[di Giulio Sensi, «Corriere della Sera», Martedi 31 Ottobre 2023, pag. 32]
Nei prossimi mesi la Commissione europea dovrebbe dare l’atteso pronunciamento sull’impianto fiscale della Riforma che dal 2017 ha rivoluzionato la vita di più di 350mila enti che in Italia danno lavoro ad oltre 850mila persone. E la partita più rilevante nel quadro dell’attuazione della nuova normativa per dare certezze alle tante realtà non profit investite dalle novità come associazioni, organizzazioni di volontariato, fondazioni e imprese sociali.
Il confronto fra il governo italiano e la Commissione europea sta proseguendo e fondazione Terzius ha diffuso un rapporto che fa il punto sullo stato di avanzamento.
I compiti dell’Ue
«Il completamento della riforma – spiega Luigi Bobba, presidente di Terzjus ed ex sottosegretario al Ministero del lavoro che durante il governo Renzi avviò il processo – ha due direzioni: la prima riguarda proprio la regolazione. L’Ue deve esaminare le norme enucleate per giustificare un trattamento più favorevole a quelle attività che hanno carattere economico, ma non una finalità di profitto. In secondo luogo ha il compito di verificare che la soggettività degli Enti di terzo settore definita dal Codice sia talmente distintiva da giustificare una norma di maggior favore e quindi non fare concorrenza ad altri attori che stanno sul mercato. Stiamo parlando di un fisco amico che non vuole distribuire privilegi, ma giustificare un trattamento meritevole».
La partita normativa non si gioca solo sul piano europeo
«Il ministero – spiega Bobba – sta mettendo insieme un pacchetto di proposte volte a fare manutenzione e correzione delle norme, con l’obiettivo di semplificare le procedure e alleggerire i carichi burocratici, specialmente per gli enti più piccoli che ne sono appesantiti». «Ci auguriamo – aggiunge – che tutto questo possa confluire in un prossimo decreto semplificazioni che aiuterebbe il Terzo settore a sviluppare un sentimento di minore fastidio nei confronti della normativa». Una certezza sulle norme fiscali permetterebbe al governo anche di attivare una serie di strumenti, contenuti nella Riforma approvata, per promuovere e sostenere il ruolo del Terzo settore nell’economia e nella società.
«Avere un fisco più amico – spiega Bobba – favorirebbe l’utilizzo di risorse ancora bloccate. Abbiamo stimato in più di 321 milioni di euro i fondi che con la Riforma erano disponibili, ma che senza la piena attuazione non sono stati distribuiti: 126,8 milioni è il valore dei nuovi regimi fiscali, 153,2 quello del social bonus (un credito d’imposta pari al 65 per cento delle erogazioni liberali in denaro effettuate da persone fisiche e del 50 per cento se effettuate da enti o società in favore degli Enti del terzo settore, ndr), 26,3 a vantaggio delle imprese sociali e 15,1 in titoli di solidarietà». Tutte, tranne il social bonus che è partito nello scorso settembre, forme di finanziamento strutturali legate all’autorizzazione europea.
E a confermare le potenzialità di espansione del Terzo settore e la necessità di completare il processo di riforma ci sono altri due dati che il rapporto di Terzjus ha diffuso: il primo è il numero di oltre 116mila (per la precisione 116.354 fino al 15 ottobre scorso) Enti del terzo settore che fanno ormai parte del nuovo registro nazionale con le nuove iscrizioni ad un ritmo di circa mille al mese. Il secondo è il tasso di costituzione di nuove imprese sociali che nell’ultimo quinquennio ha sfiorato il 5 per cento annuo a fronte di una piccola decrescita (- 0,1 per cento) di tutte quelle non sociali. «Si conferma – spiega il vice segretario generale di Unioncamere, Claudio Gagliardi – una tendenza già registrata dal 2017 con circa 4.300 nuove unità nate. Oltre alla crescita, le imprese sociali mostrano anche una grande vitalità: si occupano di molteplici ambiti, non solo di quello socio-sanitario e assistenziale, ma anche di sport, cultura, accoglienza e promozione turistica. Hanno pluralità di forme, non solo cooperative sociali, ma anche società di capitali, società di persone, associazioni, fondazioni. Fra i loro amministratori – aggiunge Gagliardi – ci sono più giovani e una sostanziale parità di genere. Se nella generalità delle imprese iscritte ai registri camerali la presenza di donne nei cda è in Italia del 25,9 per cento, in quelle sociali si arriva praticamente alla metà (49,2 per cento)».
Rimane alto il tasso di crescita nel Meridione dove opera il 52 per cento delle imprese sociali e dove sono nate dopo la Riforma del 2017 il 47,8 per cento di esse. «Un dato – commenta Gagliardi – che può spiegarsi con i forti bisogni sociali che al sud necessitano di risposte diverse, in particolare nell’educazione e nella cultura. Stiamo parlando in tutta Italia di mezzo milione di addetti e di un mondo che offre opportunità sempre più importanti anche nelle regioni dove sono più alti i tassi di disoccupazione».