Il Ministro dello sviluppo economico, Stefano Patuanelli, in data 11 giugno, ha finalmente firmato il decreto ministeriale correttivo di quello emanato nel maggio del 2015, che istitutiva una misura volta a sostenere lo sviluppo dell’economia sociale attraverso la concessione di aiuti nella forma di finanziamento agevolato (al tasso dello 0,5% restituibile in 15 anni) per investimenti delle imprese sociali. Il provvedimento – che aveva una dotazione finanziaria pari a 223 milioni – nasceva nel contesto della riforma del Terzo settore e conteneva una novità importante: per la prima volta, una quota del FRI (fondo rotativo per le imprese) veniva specificamente dedicato alle imprese sociali. Trascorsero circa due anni, prima che lo stesso Ministero provvedesse ad emanare le successive disposizioni per dare concreta attuazione al decreto del 2015. Infatti, nel novembre del 2017, veniva finalmente aperto lo sportello per la presentazione delle domande di agevolazione.
Quali i risultati di questa operazione?
Come si era evidenziato, ormai quattro mesi orsono su Vita, i dati a fine 2019 erano del tutto deludenti. 22 le domande presentate, 12 i decreti di concessione degli aiuti per un importo totale di circa 14 milioni, poco più del 6% delle risorse effettivamente disponibili. Come spesso accade nel nostro Paese, misure giuste e utili non riescono ad essere impiegate a causa dei tempi infiniti della burocrazia o per la complessità nell’accesso tale da scoraggiare i potenziali fruitori. Così, anche con il sostegno del Comitato editoriale di Vita, si era chiesto di modificare il decreto originario in modo da mettere in circolazione quei 200 milioni rimasti inutilizzati. Lo scopo del Dm del 11 giugno è proprio questo e, nel suo insieme, le disposizioni adottate sono condivisibili, anche se si introduce una variante che fa supporre che il governo non abbia ancora ben chiaro il perimetro delle imprese sociali o non ne colga la specificità: sviluppare attività imprenditoriali non finalizzate alla distribuzione di utili tra i soci, ma al perseguimento di finalità di interesse generale. Ma andiamo con ordine.
Quali le novità contenute?
Innanzitutto potranno accedere alla misura di aiuto tutte le imprese sociali comunque costituite, anche quelle che non hanno forma societaria ma hanno invece assunto la qualifica come associazioni o fondazioni iscritte nel Registro delle imprese sociali delle Camere di commercio. La precedente limitazione appariva del tutto irragionevole e anche in contrasto con le nuove disposizioni della riforma del terzo settore. Questa modifica consentirà ad un numero più ampio di soggetti di poter richiedere il finanziamento agevolato per i propri investimenti. Ma, sempre relativamente alla platea dei soggetti, è stata altresì operata una vera e propria “invasione di campo”. Infatti potranno accedere a questa misura anche le imprese culturali e creative, che hanno come oggetto sociale l’ideazione, la creazione, la produzione, lo sviluppo, la diffusione, la conservazione e la valorizzazione di prodotti culturali. Ora, nulla da eccepire su tale finalità, ma tali imprese non hanno i vincoli delle imprese sociali e perseguono legittimamente finalità lucrative. Ci si potrebbe domandare: ma che c’azzecca con il sostegno all’economia sociale? Nulla. Va altresì aggiunto che il decreto, onde evitare un effetto di spiazzamento che questi nuovi soggetti potrebbero determinare nei confronti delle imprese sociali (di fatto riuscendo ad acquisire una parte rilevante del Fondo), prescrive che una quota non inferiore al 50% delle risorse sia destinata alle imprese sociali e che il 60% del fondo sia riservato alle PMI e alle micro imprese. Non di meno, la scelta appare del tutto disallineata con le norme introdotte con la riforma del Terzo settore e in particolare con il dlgs 112/2017. Un segnale che, oltre a quanto è avvenuto anche con i decreti emergenziali, al legislatore e al governo non è ancora chiaro l’originale apporto anche in campo economico dei soggetti di Terzo settore, in questo caso delle imprese sociali. Ma il decreto di Patuanelli presenta diverse altre novità positive. I progetti possono essere presentati anche in forma congiunta da più soggetti in modo favorire l’accesso anche alle imprese di minori dimensioni. Il finanziamento minimo richiesto viene dimezzato; passa da 200.000 a 100.000 euro proprio per sostenere anche progetti di modeste dimensioni. Per quanto riguarda la tipologia dei programmi ammissibili, segnaliamo due innovazioni: in primo luogo, i programmi di investimenti produttivi ispirati agli obiettivi del recente “green new deal” (riduzione dell’impatto ambientale, transizione verso l’economia circolare); ma altresì i programmi connessi all’occupazione di lavoratori con disabilità per i quali possono essere finanziati anche i costi supplementari riconducibili alle nuove assunzioni di tali lavoratori. Infine, la semplificazione degli aspetti procedimentali. La concessione degli aiuti, ora in gestione ad Invitalia, prevedeva troppe stazioni intermedie, prima di arrivare a destinazione. Ora un intervento di snellimento è stato fatto ma si potrebbe provvedere ad ulteriori semplificazioni. Rimane altresì da emanare un nuovo provvedimento relativo alla quota di finanziamento a fondo perduto che ogni progetto può contenere: era limitata ad un massino del 5% (e dei 23 milioni disponibili ne sono stati utilizzati poco più dell’1,5%); ora potrà arrivare fino al 20%.
In conclusione, se il Governo vuole che queste risorse non restino per altri cinque anni congelate deve fare due cose: dare immediatamente seguito alle modifiche con gli atti amministrativi mancanti; promuovere subito una campagna di informazione per far conoscere la misura. Anche attraverso questi 200 milioni si può contribuire a rafforzare l’economia sociale e ad includere i soggetti più svantaggiati.
Articolo a firma di: Luigi Bobba e Nicolò Melli