Fiscalità degli enti del terzo settore (ETS) in attesa del vaglio Ue. Quali le richieste dell’Italia e come cambierà lo scenario fiscale degli enti dopo l’autorizzazione della Commissione europea che darà il via libera ad importanti misure introdotte dalla riforma del terzo settore. L’elenco delle norme tributarie al momento “sospese” è piuttosto ampio e si va dalle disposizioni che prevedono un trattamento fiscale agevolato per le imprese sociali ai regimi forfettari previsti per le entrate commerciali degli ETS, fino alla finanza sociale e all’allineamento IVA per alcune attività di interesse generale (attività socio sanitaria e formazione professionale, case di riposo). L’Europa ha già dimostrato proprio su questo tema di voler incentivare l’azione dei singoli Paesi finalizzata ad introdurre regimi giuridici e tributari uniformi per gli enti dell’economia sociale attribuendo alla stessa un ruolo fondamentale nella crescita economica sostenibile e nel rafforzamento dei sistemi di protezione della persona (in questo senso, da ultimo, l’action plan della Commissione UE del dicembre 2021).
Uno degli ostacoli da sempre indicati dalla Commissione europea per il pieno sviluppo dell’economia sociale è, proprio, la mancanza di un quadro normativo chiaro e organico. In questo schema si inserisce la richiesta dell’Italia al fine di valutare la coerenza delle misure fiscali agevolative della riforma del terzo settore con le regole che disciplinano gli aiuti di Stato.
Non è sufficiente, infatti, svolgere attività in senso ampio ispirate al principio di sussidiarietà e all’interesse generale per poter scontare un regime fiscale di vantaggio. È necessario che le stesse non si pongano in contrasto con i principi posti a tutela della libera concorrenza e del mercato. Gli elementi costitutivi della nozione di aiuto di Stato, in sintesi, sono identificabili in: (i) sussistenza di un’impresa; (ii) origine statale dell’aiuto, nei termini sia di imputabilità della misura allo Stato sia di suo finanziamento tramite risorse statali; (iii) conferimento di un vantaggio; (iv) selettività della misura; (v) incidenza dell’aiuto sulla concorrenza e sugli scambi tra Stati membri.
In questo senso va letta la disposizione contenuta all’art. 79 del Codice del terzo settore (CTS) che definisce in termini “quantitativi” quando una attività di interesse generale può definirsi commerciale (e dunque soggetta a tassazione) o non commerciale. Rientrano in quest’ultimo ambito, ad esempio, le attività istituzionali che realizzano un margine di utile contenuto nella misura del 6% per non più di tre periodi d’imposta consecutivi. Una disposizione che, tuttavia, potrebbe assumere carattere “dinamico” dopo il vaglio Ue dal momento che alcune attività potrebbero essere considerate non commerciali a prescindere. Questo possibile scenario dipenderà da alcune variabili, come la tipologia di ente o la modalità di svolgimento dell’attività di interesse generale. Tre i possibili schemi su cui la Commissione europea è chiamata a pronunciarsi. Il primo riguarda le attività non economiche di carattere puramente sociale che non impattano sulla concorrenza. È l’ipotesi in cui manca un vero e proprio mercato di riferimento (es. attività di beneficienza, promozione della cultura e della legalità) o quando i contributi pubblici non hanno natura di remunerazione del servizio (es. servizi socio-sanitari, istruzione e formazione). Il secondo scenario riguarda invece le attività economiche che non si considerano aiuti di stato in quanto rispettano i requisiti europei dei SIEG (servizi d’interesse economico generale). È il caso in cui il corrispettivo percepito dall’ETS a fronte degli obblighi di pubblico servizio prevede, secondo il diritto UE, un “margine di utile ragionevole”. Quello stesso margine, dunque, già predeterminato all’art. 79 del CTS. Terza categoria, infine, quella rappresentata dalle attività economiche non SIEG, come nel caso delle imprese sociali le cui misure fiscali di vantaggio potranno considerarsi aiuti di Stato legittimi tenendo conto delle differenze rispetto agli altri operatori: vincolo di prevalenza per le attività istituzionali elencate dal legislatore, limiti allo svolgimento di attività strumentali, alla distribuzione utili e alla remunerazione dei lavoratori, obblighi in materia di trasparenza e di vigilanza. Un quadro, dunque, che se confermato potrà aprire nuove opportunità per gli ETS e per lo sviluppo dell’economia sociale a favore della collettività.
[pubblicato su Il Sole 24 Ore del 16 febbraio 2023]