[di Sara De Carli, pubblicato in Vita.it del 20 ottobre 2025]
Nell’ambito del giving, gli incentivi hanno dimostrato la loro efficacia: per esempio tra il 2018 e il 2022, dopo che il Codice del Terzo settore ha innalzato la percentuale di detraibilità delle donazioni agli Ets dal 26% al 30% (quota che sale al 35% per le Odv) c’è stato – dichiarazioni dei redditi alla mano – un +12% di donanti e +25% di donazioni agevolate. E se pensiamo al welfare aziendale, nella sua crescita ha certamente pesato la possibilità di dedurre dal reddito dell’impresa tutte le spese sostenute per il lavoro dipendente, incluse quelle relative al welfare.
Perché allora non provare a introdurre degli incentivi anche per il volontariato? L’idea è che potrebbero funzionare come una “spinta gentile” per avvicinare nuove persone all’impegno gratuito per il bene comune, ma anche per rafforzare il legame tra volontari e organizzazioni, nell’ottica di quel people raising che sempre di più si sta rivelando come sfida cruciale anche per il settore non profit. È un’eresia? O un’innovazione disruptive? E che fine fa, in questa prospettiva, la gratuità che del volontariato è l’essenza?
La risposta a queste domande verrà nei prossimi mesi da uno studio che Fondazione Cattolica ha co-ideato con la Fondazione Terzjus e sarà realizzato in collaborazione e con il sostegno della Fondazione. La ricerca, nelle sue linee generali, è stata presentata lo scorso 4 ottobre a Verona, nell’ambito della rassegna “Poeti Sociali”.
Non pensate a trasferimenti monetari che possano mettere in discussione la gratuità dell’azione volontaria o che introdurrebbero forme di “volontariato remunerato”: pensate invece alla possibilità che un volontario recuperi attraverso detrazioni fiscali le spese sostenute nello svolgere la sua attività di volontariato, nel caso in cui non siano state rimborsate dall’ente o a “buoni” di valore modesto per la sottoscrizione di piani sanitari per sé e i propri familiari, per cinema, teatri, campi sportivi o palestre, per l’acquisto di servizi di babysitting o i campus estivi dei figli. Sono questi gli esempi portati da Antonio Fici, professore associato di diritto privato all’Università Tor Vergata di Roma e direttore scientifico di Fondaziona Terzjus, nel tratteggiare le linee portanti dello studio che verrà realizzato nei prossimi mesi.
Le premesse
«Nell’ambito del più ampio progetto di people raising, che Fondazione Cattolica sta portando avanti con un Bando dedicato e la scuola da lei stessa lanciata “Academy Fondazione Cattolica per il Terzo Settore”, si è fatta strada la necessità di approfondire il tema dell’evoluzione delle “nuove modalità di partecipazione dei volontari nel mondo degli Ets”», afferma Giovanni Tessitore, segretario generale di Fondazione Cattolica. «Una possibile strada è quella di focalizzare l’attenzione sul welfare dei volontari, in analogia con il welfare dei dipendenti. In fondo i volontari costituiscono le tipiche risorse umane degli Ets. Fondazione Cattolica sta collaborando alla definizione di uno studio di ricerca su tali temi con Fondazione Terzjus, per studiare e cogliere nuove opportunità a supporto dello sviluppo di nuove forme di volontariato organizzato. Per gli Ets lo studio sperimentale si prospetta come uno strumento utile al people raising, per attrarre i volontari o i soci».
Per Barbara Lucini, responsabile Country Sustainability & Social Responsibility di Generali Italia, «la ricerca proposta da Fondazione Terzjus, in collaborazione e con il sostegno della Fondazione Cattolica, parte da un dato certo: il calo strutturale dei volontari, in Italia e all’estero. In Italia, secondo Istat, i volontari sono passati da 5,5 milioni a 4,6 milioni e nel mondo i trend non sono diversi. La ricerca testerà sperimentalmente se “nudges” e benefit – per esempio coperture sanitarie, assicurative o forme di riconoscimento sociale – possono aumentare il numero e la stabilità dei volontari».
I fondamenti teorici
«Lo studio che nei prossimi mesi sarà realizzato dalla Fondazione Terzjus in collaborazione e con il sostegno della Fondazione Cattolica nasce da un’osservazione molto semplice. Pur costituendo l’attività di volontariato in termini a-tecnici una donazione di fare, essa non è individualmente incentivata nel Codice del Terzo settore come invece lo è la donazione di denaro e di beni», riflette Fici. «Perché dunque non prevedere qualcosa di simile in favore di chi svolge attività di volontariato tramite un Ets? Se un meccanismo incentivante funzionasse per il volontariato come funziona quello di cui all’art. 83 per le donazioni di beni e denaro, si potrebbe avere non solo più volontariato, ma anche più volontariato cosiddetto organizzato».
Un secondo elemento teorico su cui poggia il progetto della ricerca è il fatto che «il welfare dei volontari non merita minore attenzione del welfare dei lavoratori, costituendo i volontari le tipiche risorse umane di cui gli Ets si avvalgono nello svolgimento delle loro attività. Queste misure, così, ove se ne dimostrasse l’efficacia anche sotto il profilo dell’ingaggio o della stabilizzazione dei volontari, potrebbero e dovrebbero essere agevolate dallo Stato, in analogia con le misure di welfare aziendale in favore dei dipendenti». D’altronde, annota Fici, una utilità materiale in alcuni casi è già riconosciuta al volontario: «per esempio la giornata di lavoro concessa per legge al donatore di sangue, con possibilità di rivalsa Inps da parte dell’azienda oppure il diritto alla flessibilità di orario o alle turnazioni per poter svolgere attività di volontariato, o il riconoscimento in ambito scolastico e lavorativo delle competenze acquisite svolgendo attività di volontariato».
Che fine fa la gratuità?
Fici è molto chiaro su quella che potrebbe essere la principale obiezione all’ipotesi di studio: «L’incentivo individuale dovrà sempre essere compatibile con il principio di gratuità del volontariato, un principio che né la Fondazione Terzjus né chi svolge questa attività di ricerca intende mettere in discussione. Nell’individuare possibili incentivi individuali compatibili con l’essenziale gratuità del volontariato, la ricerca potrà e dovrà confrontarsi sia con la legislazione, anche straniera, vigente in materia di volontariato, sia con studi teorici e ricerche laboratoriali ed empiriche già svolte da altri studiosi», afferma.
L’incentivo individuale dovrà sempre essere compatibile con il principio di gratuità del volontariato, un principio che né la Fondazione Terzjus né chi svolge questa attività di ricerca intende mettere in discussione Antonio Fici, direttore scientifico di Fondaziona Terzjus
Peraltro uno dei possibili effetti collaterali dell’introduzione di incentivi per spingere il volontariato – aggiunge Cristiano Caltabiano, sociologo e ricercatore di Fondazione Terzjus,- è il “crowding-out effect”, ben noto in letteratura, ossia quello spiazzamento che si verifica tra i volontari dinanzi all’introduzione di un premio estrinseco che va a ridurre la motivazione intrinseca, indebolisce l’auto-determinazione e l’auto-stima e di fatto fa calare l’offerta di lavoro volontario. «Chiariamo anche che gli incentivi oggetto dello studio possono sì giocare un ruolo importante, ma da soli non sono sufficienti né ad accrescere il numero di volontari e le ore di volontariato né a spostare verso gli Ets il volontariato non organizzato. Questi risultati, se auspicati, saranno raggiungibili solo attraverso l’uso congiunto di strumenti diversi, alcuni già presenti nell’ordinamento (basti pensare ai Csv e al loro sistema di promozione e finanziamento), altri da introdurre (si pensi alla detraibilità fiscale delle spese sostenute dai volontari, di cui si è parlato in precedenza), altri ancora di natura extra-giuridica da ideare ed attuare da parte degli stessi Enti (si pensi alle tecniche di gestione delle risorse umane da applicare ai volontari o all’uso delle tecnologie nella relazione con i volontari)».
Il disegno della ricerca
Caltabiano ha ricordato come «le tendenze della partecipazione volontaria non sono uniformi all’interno delle Aps, Odv e Asd: nel decennio 2011-2021 i volontari sono diminuiti in modo significativo nel 43,8% delle associazioni, ma nel 32,2% sono aumentati». Inoltre, in una ricerca condotta su Milano, Firenze, Roma, Napoli è emerso che la difficoltà maggiore vissuta da volontari e attivisti è quella per conciliare l’impegno di servizio con la vita privata e professionale». Infine, «diverse analisi aggiornate sottolineano che i volontari sono piuttosto riluttanti ad occuparsi con continuità della “macchina organizzativa” delle associazioni, mentre è più facile coinvolgerli in eventi immersivi sotto il profilo sociale e civile, nel cosiddetto “volontariato trendy”». Ecco i punti del contesto su cui gli incentivi potrebbero agire.
Lo studio vedrà tre focus group con persone interessate a svolgere attività di volontariato di diverse coorti anagrafiche (giovani, lavoratori adulti, cittadini senior in pensione o prossimi alla quiescenza lavorativa), che discuteranno del significato del volontariato e del civismo, dei vincoli e delle opportunità della partecipazione sociale nella vita quotidiana, delle ricompense materiali e simboliche che possono sostenere l’azione volontaria. Un focus group sarà realizzato invece con operatori dei Csv e con responsabili dei programmi di volontariato nelle reti associative, per discutere dei problemi e delle opportunità nello sviluppo dei programmi di promozione del volontariato. Lo studio sperimentale sul campo sarà realizzato nel 2026, con un disegno di ricerca misto sui nudge che coinvolgerà un gruppo sperimentale e un gruppo di controllo.
In apertura, da sinistra Cristiano Caltabiano, Antonio Fici e Sara De Carli, che ha moderato la presentazione dello studio (foto Vita.it)