quale devolvere la percentuale dell’imposta versata eccedente l’8%. In mancanza di espressa previsione, l’importo sarà devoluto al Fondo filantropico istituito presso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali.
Relazione illustrativa
La proposta emendativa è volta a riformulare l’attuale sistema di imposizione dei trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, nonché delle donazioni e altri atti di trasferimento a titolo gratuito (art. 2, commi 48 e 49 del D.L. n. 262 del 2006), al fine di uniformarne la disciplina a quella in vigore negli altri Paesi europei. In particolare, mentre la legislazione italiana risulta uniforme a quella degli altri Stati membri con riguardo alle esenzioni previste per i trasferimenti a fini di pubblica utilità (la cui disciplina resta, pertanto, inalterata) si riscontra un disallineamento per il sistema impositivo relativo agli altri trasferimenti a causa di morte e a titolo gratuito.
In particolare, il primo comma interviene a modificare l’art. 2, comma 48 del D.L. n. 262/2006:
- inserendo tra i soggetti di cui alla lettera a) il convivente, che abbia stipulato un contratto di convivenza ai sensi dell’art. 1, comma 50, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (le disposizioni si applicano anche nei confronti di coloro che abbiano contratto unione civile ai sensi della legge 20 maggio 2016, n. 76, in quanto equiparati ai coniugi ai sensi dell’art. 1, comma 20 della legge medesima);
- introducendo nei confronti dei soggetti diversi da quelli aventi rapporti di parentela (lettera c) l’applicazione di tre distinte aliquote, in misura variabile a seconda del valore complessivo netto dei beni.
Analoghe modifiche sono recate con riferimento alle donazioni, agli atti di trasferimento a titolo gratuito di beni e diritti, nonché alla costituzione di vincoli di destinazione.
Rimangono inalterate, invece, sia le ipotesi di esenzione previste per i trasferimenti a favore degli enti del Terzo settore e degli altri enti che perseguano fini di pubblica utilità (art. 3, comma 1, D.Lgs. n. 346/1990 e art. 82, comma 2, D.Lgs. n. 117/2017), sia la franchigia di 1,5 milioni di euro per i trasferimenti a favore delle persone con disabilità (art. 2, comma 49-bis, D.L. n. 262/2006).
Al fine di sostenere gli enti che svolgano attività considerate meritevoli (in particolare: le attività considerate di interesse generale ai sensi del D.Lgs. n. 117/2017, nonché quelle menzionate dall’art. 3 del D.Lgs. n. 346/1990 in tema di esenzioni sull’imposta sulle successioni e donazioni), il secondo comma introduce un’apposita disposizione, volta a prevedere che il differenziale tra le aliquote più elevate introdotte con la modifica normativa (20%, 30% e 40%) e l’aliquota previgente (8%) sia destinato – mediante apposita indicazione del de cuius o del donante – ad enti del Terzo settore oppure ad enti indicati tra quelli di cui all’art. 3, comma 1 del D.Lgs. 346/1990. In mancanza di espressa indicazione, il comma in questione prevede la devoluzione del suddetto differenziale al Fondo filantropico istituito presso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali.