Volontariato di competenza: quali regole e agevolazioni per imprese e lavoratori che investono nel volontariato a favore del terzo settore.
Un connubio, quello tra volontario e lavoratore, che seppure apparentemente in contraddizione trova invece una propria coerenza quando sono le imprese ad investire tempo e competenze dei propri dipendenti per favorire lo sviluppo delle attività sociali. Il risultato è duplice. Da un lato si genera valore per il sostegno degli enti del terzo settore superando le tradizionali forme di apporto verso il non profit caratterizzate da erogazioni in denaro o sponsorizzazioni. Pensiamo all’impresa che grazie ai propri lavoratori forma gli operatori ed i volontari per lo svolgimento delle attività istituzionali dell’ente. Dall’altro il coinvolgimento dei lavoratori permette di arricchire la cultura aziendale associando il profitto alla cura dell’interesse generale attraverso una politica di responsabilità sociale. In questo scenario si inserisce il “volontariato di competenza” attraverso il quale, dunque, la forza lavoro abitualmente collegata allo svolgimento di attività dirette o strumentali alle finalità dell’impresa viene impiegata anche a beneficio di interessi collettivi. Una formula che ha cominciato a diffondersi negli Stati Uniti negli anni Novanta, per poi approdare anche in Europa e in Italia dove è stata inserita, a partire dal 1998, una disposizione ad hoc all’art. 100 del TUIR consentendo alle imprese di dedurre, entro certi limiti, il costo dei lavoratori dipendenti destinati alla produzione di servizi a favore delle Onlus.
Una norma poco conosciuta dalle imprese, incluse quelle che svolgono attività a sostegno del non profit e che si inserisce nel più ampio quadro delle norme di nuova generazione, come ad esempio la legge “antisprechi”, L. 166/2016, (vedi articolo nella pagina) destinate a valorizzare anche fiscalmente gli investimenti delle imprese nel contesto dell’economia sociale. In particolare l’art. 100 del TUIR consente al datore di lavoro di dedurre nel limite del 5 per mille dell’ammontare complessivo, le spese relative all’impiego di lavoratori dipendenti per prestazioni di servizi erogate a favore di Onlus. Una misura, questa, che con la piena operatività della Riforma del Terzo settore, ovvero con l’autorizzazione UE sui nuovi regimi fiscali, porta ad un ampliamento della platea dei soggetti. A ben vedere, anche se il regime fiscale di favore previsto per le Onlus (Dlgs 460/1997) verrà meno una volta ottenuta l’autorizzazione Ue, la disposizione dell’articolo 100 Tuir non sarà abrogata ma, anzi, troverà uno spazio applicativo maggiore, includendo altre categorie di enti operanti nel settore non profit. Con la Riforma, infatti, l’articolo citato vedrà ampliato il ventaglio degli enti coinvolti includendo in luogo delle ONLUS, qualsiasi tipologia di ente del Terzo settore (ETS) purché di natura non commerciale. Vengono, dunque, escluse imprese e coop sociali e inclusi tutti gli altri enti iscritti nel Registro unico nazionale del terzo settore.
In questo caso, quindi, verrà concesso alle imprese di poter “prestare” i propri dipendenti agli Ets non commerciali senza dover rinunciare, nei limiti previsti dall’articolo 100 del Tuir, alla deduzione delle relative spese. Tuttavia la misura agevolativa sarà valida solo a condizione che il dipendente, le cui prestazioni vengono fornite a favore dell’organizzazione non profit, vanti un contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Va detto che la formula del volontariato di competenza si inserisce sempre più spesso nei piani di welfare aziendale consentendo di cumulare tra loro le varie agevolazioni fiscali e previdenziali. L’introduzione di un piano di welfare, in relazione all’attività di volontariato, consente infatti di destinare una giornata lavorativa del personale dell’impresa ad attività di volontariato, con la possibilità per i lavoratori di scegliere a quali associazioni o enti del Terzo settore dedicare il proprio impegno.
Fare il bene è una voce inerente all’impresa
Con il volontariato di competenza si assiste a quella che potremmo definire una vera e propria inversione delle regole di determinazione del reddito. Un esempio legato ad un fenomeno più ampio che produce una graduale ridefinizione di alcuni istituti tipici del sistema tributario favorendo gli investimenti del profit nel sociale e una contaminazione tra mercato e Terzo settore. Se, infatti, il costo del lavoro sostenuto per finalità non inerenti ed estranee a quelle aziendali resta a carico dell’impresa, senza possibilità di rientrare nella determinazione della base imponibile, con il volontariato di competenza si deroga a tale principio.
Entra nel nostro sistema un criterio innovativo che consente alle imprese non solo di perseguire un fine lucrativo sul mercato ma allo stesso tempo di contemperarlo con quello legato agli interessi collettivi. Un riconoscimento fiscale che conferma la visione circolare del sistema economico nel rapporto tra i diversi settori e contesti operativi tra mercato e attività di interesse generale.
L’impresa, dunque, non è più vista come un contesto isolato che determina la ricchezza tassabile in relazione esclusivamente al perseguimento delle proprie finalità collegate alla produzione degli utili, ma è un organismo che dialoga con il sistema e incide sullo sviluppo della comunità e del welfare. In questo scenario, quindi, si assiste alla compresenza accanto al tradizionale principio di inerenza, di un nuovo modello che si potrebbe definire più efficacemente nell’ambito di un contesto di “inerenza circolare” attraverso cui il legislatore attrae nel sistema d’impresa voci di spesa collegate alle attività orientate esclusivamente al bene comune. Si tratta di un principio nuovo in grado di declinare anche forme alternative di premialità fiscale non più rintracciabili solamente attraverso l’assegnazione diretta di benefici, come nel caso di deduzioni o crediti d’imposta, ma anche indirettamente, attraverso il riconoscimento della deducibilità dei costi altrimenti estranei al regime fiscale proprio delle aziende. Un principio su cui si inseriscono ulteriori misure volte ad incentivare sempre di più un dialogo tra imprese e Terzo settore. Si pensi, ad esempio, alla legge antisprechi (L. n. 166/2016) che, di fatto, consente alle imprese di donare beni da destinare agli interessi collettivi, in deroga ai criteri fiscali generali che fanno scattare l’imposizione in base al valore normale del bene destinato a finalità estranee all’impresa. Oppure alle disposizioni del codice del terzo settore che incentivano la donazione di beni o il recupero di beni immobili pubblici (social bonus). Insomma è possibile affermare che nel quadro dell’evoluzione legislativa si va sempre piu affermando un “fisco buono” rappresentato da una serie di disposizioni tributarie volte a favorire e premiare e gli investimenti del mercato nel sistema dell’economia sociale.
[articoli pubblicati a pag. 38 dell’inserto “Norme & tributi” de «Il sole 24 Ore» di giovedì 7 luglio 2022]