5×1000: la carica degli esclusi (anche per scelta)

[pubblicato in «il Venerdì», 17 maggio 2024, Pagg. 62-63]

LA CARICA DEGLI ESCLUSI (ANCHE PER SCELTA)

L’anno finanziario 2022 ha rappresentato una cesura importante per il 5×1000. Un momento di passaggio tutt’altro che indolore: sono stati 8.291 gli enti esclusi dal contributo, quelli cioè che non sono stati ammessi alla ripartizione dei fondi. Gli oltre ottomila estromessi, però, erano stati scelti da 400 mila contribuenti, per un totale di 15 milioni di euro di fondi che finiranno così nelle casse dello Stato. Con buona pace di chi aveva inserito il codice fiscale per destinarlo a un ente.
Per dare un’idea dell’eccezionalità di ciò che è successo basta dire che nel 2021 gli esclusi erano stati 1.633.
La maggior parte degli enti tenuti fuori dal riparto della torta sono molto piccoli ma non mancano le eccezioni, come la fondazione Campagna Amica, la costola di Coldiretti che si occupa dei mercatini di frutta e verdura a km zero. Grazie alle firme degli italiani che l’avevano scelta in dichiarazione dei redditi, avrebbe ottenuto quasi mezzo milione di euro. Contattata dal Venerdì, la fondazione fa sapere che ha «ritenuto di non voler modificare il suo assetto organizzativo, che per vent’anni gli ha permesso di svilupparsi e raggiungere obiettivi importanti. Da qui è derivata la decisione di non iscriversi al registro degli enti del Terzo settore». Ed è proprio questo il punto: nel 2022 è scattato l’obbligo, per tutti gli enti che vogliono ricevere il 5×1000, di iscriversi al Registro unico del Terzo settore, noto ai più come Runts. Ecco la cesura. A parte le Onlus, alle quali è stata concessa una proroga, chi al 31 dicembre 2022 non era nel registro è rimasto fuori. Anche se, nella dichiarazione di quell’anno, era stato scelto da qualche contribuente. Per potersi iscrivere al Runts, molte realtà che fino al 2022 operavano nei settori Onlus pur non essendo Onlus dovrebbero modificare il proprio statuto e diventarlo. Alcune, semplicemente non hanno fatto in tempo ed è probabile che siano già rientrate nel riparto del 2023, altre hanno deliberatamente scelto di non farlo. Ma nel microcosmo degli esclusi, spiega il presidente di Terzjus Luigi Bobba, «circa 2.200 sono soggetti a zero firme, e questo fa presupporre che nella trasmigrazione vi sia stata un’operazione di pulizia di enti ormai inattivi o inesistenti». Ma lo stesso Bobba ipotizza che «diverse organizzazioni siano rimaste impigliate in qualche ritardo o pastoia burocratica. Resta l’amarezza: le scelte di circa 400 mila contribuenti non sono arrivate a buon fine, ci auguriamo che questi soldi vadano a incrementare il fondo nei prossimi anni». Nelle pieghe della burocrazia, oltre agli esclusi c’è chi è a tutti gli effetti nel registro ma ha dimenticato di inserire il proprio Iban: «Sono circa 14 mila enti per i quali il ministero non ha potuto trasferire le risorse che gli spettano. Il problema dovrebbe risolversi presto, non appena queste organizzazioni aggiorneranno i propri dati» spiega Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Terzo Settore. A parte i problemi burocratici, o le dimenticanze, c’è un altro limite storico che il Terzo settore chiede da anni di risolvere: i contribuenti che in dichiarazione non esprimono alcuna preferenza nell’apposito riquadro, di fatto destinano la propria quota allo Stato. Per l’8×1000 invece, le quote di chi non sceglie vengono ripartite tra tutti i potenziali beneficiari «e sarebbe giusto equiparare i due contributi in questo senso, perché molte di queste organizzazioni svolgono un presidio importante nel territorio in cui operano: anche poche migliaia di euro possono fare la differenza» conclude Pallucchi.

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