Roma non è stata costruita in un giorno: i grandi progetti richiedono tempo, pazienza, cura e anche qualche accorgimento in corsa quando serve, si sa. La Riforma del Terzo settore non è da meno.
Fin dall’approvazione della legge delega, l’idea di mettere mano al settore, riorganizzare le molte leggi, dare una nuova visione prospettica e nuove opportunità di crescita agli enti non profit veniva considerata ambiziosa; la vastità e la complessità del Codice lo hanno confermato, ma a distanza di 5 anni dall’entrata in vigore della più importante opera di Riforma del settore, i risultati sono incoraggianti e positivi.
La più grande difficoltà è stata probabilmente quella di riuscire a comprendere il cambio di prospettiva sotteso alla Riforma e di riuscirne a cogliere le molte e nuove opportunità che il Codice offre. La necessità di creare un Registro Unico Nazionale e di dover ottenere l’autorizzazione dalla Commissione Europea per le modifiche in materia fiscale non hanno certamente agevolato il percorso di attuazione del Codice del Terzo settore ma, dati alla mano, la Riforma sta iniziando ad essere compresa e metabolizzata dagli enti non profit che, in modo continuo e crescente, scelgono di assumere la qualifica di ente del Terzo settore.
Due le fotografie significative del nostro Paese.
La prima è quella che viene restituita dai dati Istat appena pubblicati (14 ottobre 2022, relativi all’anno 2020): 363.499 istituzioni non profit per un totale di lavoratori impiegati pari a 870.183 persone. I dati, se paragonati a quelli degli anni precedenti, dimostrano come nell’ultimo decennio il numero di enti senza scopo di lucro sia significativamente e costantemente aumentato (+52% dal 2011 al 2020), riuscendo anche nell’anno della pandemia a mantenere gli stessi numeri dell’anno precedente, impiegando, però, al contempo, un numero di dipendenti addirittura superiore (soprattutto nell’ultimo biennio in relazione agli enti di più grandi dimensioni), dimostrando capacità aggregative, economiche e di c.d. problem solving ineguali. Particolarmente interessante sarà, in tale senso, l’esito del prossimo Censimento Permanente Istat relativo al biennio 2021-2022, da cui emergerà se e come il non profit abbia saputo fronteggiare l’immediato contesto post-covid. L’esperienza della pandemia, prima, e, più recentemente, del conflitto tra Russia e Ucraina, con le conseguenti tensioni relative all’approvvigionamento di gas e altre risorse, hanno evidenziato come la transizione verso nuovi modelli di sviluppo sia non più solo necessario nel medio periodo, ma urgente. D’altra parte, l’attenzione ai temi di un’economia alternativa a quella della massimizzazione del profitto, sostenibile e attenta anche al profilo Environment, Social and Governance è sempre più marcata e oggi più che mai necessita di trasformarsi in azioni concrete sfruttando appieno le possibilità aperte dagli investimenti previsti dal PNRR.
Come noto, però, il perimetro degli enti non profit è ben più ampio di quello degli enti del Terzo settore. Da qui, l’esigenza di una seconda fotografia, ossia quella degli enti che hanno scelto di aderire alla Riforma.
Il dato è ancora in divenire ma positivo e incoraggiante. Ad oggi più di 80.000 enti sono trasmigrati dai vecchi registri al nuovo Registro Unico del Terzo settore, oltre a quasi 24.000 imprese sociali. Non è questo, però, il dato che risulta essere il più interessante: il Registro Unico, infatti, ha ricevuto quasi 15.000 domande di iscrizione da parte di nuovi enti o di enti che non erano precedentemente iscritti in registri ai sensi delle leggi speciali, dimostrando la logica attrattiva della Riforma stessa. E, parimenti, delle 24.000 imprese sociali, ben 4.000 sono state costituite dopo l’entrata in vigore della Riforma; dato di non poco conto se si considera l’attuale assenza dell’autorizzazione europea in materia fiscale.
Sempre dai dati del Censimento Permanente Istat relativo al biennio 2021-2022, letti unitamente a quelli del Registro Unico, sarà poi possibile comprendere se i trend di crescita (o decrescita) degli enti non profit corrispondano in modo speculare ai trend del Terzo settore, ovvero se il fenomeno pandemico e la Riforma del Terzo settore abbiamo comportato implicazioni divergenti sui rispettivi enti, ben potendosi registrare anche un dato complessivo in decrescita dei primi ma un contestuale aumento dei secondi. Solo dal rapporto tra i due dati sarà, infatti, possibile comprendere effettivamente le scelte che gli enti del Terzo settore hanno compiuto o stanno iniziando a compiere.
Questa la cornice entro cui si colloca la giornata di studio dello scorso 24 novembre presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, organizzata in collaborazione con Terzjus, e avente ad oggetto il secondo Report pubblicato dalla Fondazione stessa, in cui ampio spazio è dedicato all’impatto e alla percezione della Riforma.
Non è un caso che il primo report elaborato da Terzjus lo scorso anno fosse sottotitolato “Una riforma in movimento” e che il secondo report sia invece sottotitolato “Una riforma in cammino“. Molti traguardi sono, infatti, stati raggiunti: il Registro è entrato in vigore e in concreto funzionamento; i decreti, regolamenti e provvedimenti attuativi mancanti sono stati quasi tutti completati ed emanati; i posti disponibili per il servizio civile sono stati quasi decuplicati; il social bonus è divenuto operativo; è stata bollinata la tabella di riparto delle risorse assegnate alla Riforma. La prima fase, caratterizzata dal grande lavorio tecnico di predisposizione delle strutture, di completamento dei decreti attuativi e circolari, di approvazioni di correttivi normativi, ha lasciato il passo ad una fase di più minuzioso perfezionamento della Riforma in cui, in attesa della tanto agognata autorizzazione della Commissione Europea, la stessa inizia ad essere davvero parte integrante della vita degli Ets. Dalla regolazione alla concreta applicazione, insomma. Dalla lex allo jus, come sottolinea il Prof. Antonio Fici in diverse occasioni.
Tanti sono stati gli adeguamenti che gli enti hanno necessitato ma significative sono, al contempo, le opportunità offerte dalla Riforma, che iniziano a trovare declinazione e applicazione, tanto che, da uno studio condotto da Terzjus insieme a Italia Non Profit, è emerso, come ricorda il Presidente di Terzjus, Luigi Bobba, che quasi due terzi degli enti del Terzo settore esprima un giudizio complessivamente positivo della Riforma, cogliendola più come un’opportunità che non come un mero adempimento.
Il pensiero corre al social bonus, al social lending, al cinque per mille, al ruolo assai fondamentale delle reti associative e dei csv, che, con il loro operato, possono contribuire significativamente al sostegno e alla crescita degli ETS, come racconta la dott.ssa Negrini, portavoce del Forum del Terzo Settore Lombardia e vicepresidente di Fondazione Cariplo.
E, ancora, si pensi ai temi della co-programmazione e della co-progettazione, quali forme dell’amministrazione condivisa, oggetto dell’interessante intervento dell’avv. Luciano Gallo, referente di Anci Emilia Romagna.
Emerge con tutta evidenza, anche da questi profili, la nascita – che andrà sapientemente guidata e valorizzata – di nuovi modelli e nuovi paradigmi del rapporto pubblico/privato, in cui si dovranno valorizzare procedure sane del predetto rapporto pubblico-privato, di promozione di dialoghi costruttivi per la tutela dell’immagine del Terzo settore stesso e di comprensione della particolarità delle logiche sottese all’operato di questi enti che correttamente possono e devono essere, in taluni ambiti (come quello dell’affidamento dei servizi sociali) sottratti alla pura logica del mercato e della concorrenza in favore di procedure ad hoc.
I nuovi paradigmi, volti al perseguimento di una comunione di scopo, necessitano, però, di tempo, di lavorio, di comprensione e assimilazione, come è stato dimostrato anche dagli interventi del Consiglio di Stato e di Anac di quest’anno, se paragonati a quelli di qualche anno addietro (cfr. Cons. Stato, Comm. speciale, 26 luglio 2018, n. 2052 e successivamente Cons. Stato, Sez. consultiva, 27 dicembre 2019, n. 3235 e Cons. Stato, Sez. consultiva, 3 maggio 2022, n. 802 e cfr. Linee Guida Anac n. 32 del 20 gennaio 2016 e Linee Guida Anac n. 17 del 27 luglio 2022 in materia di affidamenti di servizi sociali – in cui si afferma che gli Ets, legittimamente, non sono da ricondursi alle dinamiche concorrenziali del Codice dei Contratti pubblici allorquando agiscano in qualità di soggetti partner e collaborativi nell’ambito di procedimenti di amministrazione condivisa – da leggersi in parallelo con le Linee Guida Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali 72/2021) e altresì dalla pronuncia della Corte Costituzionale del 2020 (C. Cost. n. 131/2020), ben presto ribattezzata come “pietra miliare” del diritto del Terzo settore, in cui, per la prima volta la disciplina dell’amministrazione condivisa è stata ritenuta una vera e propria procedimentalizzazione dell’azione sussidiaria in espressa attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale valorizzato dall’art. 118, quarto comma, Costituzione.
Tasselli di un cammino che sono, non da ultimo, rinvenibili anche nelle modifiche introdotte nel Codice dei contratti (con la conversione in legge del cosiddetto Decreto semplificazioni – D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito in Legge n. 120/2020 recante misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale) volte a realizzare un coordinamento tra Codice dei contratti pubblici stesso e Codice del terzo settore, sancendone la rispettiva autonomia.
La Riforma sembra dunque costituire la base e lo strumento di e per un salto culturale che tutti sono chiamati a compiere: Ets, Pubbliche Amministrazioni, stakeholders.
Si tratta, in definitiva, come ricordato dal dott. Alessandro Lombardi, direttore del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, di governare i processi e sapersi mettere in discussione, di saper creare una relazionalità basata su meccanismi fiduciari tra Ets e Pubbliche Amministrazioni; tra Ets e cittadini, anche valorizzando gli strumenti di trasparenza e accountability che la Riforma offre; e tra Ets ed enti profit per la creazione di sinergie e reti, come peraltro emerge anche dal più volte citato PNRR.
In questo processo risulta centrale anche il ruolo dei professionisti, tra cui dottori commercialisti e notai, come sapientemente illustrato dalla notaio Monica De Paoli, investiti di nuove ed importanti competenze da parte del Codice stesso.
Il cammino da compiere e le sfide da cogliere interessano tutti gli Ets, da quelli di più piccole dimensioni a quelli più grandi, che sempre più colgono l’importanza anche di un assetto organizzativo-manageriale e della necessità di una capacità di attrattiva di competenze, come testimoniato dal prof. Andrea Sironi nella sua veste di Presidente di Airc e, sotto diversa prospettiva, anche dal dott. Stefano Granata, Presidente di Confcooperative Federsolidarietà oltre che Presidente di AICCON, il quale sottolinea proprio l’importanza della creazione di una mentalità aperta a cogliere le opportunità e a saperle trasformare in idee per il futuro che non può non vedere come protagonisti le nuove generazioni. La normativa sulle cooperative sociali rappresenta, in fin dei conti, proprio un esempio concreto di questo discorso, essendo divenuta dal 1991 in avanti il modello di riferimento della legislazione sull’imprenditorialità sociale nel contesto europeo, riuscendo a coniugare nel suo modello le logiche dell’impresa con i principi di gestione democratica, partecipativa e trasparente e di reinvestimento dei profitti nell’attività stessa dell’ente o in azioni o fini sociali.
Ciò che resta e deve restare immutata è invece la capacità del Terzo settore, dalle sue origini ad oggi, come ricorda il Prof. Gianpaolo Barbetta, di saper leggere le esigenze di un settore, di un territorio, dei cittadini e saperle trasformare in idee che conducano a possibili soluzioni nuove e alternative.
Come detto, l’autorizzazione della Commissione Europea, da cui dipende il riconoscimento di una fiscalità premiale, ampiamente indagata dall’avv. Gabriele Sepio, segretario generale di Terzjus, resta il passo più significativo che la Riforma deve compiere per lasciare, poi, davvero il testimone al Terzo settore, affinché, cercando di superare gli scetticismi, il mondo del non profit possa sempre più divenire quello del Terzo settore, come da sempre auspicato dal Prof. Giulio Ponzanelli.
Il report di Terzjus, in conclusione, ci ricorda come “Il Terzo settore italiano ha alle sue spalle una tradizione e può contare su una legislazione con caratteri di unicità in tutta l’Unione europea. L’auspicio è dunque che sia capace di diffondere i suoi principi e valori identitari anche sul fronte legislativo, come già avvenuto in precedenza”.
Roma non è stata costruita in un giorno.