Il piano d’azione europeo per l’economia sociale compie un altro passo avanti. Come preannunciato, la Commissione ha appena pubblicato una raccomandazione rivolta al consiglio europeo, ovvero ai governi dei paesi membri dell’Unione. La partita quindi passa da Bruxelles alle capitali nazionali. Perché la strategia europea abbia successo non basta l’impegno di Ursula von der Leyen e dei suoi commissari: occorre che l’iniziativa venga presa anche, in forma coordinata, dai singoli paesi.
Il testo della raccomandazione ripercorre i motivi che hanno portato al piano d’azione. L’economia sociale è ormai considerata uno dei pilastri centrali della strategia europea. Per dimensioni ed estensione ha la capacità di intervenire in molte delle aree più critiche del nostro tempo. Prima tra tutte, la necessità di correggere la rotta rispetto ad una politica che si era illusa che l’ampliamento del mercato – con una circolazione sempre più libera di persone, merci, servizi e capitali – avrebbe portato magicamente ad un’Europa più coesa ed inclusiva.
Trent’anni di politiche per il mercato unico hanno messo in ombra l’importanza della dimensione sociale. Ma poi la serie di crisi esplose a partire dal 2008 – che i meccanismi di mercato si sono trovati impotenti ad affrontare – ha riportato l’attenzione sul tema della qualità dello sviluppo. Squilibri e disuguaglianze comportano dei costi che alla lunga incidono sulla tanto invocata competitività europea. Perciò, tra recessione, pandemia e impatto del conflitto alle porte dell’Unione, ha preso sempre più corpo l’urgenza di una nuova transizione.
Ottimisticamente, all’inizio del mandato di questa Commissione europea si pensava che il futuro dell’Unione potesse essere gestito seguendo le priorità di un’economia di mercato ancora salda e fiduciosa delle proprie capacità: quindi concentrando l’attenzione sui due grandi temi della transizione digitale e della transizione ecologica. Strada facendo però si è compreso con sempre maggiore chiarezza che la prospettiva andava ampliata. I profondi squilibri che attraversano la società europea non possono essere affrontati facendo appello soltanto a più innovazione e a più sostenibilità ambientale.
Ci sono questioni che attengono alla tenuta del sistema sociale. Questioni che riguardano l’inclusione di fasce di popolazione spinte sempre più ai margini. Questioni che interrogano il futuro del lavoro in una fase storica in cui si profilano cambiamenti epocali. Questioni che emergono dalla condizione di irrilevanza di chi oggi è giovane e non vede prospettive davanti a sé. Questioni che nascono dalla corrosione prodotta da una dilagante sfiducia sociale sulle istituzioni democratiche.
Il punto, dunque, non è il futuro del single market ma quello della stessa società europea, e delle istituzioni democratiche che vivono sotto una crescente pressione. È qui che il contributo dell’economia sociale può essere determinante in quanto elemento di riconnessione tra società, economia e istituzioni democratiche. Facendo leva su un approccio collaborativo, ovvero il principio mutualistico, che non è destinato a rimpiazzare il principio di autorità dello Stato e il principio del profitto del mercato, ma è altrettanto essenziale.
La raccomandazione naturalmente non è così esplicita. Ma il contesto in cui nasce è profondamente segnato da questi temi e l’impegno della Commissione europea a sostegno dell’economia sociale riflette la consapevolezza che è necessario lasciarsi alle spalle la rigidità con cui nel passato l’attenzione per lo sviluppo economico è prevalsa su quella per lo sviluppo sociale dei paesi membri.
Il testo proposto dalla Commissione è molto articolato. L’impostazione è centrata sui temi dell’occupazione e delle politiche sociali ma contiene diverse aperture in direzione di una visione più ampia, che richiama il ruolo intersettoriale dell’economia sociale. Tocca aspetti, ad esempio sugli aiuti di Stato, in cui manifesta una flessibilità prima sconosciuta. Sottolinea che la logica dei bandi al massimo ribasso va abbandonata se davvero si vuole sostenere l’economia sociale. Solleva questioni sulla materia fiscale per la quale, pur ribadendo la competenza degli Stati nazionali, fornisce delle indicazioni inequivocabili riguardo alla necessità di differenziare le regole in funzione degli obiettivi di interesse generale perseguiti.
Insomma, in generale si tratta di un buon documento, che rispecchia bene l’accelerazione impressa da Bruxelles sulle politiche pubbliche europee. Completa il percorso intrapreso dai vertici della Commissione europea nel dicembre 2021. E passa il testimone ai governi nazionali perché facciano la loro parte. Su questo la raccomandazione è quantomai chiara e fornisce indicazioni precise. Ogni paese è incoraggiato a adottare, entro 18 mesi dall’approvazione da parte del Consiglio europeo, una strategia nazionale per l’economia sociale e un quadro normativo che ne favorisca lo sviluppo. Si suggerisce di favorire la creazione di forme di rappresentanza dell’economia sociale. Si raccomanda di costituire meccanismi di consultazione e dialogo tra queste e le autorità pubbliche. Si invita a promuovere la formazione dei funzionari pubblici perché comprendano e conoscano il ruolo dell’economia sociale. La Commissione si è espressa senza incertezze. I governi nazionali sapranno fare altrettanto?