Dal nuovo regime fiscale ai limiti retributivi: Onlus verso il Registro unico

[di Gabriele Sepio, pubblicato su «Il Sole 24 Ore» del 30 settembre 2025]

Per le Onlus è iniziato il conto alla rovescia che porterà alla chiusura dell’Anagrafe. Oltre 16mila gli enti ancora formalmente iscritti nel Registro gestito dall’agenzia delle Entrate che avranno il compito di scegliere la sezione del Runts più adatta alle proprie caratteristiche, tenendo conto del modello organizzativo e della nuova fiscalità appena varata da Bruxelles.

La scadenza del 31 marzo 2026 per l’iscrizione nel Registro del terzo settore (Runts) segna per le Onlus uno spartiacque temporale che richiede di confrontarsi strategicamente con una disciplina completamente rinnovata. Il passaggio dalle regole del Tuir a quelle del Dlgs 117/2017 (Codice del Terzo settore) è, infatti, solo il primo ambito da valutare.

L’articolo 150 del Tuir qualifica stabilmente come non commerciali tutte le attività istituzionali delle Onlus, escludendo i relativi proventi dal reddito imponibile e prevedendo una decommercializzazione estesa anche alle attività «direttamente connesse». Una logica derogatoria, costruita su una presunzione legale, che ha garantito per anni la neutralità fiscale delle attività solidaristiche svolte da tali realtà.

L’approccio seguito dal Cts, invece, si basa su un criterio conforme ai principi comunitari e idoneo a garantire una stabilità al sistema scongiurando eventuali procedure di infrazione. Non più, dunque, un regime agevolativo ad hoc che prescinde dal modello organizzativo dell’ente, ma un sistema basato su parametri oggettivi in grado di distinguere le attività di interesse generale svolte con modalità commerciali e non (articolo 79) parametrando i ricavi ai costi effettivi.

Ma il cambio della cornice fiscale non è l’unica novità che riguarda le Onlus. Con l’ingresso nel Registro, queste realtà possono contare su un perimetro di azione più ampio rispetto a quello attuale che, ai fini dello svolgimento delle proprie attività di interesse generale, non guarda alla condizione dei destinatari (la disciplina Onlus, infatti, richiedeva anche una specifica destinazione a sostegno di soggetti svantaggiati), ma alla loro intrinseca finalità civica, solidaristica e di utilità sociale. In concreto, ciò significa ampliare la platea dei beneficiari e riconoscere il valore sociale di un servizio anche a prescindere dalla condizione soggettiva di “svantaggio” la cui corretta declinazione interpretativa ha posto non poche problematiche nel corso del tempo.

Un secondo aspetto con cui le Onlus dovranno fare i conti riguarda le attività diverse. Il regime fiscale del Dlgs 460/1997 consente oggi alle Onlus, ancora iscritte nella relativa Anagrafe, di poter svolgere attività ulteriori solo se «direttamente connesse» a quelle istituzionali e nei limiti quantitativi del 66% delle spese complessive. Un vincolo stringente, che ha spesso limitato le possibilità di autofinanziamento e di «sperimentazione economica». Con l’ingresso nel Runts, invece, sarà possibile svolgere attività diverse a condizione che siano secondarie rispetto a quelle di interesse generale e strumentali alla loro realizzazione.

In altre parole, non occorre più dimostrare un nesso funzionale diretto, ma solo che l’attività sostenga, anche indirettamente, la missione principale. Una modifica di grande impatto, che apre la strada a fonti di entrata prima precluse, come sponsorizzazioni o attività commerciali collaterali.

Infine, le Onlus che si accingono a fare il loro ingresso nel Runts potranno contare su limiti retributivi per il personale impiegato più elevati rispetto a quelli attuali che impongono a tali realtà – per non incorrere in ipotesi di distribuzione indiretta di utili – di corrispondere importi non superiori al 20% rispetto ai valori previsti dai Ccnl maggiormente rappresentativi.

Il Cts innalza questo limite al 40%, riconoscendo agli enti margini più ampi nella gestione del personale e la possibilità di garantire retribuzioni più competitive senza compromettere la natura non lucrativa dell’organizzazione. Ciò avviene anche attraverso una deroga al limite prescritto dal Cts nell’ipotesi in cui l’ente necessiti di avvalersi di competenze professionali che richiedono uno standing retributivo superiore al 40%.

Si tratta dunque nel complesso di novità che impongono alle Onlus una tabella di marcia piuttosto serrata e che, in vista della scadenza del 31 marzo 2026, richiederà anche un coordinamento puntuale nel passaggio di consegne tra il Dlgs 460/1997 e la nuova disciplina del terzo settore. Una cornice che ha trovato già qualche primo chiarimento da parte dell’agenzia delle Entrate proprio in occasione dello Speciale Telefisco del 18 settembre. Le Onlus con esercizio a cavallo (ad esempio, settembre 2025-31 agosto 2006), potranno applicare il nuovo regime fiscale e dismettere il regime Onlus, dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2025 (ovvero dal 1° settembre 2026).

Ets non commerciali alle prese con il nodo Iva

Per le Onlus l’ingresso nel terzo settore condiziona anche il regime Iva. La qualifica dell’ente secondo i nuovi criteri fissati dall’articolo 79 del Cts incide anche sulla possibilità di accedere al regime di esenzione Iva che, almeno fino alla fine dell’anno, sarà garantito alle Onlus con riferimento all’attività socio-sanitaria, assistenziale, di formazione (articolo 10, n. 15), 19), 20), 21) e 27 ter) del Dpr 633/72).

Con l’avvio delle nuove misure, si provvederà a sostituire l’acronimo Onlus presente all’articolo 10 del decreto Iva con la definizione di «ente del Terzo settore non commerciale».

Una modifica che, tuttavia, lascia spazio a non poche criticità. La definizione di Ets non commerciale, infatti, non sembra tenere conto della necessità di garantire un trattamento fiscale omogeneo a tutte quelle realtà che operano in settori fondamentali per lo svolgimento di attività di interesse generale. Pensiamo, ad esempio, a una Fondazione Onlus che svolge attività socio assistenziale e che sceglie di qualificarsi come impresa sociale. Lo scenario prospettato, sulla base del nuovo quadro fiscale, nega di fatto la possibilità per l’ente di continuare a fruire dell’esenzione (articolo 10, comma 1, n. 27 ter del Dpr 633/1972), salvo che questo non venga ricondotto nell’alveo di «ente con finalità assistenziali».

Ulteriore elemento di criticità, peraltro, deve ravvisarsi nel fatto che mentre la definizione di Onlus consente a oggi una sostanziale stabilità ai fini Iva, il richiamo agli «Ets non commerciali» potrebbe mettere a rischio il trattamento fiscale nel caso di un mutamento di qualifica. Potremmo, quindi, trovarci di fronte al caso in cui un Ets inizialmente inquadrato come non commerciale diventi commerciale. In tale situazione, l’ente potrebbe rischiare di perdere il regime di esenzione Iva da un esercizio all’altro qualora non integri gli ulteriori requisiti previsti per le singole attività richiamate all’articolo 10 del Dpr 633/1972.

Altro aspetto non di poco conto da valutare riguarda la necessità di evitare una concorrenza fiscale “interna” tra realtà inserite nella medesime sezione del Runts. Pensiamo alle coop sociali (imprese sociali di diritto) a cui è riconosciuta la possibilità di fruire di un’aliquota Iva ridotta del 5% per le prestazioni sanitarie, socio-sanitarie, assistenziali ed educative (Tabella A, parte II bis, del Dpr 633/1972).

In tal senso, al fine di sciogliere i nodi Iva, è auspicabile un duplice intervento normativo che potrebbe arrivare anche con un correttivo al decreto attuativo della delega fiscale. In tal senso, si potrebbe estendere l’aliquota agevolata del 5% anche alle imprese sociali che operano nei settori sanitari e assistenziali, creando maggiore omogeneità con le cooperative sociali. Dall’altro, si rende opportuno sostituire il termine Onlus con la più ampia locuzione «Ets» senza alcun richiamo alla qualifica fiscale (commerciale o meno), garantendo così un’applicazione uniforme e coerente con la logica unionale dell’imposta. Una soluzione, richiesta ormai da tempo dal mondo del terzo settore, che potrebbe consentire di stabilizzare il trattamento Iva facendo leva sulla qualifica soggettiva dell’ente a prescindere da eventuali oscillazioni nel risultato di gestione.

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