Dobbiamo intercettare il volontariato fluido

[di Luigi Bobba, pubblicato in «Avvenire» di mercoledì 12 febbraio 2025, pag. 79]

Nel discorso di fine anno, il Presidente Mattarella ha evocato, a proposito di “chi si impegna nel volontariato”, la categoria del “patriottismo” e la Corte costituzionale, nella sentenza 131/2020, ha identificato gli Enti del terzo settore (ETS) come “i soggetti della società solidale”. Due autorevoli espressioni per cui merita provare a delineare l’orizzonte verso cui volgersi perché tali affermazioni trovino un riscontro nella vita quotidiana delle comunità del nostro Paese. Alcuni tratti di questo orizzonte si possono rintracciare nel 4° Rapporto sullo stato e l’evoluzione del diritto del Terzo settore in Italia – “A due passi dalla meta. Verso il completamento della riforma” – a cura della Fondazione Terzjus, che sarà presentato a Roma il 13 febbraio. Due dati, apparentemente contraddittori emergono dalla prima parte del Rapporto: una decrescita – seppur modesta – del numero dei volontari presenti e attivi nelle reti associative (- 5% secondo l’Istat) e, invece, un discreto successo  del nuovo Registro Unico Nazionale del Terzo Settore che annovera – a gennaio 2025 – 132.000 enti iscritti, di cui 39.000 non presenti nei precedenti registri regionali o settoriali. Due trend che segnalano la crescente difficoltà delle reti associative ad intercettare quel volontariato fluido, e per lo più praticato dalle generazioni più giovani, che appare restio ad entrare in una dinamica organizzativa, rendendo difficile il ricambio generazionale dei gruppi dirigenti degli ETS. Di qui l’urgenza di indirizzare azioni e risorse per intercettare, motivare e trattenere dentro le reti associative questa inedita disponibilità all’impegno volontario. Una seconda traccia la si ritrova in un dato di Unioncamere: sono più di 5000 le nuove imprese sociali che si sono iscritte ai registri camerali dopo la riforma, tra il 2018 e il 2023. Tale crescita – seppur in assenza di due importanti misure fiscali a sostegno degli investimenti nelle nuove imprese sociali – dimostra una certa vitalità del fenomeno dell’imprenditorialità sociale. Appare dunque oltremodo urgente sia il rilascio dell’autorizzazione comunitaria per tali misure, sia il varo da parte del Governo del Piano d’azione per l’economia sociale. Infine una terza traccia. Dall’analisi dei dati del MEF-Dipartimento delle Finanze sulle dichiarazioni dei redditi, si evince che – tra il 2018 e il 2022 – è cresciuto sia il numero dei contribuenti che hanno effettuato una donazione ad un ETS (+12,5%), sia l’ammontare complessivo delle donazioni (+25%). Si può presumere che ciò sia avvenuto anche per via delle maggiori aliquote di detrazione (30% e 35%) introdotte nel 2017 con la riforma del Terzo settore. Per cui, appare irragionevole che il Governo nella legge di bilancio abbia ricompreso, nelle voci che formano il tetto delle detrazioni per i redditi sopra i 75.000 euro, anche le erogazioni liberali. Una tagliola che rischia di scoraggiare  proprio chi – avendo maggior disponibilità di reddito – mostra una più elevata propensione a donare verso gli ETS. Se vogliamo che quel “patriottismo” dei “soggetti della società solidale” non resti una espressione retorica, queste tre scelte – intercettare il volontariato fluido, investire nelle nuove imprese sociali e non scoraggiare la “mano privata” che sostiene le attività solidaristiche, appaiono non più rinviabili.

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