Social economy, la riforma che produce impresa. Nate 4mila nuove realtà

Il bilancio dopo cinque anni. Una crescita del 4% con 241mila assunzioni mentre il mondo profit è rimasto fermo. I dati del rapporto Unioncamere-Terzjus e i contratti a donne, migranti, laureati

di Giulio Sensi

Favorire la nascita di nuove imprese sociali era uno degli obiettivi della riforma del Terzo settore. A distanza di cinque anni il bilancio è positivo: hanno visto la luce quasi quattromila nuove realtà, non solo cooperative sociali, ma anche srl, società di persone e altre forme che, soprattutto nel Mezzogiorno, garantiscono ormai una quota rilevante dell’occupazione. Per la prima volta dal 2017, anno di entrata in vigore del nuovo codice, l’Unione italiana delle Camere di Commercio, Unioncamere, ha reso noti i numeri sulle nuove imprese sociali all’interno del rapporto annuale dell’associazione Terzjus intitolato «Dal non profit al Terzo settore. Una riforma in cammino». 

«Il tasso di crescita annuo – spiega il vicesegretario generale di Unioncamere, Claudio Gagliardi – è stato del 4% ed è un dato rilevante se si considera che nel mondo profit tale tasso ha registrato una sostanziale stabilità. È anche più alto del passato, quando la quasi totalità, il 97%, delle imprese sociali nascenti aveva la forma cooperativa. Consideriamo che si è verificato in un periodo non certo semplice della storia italiana e che per il 25% ha riguardato forme diverse da quella cooperativa. Una su quattro è società di capitali, oppure associazione, fondazione, società di persone o cooperativa diversa da quelle sociali».

Una su quattro

Non solo: «Anche i settori di attività si sono diversificati – aggiunge Gagliardi – e anche se quello dell’assistenza sociosanitaria è ancora maggioritario abbiamo con queste nuove imprese una presenza sempre più diffusa nel campo della formazione e istruzione, cultura, tutela ambientale e promozione del territorio. La riforma sta dando elementi di innovazione, unendo approccio imprenditoriale con finalità sociali». La presenza è forte in particolare nel Mezzogiorno, ma anche al Centro e al Nord ha favorito l’allargamento a nuovi settori. Secondo un’altra recente indagine di Unioncamere, tali imprese hanno attivato più del 5% dei contratti previsti dalle imprese con almeno un dipendente, garantendo 241mila nuove assunzioni e in alcuni ambiti, come quello del welfare, coperto circa la metà del flusso occupazionale.

«Il 36% di questi – prosegue il vicesegretario generale di Unioncamere – sono laureati, quota che non supera il 14% in tutti i settori economici del nostro Paese. C’è una domanda di alta specializzazione che rispecchia avanzati processi di trasformazione digitale e sostenibilità ambientale». Un nuovo assunto su quattro negli ambiti dell’educazione e della formazione del 2021 è stato dentro un’impresa sociale. «E maggiore – spiega ancora Gagliardi – è la quota di donne e migranti. Sono tutti elementi che devono far guardare con attenzione al Terzo settore, non solo per il suo significato sociale, ma anche per quello economico».

Impatto

Il rapporto di Terzjus ha voluto fare il punto sull’impatto della riforma non solo in materia di impresa sociale, ma anche su tutto il Terzo settore, con l’indagine «Riforma in movimento» condotta assieme a Italia Non Profit. Sotto la lente l’impatto del Runts, il Registro nazionale telematico del ministero del Lavoro e delle politiche sociali che da novembre scorso sta progressivamente riunificando i vecchi registri e accogliendo le nuove iscrizioni per assicurare la piena trasparenza. «Anche qua – commenta il segretario generale di Terzjus, Gabriele Sepio, che è stato uno dei tecnici decisivi nella stesura della Riforma avviata durante il governo Renziregistriamo un dato positivo: quasi 12mila nuove domande di iscrizione ricevute in meno di un anno, di cui seimila già accolte e molte di piccoli enti. Nonostante gli adempimenti formali, decidono di iscriversi per contare sulle opportunità del Registro e che riguardano, ad esempio, la possibilità di divenire destinatari del 5 per mille o di lavorare in partenariato con la pubblica amministrazione. C’è certamente una percezione di fatica a stare dietro al nuovo status, ma buona parte degli enti si sta misurando con tutto questo in modo proattivo». «Il successo della riforma – aggiunge Sepio – dipenderà molto da come le reti associative e i Centri di servizio per il volontariato riusciranno a stare al fianco dei soggetti, in particolare quelli più piccoli e meno strutturati, che necessitano di sostegno».

Secondo i dati di Terzjus e Italia Non Profit, se due organizzazioni su tre guardano all’iscrizione al nuovo registro come una opportunità, un riconoscimento, un’occasione di visibilità e trasparenza, una su tre invece – e sono in particolare le piccole – lo avverte come un problema, ma solo il 5% esclude di iscriversi. Il Runts però non è l’unica transizione da compiere per completare la riforma. «Le sfide aperte – conclude Sepio – sono molte. Arruolare i 14 milioni di contribuenti attivi che ancora non destinano il loro 5 per mille, concludere l’interlocuzione con l’Europa per definire tutta la partita fiscale, rendere veramente universale il Servizio civile, far decollare i social bonus e i titoli di solidarietà. Tutto questo per dare stabilità agli enti del Terzo settore, come la riforma prevedeva».

[articolo pubblicato su «Corriere Buone Notizie» del 10 ottobre 2022]

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