[di Gabriele Sepio e Vincenzo Sisci, pubblicato in «Il Sole 24 Ore» di Venerdì 1 Agosto 2025, pag. 26]
Con il decreto direttoriale 10 luglio 2025 del ministero delle Imprese e del made in Italy (Mimit), pubblicato in Gazzetta ufficiale lo scorso 25 luglio, si completa il quadro attuativo della disciplina in tema di imprese culturali e creative introdotta dalla legge per il made in Italy (legge 206/2023). Disciplina che interessa potenzialmente oltre 301mila organizzazioni (dati Istat 2022 tratti dal progetto di ricerca in convenzione con il ministero della Cultura).
In particolare, l’articolo 25 della legge ha istituito la qualifica di Icc come veicolo per promuovere e rendere più competitivo il settore culturale e creativo italiano, con il successivo decreto del Mic 402/2024 che ne ha declinato i requisiti soggettivi e oggettivi. Ora con il decreto direttoriale vengono disciplinate le modalità operative di acquisto dello status di Icc.
Da questo impianto normativo deriva una definizione di Icc di natura «funzionale», in quanto a venire in rilievo non è tanto la forma e la qualifica giuridica dell’ente – atteso che la qualifica può essere assunta da società, associazioni, fondazioni, enti del Terzo settore, imprese sociali, start-up innovative e anche da lavoratori autonomi – ma l’esercizio in forma di impresa, in via esclusiva o prevalente, di attività culturali e creative. E tali sono le attività, elencate nel Dm 402/2024, riconducibili entro una o più fasi della filiera culturale e creativa (dall’ideazione e creazione di beni, attività o prodotti culturali fino a produzione, sviluppo, diffusione e promozione, incluse le attività di ricerca e di valorizzazione) nonché quelle di supporto, ausiliarie o comunque funzionali alle prime.
Queste attività, poi, devono essere esercitate nell’ambito di uno dei 14 settori di riferimento (che comprendono le arti visive e la musica, il design e la moda, l’editoria e la fotografia, il patrimonio culturale e lo spettacolo dal vivo, fino a videogiochi e software).
Cosa cambia con il decreto
In questo contesto, il decreto direttoriale compie due passi in avanti verso la concreta operatività della normativa in tema di Icc, disciplinando gli adempimenti per l’iscrizione nella sezione speciale e il regime dei controlli sul possesso e mantenimento della qualifica. Ma anche fornendo, di fatto, alcune risposte in merito ad alcuni quesiti emersi fra gli operatori del settore.
Sul primo fronte, il decreto direttoriale prevede che l’ente interessato presenti domanda di iscrizione alla sezione speciale con la comunicazione unica in uso presso le Camere di commercio, alla quale segue il controllo da parte dell’ufficio del Registro imprese sulla completezza e correttezza formale dell’istanza. In ogni caso, il conservatore del Registro imprese può verificare la validità delle informazioni relative ai soggetti iscritti nonché la permanenza in capo agli stessi dei requisiti d’iscrizione, potendo eventualmente rifiutare l’iscrizione o disporne la cancellazione a seguito di un contraddittorio con l’ente interessato.
Riguardo ai chiarimenti desumibili dal decreto direttoriale, si segnalano due profili messi in chiaro dal Mimit. Primo, per poter accedere alla sezione speciale gli enti devono risultare iscritti nel Registro delle imprese o, in alternativa, nel Rea (Repertorio economico amministrativo), venendo così chiarite le modalità di ingresso per quegli enti (associazioni e fondazioni) che non sono obbligati all’iscrizione al Registro imprese ma che nondimeno esercitano un’attività d’impresa. Secondo, il requisito «funzionale» dell’esercizio di un’attività culturale e creativa è assolto ogni volta che l’attività prevalente dell’ente coincida con uno dei codici Ateco elencati in un allegato apposito del decreto direttoriale.
A fronte del completamento del quadro normativo di riferimento, sembra tuttavia mancare un impulso sul piano finanziario che possa sostenere il tratto identitario degli enti che decideranno di acquisire la qualifica di Icc, considerata anche la dotazione (pari a 3 milioni) contemplata per l’unica misura specifica per il settore, ossia il contributo in conto capitale previsto dall’articolo 29 della legge sul made in Italy.