[di Jessica Pettinacci, Giacomo Scicolone e Gabriele Sepio, pubblicato in «Il Sole 24 Ore» di martedì 26 agosto, pag. 24]
La riforma dello Sport ha introdotto l’obbligo per associazioni e società sportive dilettantistiche (Asd e Ssd) di dotarsi di modelli organizzativi e di controllo dell’attività sportiva e codici di condotta a tutela dei minori e per la prevenzione di molestie, violenza di genere e ogni altra forma di discriminazione.
Un’attività di compliance che ha coinvolto centinaia di migliaia di enti sulla base delle indicazioni fornite dal Coni nella delibera 255/2023 e secondo le linee guida adottate dai propri organismi affilianti (federazioni, discipline sportive associate ed enti di promozione sportiva).
Il responsabile safeguarding
Oltre a questo, per Asd/Ssd è scattato anche l’obbligo di nominare il responsabile contro abusi, violenza e discriminazione (responsabile safeguarding). Soggetto, questo, chiamato a prevenire e a contrastare ogni forma di abuso, violenza e discriminazione sui tesserati nonché a garantire la protezione dell’integrità fisica degli sportivi.
È chiaro che, per lo svolgimento delle proprie funzioni, deve trattarsi di un soggetto autonomo e indipendente – anche rispetto all’organizzazione sociale – al quale è possibile corrispondere compensi per l’attività resa. In questo senso deve essere intesa la ricomprensione di queste figure nel mansionario dei lavoratori sportivi pubblicato ad aprile scorso dal Dipartimento per lo sport.
L’inclusione nel lavoro sportivo sembrerebbe tuttavia rilevare solo con riguardo a specifiche discipline sulla base di quanto indicato nei regolamenti tecnici di alcune federazioni.
È il caso, ad esempio, della federazione baseball e softball o della federazione hockey che includono l’attività di safeguarding tra le mansioni necessarie per lo svolgimento della propria attività sportiva.
Un aspetto, questo, rispetto al quale sarà necessario fornire chiarimenti considerato che quest’attività è trasversale ed è prevista in via obbligatoria per tutte le Asd/Ssd iscritte al Registro, a prescindere dalle discipline sportive svolte. Anche per evitare ipotesi di disparità di trattamento per i responsabili safeguarding degli enti nell’accesso alla fiscalità di vantaggio che è prevista per i lavoratori sportivi.
Regolamentazione in progress
Va poi considerato che, sebbene il termine per la nomina del responsabile sia ormai trascorso (31 dicembre 2024), manca ancora il decreto attuativo per la regolamentazione della disciplina. Vale a dire quello che dovrebbe recare disposizioni specifiche a tutela della salute e della sicurezza dei minori che svolgono attività sportiva, inclusi adempimenti e obblighi, anche informativi, da parte delle Asd/Ssd (articolo 33, Dlgs 36/21).
In attesa di questo decreto attuativo, gli organismi nazionali e i sodalizi si sono strutturati delineando modelli e procedure che siano efficaci nel contrasto a qualsivoglia forma di abuso e discriminazione.
I canali di segnalazione nei confronti del responsabile dell’Asd/Ssd presuppongono, in ogni caso, un’informativa al responsabile nazionale per le politiche di safeguarding.
Il ruolo di quest’ultimo è senz’altro articolato. Da un lato, si tratta di un soggetto che svolge funzioni di vigilanza ma ha anche il compito di adottare le opportune iniziative per la prevenzione dei comportamenti e di segnalare agli organi competenti eventuali condotte rilevanti.
Dall’altro si tratta di una figura che si relaziona tanto con il responsabile delle affiliate, la cui attività deve essere coordinata nel rispetto delle diversità dei compiti a loro assegnati dalla normativa Coni, quanto con l’Osservatorio permanente del Coni per le politiche di safeguarding, con il quale ha l’obbligo di reportistica a cadenza semestrale.
Dal whistleblowing linee guida per iter di segnalazione efficaci
Safeguarding, occhi puntati su modalità e gestione delle segnalazioni. Un passaggio che richiede non solo consapevolezza, ma strutture e procedure adeguate che tengano conto dell’eterogeneità del mondo sportivo contraddistinto da organismi affilianti con strutture complesse, associazioni e società con dimensioni e risorse profondamente differenti. Un panorama frammentato che impone di costruire procedure su misura che rispondano ai principi contenuti nelle linee guida dell’Osservatorio permanente del Coni, garantendo riservatezza, tempestività e tutela dei dati.
In questo quadro, è quanto mai necessario che gli enti sportivi adottino iter in grado di fornire ai destinatari le informazioni essenziali: individuare il soggetto deputato alla segnalazione, gli strumenti e le forme attraverso cui procedere nonché il destinatario della comunicazione e la fase di gestione.
In tal senso, un riferimento utile per costruire sistemi coerenti e funzionali potrebbe arrivare dalla disciplina sul whistleblowing. I due sistemi, sebbene distinti, sono destinati, in molti casi, a coesistere, specie negli enti che hanno adottato modelli 231. Entrambi richiedono canali sicuri, regole certe, garanzie di protezione per chi segnala e l’autonomia del soggetto che gestisce la segnalazione.
Non basta aprire un canale ma occorre che sia idoneo e funzionale alla ratio della norma, ossia facilitare le segnalazioni. Anche in questo caso i principi del whistleblowing potrebbero essere di supporto posto che proprio la direttiva comunitaria che lo ha introdotto ha evidenziato come in un’organizzazione il segnalante è portato a segnalare a soggetti interni. Questo significa che le procedure di segnalazione nel safeguarding potrebbero prediligere – negli organismi dotati di un’ampia rete di affiliati– il responsabile contro abusi, violenza e discriminazione dell’ente affiliato quale soggetto deputato a ricevere le stesse segnalazioni.
In questa possibile soluzione, l’intervento del responsabile nazionale per le politiche di safeguarding – la cui funzione principale è di vigilanza e adozione di opportune iniziative per la prevenzione – potrebbe essere residuale nei soli casi di inerzia, inadeguatezza o inefficace gestione della segnalazione. Una centralizzazione delle segnalazioni su quest’ultima figura, infatti, rischierebbe di essere poco funzionale in contesti complessi con numerosi enti affiliati. In ogni caso, è necessario garantire un adeguato coordinamento tra i due soggetti responsabili coinvolti.
Altro elemento del whistleblowing da cui trarre spunto sono le modalità di segnalazione plurime: scritta, con modalità informatiche e orale. Serve un sistema vicino al segnalante, non un apparato lontano. Perché la differenza, in quest’ambito, la fanno l’ascolto e la tempestività della risposta.
Occorrerà, tuttavia, attendere i correttivi alla normativa safeguarding visto che il sistema si rivolge anche ai minori, imponendo strumenti informativi (adottati con le dovute precauzioni) comprensibili, accessibili, inclusivi.
La sfida, insomma, è quella di cogliere gli elementi comuni dallo schema legislativo del whistleblowing adattandoli alle esigenze delle realtà sportive e alle peculiarità del safeguarding, tenendo presente che ogni ente dovrà farlo in coerenza con i principi del Coni e senza snaturare la propria struttura organizzativa statutaria.