Mediante il d.m. 31 luglio 2025, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha adottato, in attuazione dell’art. 19, comma 2, CTS, il decreto ministeriale rubricato “Definizione dei criteri per il riconoscimento in ambito scolastico e lavorativo delle competenze acquisite nello svolgimento di attività o percorsi di volontariato”.
Si tratta di un intervento disciplinare teso ad accrescere il peso sistematico e l’attrattività del fenomeno del volontariato: mentre, da un lato, occorre essere prudenti dinanzi al rischio di rarefazione dell’autonomia privata solidale in gabbie regolatorie (v. N. Lipari, Il terzo settore fra gratuità e cittadinanza, Bari, Cacucci, 2024), dall’altro, apprezzabile è l’esordio dell’art. 1 con cui si intende promuovere il volontariato, specie tra i giovani, «quale esperienza che contribuisce alla formazione e alla crescita umana, civile e culturale della persona».
Il decreto dà risalto alla logica dell’attività di volontariato che, come previsto dall’art. 17, comma 2, CTS, è posta in essere da «una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà». Il volontariato, come si legge all’art. 3, comma 1, del decreto in rassegna «costituisce un contesto di apprendimento non formale di competenze sociali, civiche e trasversali da valorizzare anche nel campo formativo e lavorativo».
Resta, tuttavia, insuperabile l’evitare sovrapposizioni di funzioni, annacquamenti teorici e intorbidamenti concettuali: il volontariato non è attività lavorativa, fuoriesce dal paradigma della corrispettività lavoristica e non legittima (né rivendica) tutele e previsioni assistenziali e premiali connesse allo svolgimento di un impiego. È attività assolutamente gratuita e insuscettibile di retribuzione: quindi, non può giustificare compensazioni o misure attributive di arricchimenti (sul tema delle incentivazioni compatibili con l’essenziale gratuità del volontariato, v. però l’Intervento di Antonio Fici – Poeti sociali, Verona, 4 ottobre 2025, e la ricerca sul tema dei nudge applicati al volontariato, in corso di svolgimento da parte di Fondazione Cattolica e Fondazione Terzjus).
Condivisibile è la previsione di cui all’art. 3, comma 2, ai sensi della quale, «ai fini del presente decreto, per volontari si intendono le persone di cui all’art. 17 del decreto legislativo n. 117 del 2017, che svolgono la loro attività in modo non occasionale per il tramite degli enti del Terzo settore, nonché i soggetti coinvolti in percorsi di volontariato assimilati, ai sensi della normativa vigente, ai progetti utili alla collettività». Si consolida la dimensione continuativa tipica di ogni attività, così mettendo al riparo il volontariato da atti cortesi o gratuiti contingenti ed eccezionali, i cui effetti sono destinati ad esaurirsi in una unica ed isolata prestazione.
I servizi d’individuazione delle competenze sono erogati dagli enti del Terzo settore ai sensi dell’art. 8, comma 3, lett. d), d.m. del 9 luglio 2024. Ancora, ai sensi dell’art. 3, comma 5, del decreto in esame, i servizi «prendono in considerazione le competenze esercitate dal volontario nello svolgimento di attività di volontariato, per un minimo di sessanta ore nell’arco di dodici mesi». I servizi in questione sono volti «al riconoscimento delle competenze esercitate dalla persona, attraverso una ricostruzione e valutazione dell’apprendimento non formale». L’art. 4 del decreto in rassegna insiste, poi, sulla trasparenza dell’attività di volontariato, sulla identificazione e comparabilità delle competenze e sulla possibile previsione di accordi di collaborazione con i «Centri duale nazionale per lo sviluppo delle competenze professionali» di cui all’art. 5, comma 2, lett. c), d.m. 9 luglio 2024, per il relativo supporto operativo.
L’art. 5 del decreto in esame interviene puntualmente sul processo di individuazione delle competenze mentre l’art. 6 insiste sulla portabilità delle competenze esercitate nel volontariato in ambito scolastico e lavorativo: il comma 2 dell’art. 6 ammette la possibilità che le competenze individuate costituiscano «attestazioni utili nell’ambito dei pubblici concorsi per l’impiego nelle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nei limiti previsti dalla normativa vigente». In coerenza con quanto già disposto dall’art. 18, commi 4 e 5, d.lgs. n. 112/2017, circa la valutazione e l’impatto dell’effettuazione del servizio civile universale con riguardo alle procedure assunzionali da parte delle pubbliche amministrazioni, si alimenta il valore sociale del volontariato con una previsione ulteriormente premiale che dovrà, purtuttavia, essere interpretata conformemente all’art. 97, comma 4, Cost., senza favorire trattamenti discriminatori o pratiche elusive del dettato costituzionale e del principio dell’accesso mediante concorso ai ruoli pubblici.