[di Gabriele Sepio, pubblicato su «Il Sole 24 Ore» di Lunedì 15 Settembre 2025, pag. 20]
Con la riforma fiscale arrivano misure ad hoc anche per il Terzo settore in vista dell’operatività dal 2026 del nuovo quadro fiscale. Con il decreto attuativo della delega fiscale, sono stati previsti alcuni importanti interventi che si inseriscono nel solco della comfort letter unionale e della successiva fissazione, con il D.l. 84/2025, dei termini per la decorrenza della fiscalità per gli enti del Terzo settore.
Uno degli snodi più delicati affrontati dal decreto attuativo riguarda il possibile impatto fiscale derivante dal passaggio di alcune attività dal regime “commerciale”, ai sensi del TUIR, a quello “non commerciale” in applicazione dei nuovi parametri previsti dall’art. 79 del D.lgs. 117/2017 (CTS). Da tale mutamento della qualifica fiscale può, infatti, emergere una plusvalenza tassabile legata alla “fuoriuscita” figurativa di beni dal regime d’impresa, pur in assenza di una cessione effettiva. Un effetto automatico che discende dall’art. 86 TUIR e che rischia di prodursi proprio nel passaggio di testimone tra i criteri di commercialità adottati dal TUIR e quelli ideati dal CTS. E per evitare questo “cortocircuito” si è intervenuti con l’introduzione dell’art. 79 bis CTS consentendo agli ETS di optare per la neutralizzazione fiscale del passaggio dei beni al regime di non commercialità a patto che questi continuino a essere utilizzati per le attività statutarie dell’ETS, nell’esclusivo perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Qualora i beni vengano successivamente venduti, destinati ad altri usi o perduti, la plusvalenza “congelata” sarà recuperata a tassazione. Viene consentita poi la rateizzazione dell’imposta dovuta fino a quattro anni, purché i beni siano stati posseduti dall’ente per almeno tre anni.
Quanto al passaggio tra il regime speciale della L. 398/1991 e il nuovo forfettario, riservato ad associazioni di promozione sociale e organizzazioni di volontariato (art. 86 CTS) – la semplificazione introdotta punta a mantenere l’esonero dall’obbligo di certificazione dei corrispettivi e dalla trasmissione telematica degli stessi. Con riferimento al plafond di ricavi commerciali annui, invece, si prende atto dell’armonizzazione, a livello unionale, della soglia di franchigia IVA applicabile da ciascuno Stato membro, fissata in 85mila euro annui (art. 284 direttiva IVA). Sul fronte IVA attesi specifici interventi di coordinamento a seguito del passaggio parlamentare. Da un lato prevedere la sostituzione del richiamo alle ONLUS contemplato per specifiche attività esenti (art. 10, c. 1, n. 15, 19, 21, 27 ter D.P.R. 633/72) con la più ampia definizione di “ente del terzo settore” in luogo dell’attuale limitazione ai soli “ETS non commerciali”. Dall’altro estendere alle imprese sociali il regime IVA del 5% già previsto per le cooperative sociali (Tabella A, parte II bis, n. 1) D.P.R. citato) allo scopo di coordinare il trattamento IVA per i modelli imprenditoriali del terzo settore.