Come sostenere il volontariato e l’attivismo civico. Una ricerca ideata da Fondazione Terzjus insieme con Fondazione Cattolica

di Antonio Fici – Poeti sociali, Verona, 4 ottobre 2025

Lo studio che nei prossimi mesi sarà realizzato dalla Fondazione Terzjus in collaborazione e con il sostegno della Fondazione Cattolica, e che oggi ci limiteremo a presentare nei suoi contenuti ed obiettivi essenziali, nasce da un’osservazione molto semplice. Pur costituendo l’attività di volontariato in termini a-tecnici una donazione di fare (erogare servizi, offrire le proprie competenze, ecc.), essa non è individualmente incentivata nel Codice del terzo settore come invece lo è la donazione di dare (denaro o beni). L’art. 83 CTS consente infatti al donante di recuperare parte del valore donato, riducendo così il costo della donazione a suo carico, che viene sopportato dallo Stato che rinuncia a parte del prelievo fiscale. È una norma, quest’ultima, che esiste pressocché in tutti i Paesi del mondo, e che in Italia, stando ai dati presentati dalla Fondazione Terzjus nel suo ultimo Rapporto annuale, ha contribuito non poco alla crescita delle donazioni in favore degli ETS (+12% di donanti e +25% di donazioni agevolate dal 2018 al 2022), permettendo a questi ultimi di reperire importanti risorse aggiuntive con le quali realizzare le proprie finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale.

Perché dunque non prevedere qualcosa di simile in favore di chi svolge attività di volontariato tramite un ETS? Se un meccanismo incentivante funzionasse per il volontariato come funziona quello di cui all’art. 83 per le donazioni di beni e denaro, si potrebbe avere non solo più volontariato, ma anche più volontariato c.d. organizzato.

Nel tentare di offrire risposta a questa domanda, occorre naturalmente muovere da un elemento essenziale del volontariato, ovverosia la sua gratuità, che peraltro nel CTS, ai sensi dell’art. 17, è assoluta (“l’attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo”). È vero che il Codice fa salvo il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate, ma questo elemento non sconfessa la gratuità dell’attività di volontariato, dacché il rimborso non compensa il volontario per il mancato guadagno (il “lucro cessante”) ma solo per le perdite (eventualmente) subite (il “danno emergente”) al fine di svolgere l’attività (inoltre l’espresso divieto di rimborsi forfetari previene il rischio che i rimborsi celino in realtà corrispettivi). 

L’incentivo individuale, pertanto, là dove previsto dalla legge o concretamente utilizzato dagli ETS, deve sempre essere compatibile con il principio di gratuità del volontariato, che né la Fondazione Terzjus né chi svolge questa attività di ricerca intende mettere in discussione, pur nella consapevolezza che esistono, in Italia come all’estero, forme di volontariato “remunerato” (nella cooperazione allo sviluppo, nel servizio civile universale, nel soccorso alpino e speleologico, ed adesso nello sport dilettantistico), che in quanto tali esulano dagli ambiti di questa ricerca, che si concentra sul volontariato non remunerato di cui all’art. 17 CTS. 

È proprio per la summenzionata ragione che un incentivo come quello di cui all’art. 83 CTS sarebbe per definizione inapplicabile al volontariato, poiché qualora il costo-opportunità dell’attività di volontariato, ovverosia il tempo donato dal volontario e non utilizzato per fare altro, fosse convertito in un valore monetario, il volontariato non sarebbe più gratuito bensì svolto in una logica di scambio e corrispettività.

Nell’individuare allora incentivi individuali compatibili con l’essenziale gratuità del volontariato, la presente ricerca potrà e dovrà confrontarsi sia con la legislazione, anche straniera, vigente in materia di volontariato, sia con studi teorici e ricerche laboratoriali ed empiriche già svolte da altri studiosi, in particolar modo stranieri. Dal confronto potranno trarsi elementi utili non solo ad orientare la presente attività di ricerca e confrontarne i risultati, ma anche, più in generale, ad affrontare, pure in prospettiva de iure condendo, il tema della promozione del volontariato nel nostro Paese. 

Per limitarsi qui ad un singolo esempio, in diversi paesi, inclusi alcuni nei quali il volontariato è molto diffuso (come Stati Uniti ed Olanda), si prevede la possibilità che un volontario recuperi attraverso detrazioni fiscali le spese incorse nello svolgimento di attività di volontariato, nel caso, in cui, ovviamente, queste spese siano rimaste effettivamente a suo carico, non essendogli state rimborsate dall’ente mediante il quale abbia eventualmente agito. Una misura fiscale di questo genere sarebbe sicuramente compatibile col principio di gratuità del volontariato e supporterebbe finanziariamente gli ETS, poiché le spese sostenute dai volontari non sarebbero sopportate dagli ETS ma dallo Stato che rinuncia ad una quota di entrate. Allo stesso tempo, a dimostrazione di come gli incentivi debbano essere trattati con particolare cautela, una misura fiscale come quella testé menzionata, potrebbe promuovere più il volontariato non organizzato che quello organizzato. Pertanto, qualora intenzione del legislatore fosse (anche) promuovere il volontariato organizzato, si dovrebbe condizionare la possibilità di detrazione fiscale a una certificazione di avvenuto svolgimento di attività di volontariato resa da un ETS (che peraltro sarebbe utile a prevenire abusi dell’incentivo) oppure si dovrebbe pensare ad una misura di compensazione diretta delle spese che gli ETS sostengono per rimborsare i propri volontari: l’aggravio per lo Stato non sarebbe maggiore (cambierebbe solo la modalità della spesa pubblica) e si favorirebbe il volontariato organizzato rispetto a quello diretto.

Lo studio che qui si presenta dapprima classificherà e passerà in rassegna i diversi possibili incentivi individuali al volontariato compatibili col principio di gratuità, in modo tale da offrire elementi di discussione utili al più generale dibattito sulla promozione del volontariato nel nostro Paese. Si concentrerà, poi, su una categoria specifica di incentivi, cioè modesti incentivi materiali di natura non monetaria, ancorché economicamente valutabili, che saranno altresì individuati sulla base della loro capacità di promuovere il benessere dei volontari sotto il profilo sanitario, assistenziale, educativo, ricreativo o culturale: si pensi a “buoni” (ad esempio del valore di € 100) per la sottoscrizione di piani sanitari per sé e i propri familiari, per l’accesso a cinema, teatri, campi sportivi o palestre, o per l’acquisto di servizi di babysitting o campus estivi. Per rendere il meccanismo quanto più “interno” al terzo settore e vantaggioso per quest’ultimo, si potrebbe altresì prevedere che questi “buoni” siano spesi presso ETS offerenti i suindicati beni o servizi, anche selezionati attraverso piattaforme dedicate all’offerta di servizi di welfare da parte di ETS (come WeMi del Comune di Milano). 

Ciò trova una ragione precisa nel fatto che, a nostro avviso, il welfare dei volontari non meriti minore attenzione del welfare dei lavoratori, costituendo i primi le tipiche persone di cui gli ETS (molti di loro, in particolar modo le ODV) si avvalgono nello svolgimento delle loro attività. Queste misure, peraltro, ove se ne dimostrasse l’efficacia anche sotto il profilo dell’ingaggio o della stabilizzazione dei volontari, potrebbero e dovrebbero essere agevolate dallo Stato, come lo sono le misure di welfare aziendale in favore dei dipendenti.

In seguito, nello studio, si condurrà un’analisi giuridica diretta a valutare se ed in che misura questi incentivi, recando un beneficio materiale al volontario, seppur come spiegato non in forma monetaria e di misura limitata, siano compatibili con la disciplina generale del volontariato di cui al CTS. Nel far ciò, non potrà non tenersi conto della presenza nell’ordinamento giuridico di ipotesi nelle quali un’utilità materiale è già riconosciuta o riconoscibile al volontario (si pensi alla giornata di lavoro concessa per legge al donatore di sangue, con possibilità peraltro, di rivalsa INPS da parte dell’azienda, oppure, nello stesso CTS, al diritto alla flessibilità di orario o alle turnazioni per poter svolgere attività di volontariato, ovvero al riconoscimento in ambito scolastico e lavorativo delle competenze acquisite svolgendo attività di volontariato o ai crediti formativi riconoscibili dalle Università ai sensi dell’art. 19). Non dovranno nemmeno trascurarsi, in prospettiva de iure condendo, quelle ipotesi in cui chi organizza il volontariato gode di un beneficio fiscale, come avviene per il volontariato aziendale (o “di competenza” come ribattezzato da Terzjus in molte recenti ricerche condotte sul tema) ai sensi dell’art. 100, lett. i), TUIR.

Svolta questa analisi, si condurrà un esperimento sul campo per testare l’efficacia dell’incentivo nell’attrarre nuovi volontari, ma sul punto dirà di più il collega Caltabiano.

Seguiranno alcune conclusioni sulla possibilità di generalizzare il ricorso all’incentivo e su ulteriori esperimenti che sarebbe utile condurre per poter valutare altri aspetti del medesimo meccanismo. Ove necessario, la ricerca si concluderà con alcune specifiche proposte legislative diretta a consentire e/o favorire l’uso di queste misure di promozione del volontariato (organizzato).

Al di là di quali saranno gli esiti della ricerca, teniamo in conclusione a sottolineare che il tema del volontariato a noi pare così ampio e complesso che la sua promozione richiede una strategia vasta ed integrata nella quale gli incentivi, come quelli oggetto di questo studio, possono sì giocare un ruolo importante ma da soli potrebbero non essere sufficienti né ad accrescere il numero di volontari e le ore di volontariato né a veicolare nell’ambito degli ETS il volontariato non organizzato. Questo risultato, se auspicato, sarà raggiungibile probabilmente solo attraverso l’uso congiunto di strumenti diversi, alcuni già presenti nell’ordinamento (basti pensare ai CSV e al loro sistema di promozione e finanziamento), altri da introdurre (si pensi alla detraibilità fiscale delle spese sostenute dai volontari, di cui si è parlato in precedenza), altri ancora di natura extra-giuridica da ideare ed attuare da parte degli stessi ETS (si pensi alle tecniche di gestione delle risorse umane da applicare ai volontari o all’uso delle tecnologie nella relazione con i volontari), che iniziative meritorie come quella sul people raising di Fondazione Cattolica dovrebbero sempre più supportare.

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