Il caso deciso dal giudice del lavoro del Tribunale jonico, mediante la sentenza del 6 luglio 2020, n. 1462, origina da un ricorso, presentato da un soggetto che lamentava di aver svolto la propria prestazione lavorativa quale direttore di sala per diciotto mesi presso una società agrituristica e di non aver ricevuto l’integrale retribuzione. Di contro, la parte resistente negava lo svolgimento in via continuativa di attività di agriturismo da parte della società rappresentata, affermando che la ricorrente “si recasse spesso presso la Fattoria il Noce quale mera fruitrice e simpatizzante insieme ad altri amici, con i quali si intratteneva presso la struttura svolgendo attività ludiche con le proprie famiglie con il consenso dell’A., amministratore unico della società cooperativa”. Secondo la ricostruzione della parte convenuta, la ricorrente avrebbe prestato una vera e propria attività di volontariato erogata presso la cooperativa sociale, difettando un rapporto di lavoro dipendente.
Il giudice, invero, sulla scorta delle numerose prove testimoniali acquisite, ha statuito che il rapporto in questione presenti tutti i tratti tipologici di un rapporto di lavoro subordinato, risultando incontroverso il ricevimento di direttive da parte del datore di lavoro sulla attività da svolgere, un orario fisso etero-disciplinato e un compenso fisso orario pattuito con l’odierno resistente: pertanto, non può configurarsi attività di volontariato. In virtù di ciò, il Tribunale ha condannato la parte resistente al pagamento dei compensi non corrisposti.
L’insieme di questi indici hanno condotto a predicare l’onerosità dell’impegno contrattuale, difettando uno dei capisaldi dell’attività del volontario, ovvero la gratuità. Come precisato anche da una più articolata e precedente pronuncia del Tribunale di Teramo (emessa dalla Sez. lav. in data 17 ottobre 2018, n. 746), l’elemento caratterizzante l’impegno del volontario è rappresentato dalla gratuità. Non basta, quindi, rifarsi al dato formale o alla qualificazione impressa dalle parti ad un dato rapporto, affinché operi il regime giuridico di tutela del volontario: come precisato, a più riprese, dalla giurisprudenza di legittimità, la prestazione di volontariato risulta, per sua natura, gratuita e spontanea, ma ciò non osta all’applicazione della disciplina giuslavoristica del rapporto di lavoro qualora il volontario sia assunto e retribuito con un compenso che superi il mero rimborso spese (in questi termini, v. Cass., Sez. lav., 21 maggio 2008, n. 12964 e Cass., Sez. lav., 6 maggio 2010, n. 10974).
L’interpretazione resa dal tribunale pugliese merita, quindi, di essere coordinata con il dato normativo rappresentato dal Codice del Terzo settore (CTS): la figura e il ruolo del volontario riceve un ampio e autonomo riconoscimento, rappresentando il nerbo soggettivo non solo delle organizzazioni di volontariato ma di tutti gli enti del Terzo settore (art. 17, comma 1, CTS). Ciò si pone in discontinuità rispetto a quanto precedentemente disposto dall’art. 2 della legge quadro del 1991: l’abrogata disciplina, infatti, legittimava il volontario per il tramite del riconoscimento dell’ente presso il quale questi erogava la propria attività. Si addiviene, oggi, all’affermazione di un autentico status di volontario e in tal senso milita anche la prescrizione in capo agli enti del Terzo settore di iscrivere in un apposito registro i volontari non occasionali di cui si avvalgano (art. 17, comma 1, CTS): di contro, non si considera volontario l’associato che occasionalmente coadiuvi gli organi sociali nello svolgimento delle loro funzioni (art. 17, comma 6, CTS).
La previgente disciplina, all’art. 2, comma 1, ricostruiva l’opera del volontario attraverso i requisiti della personalità, della spontaneità e della gratuità: l’attività prestata avveniva, necessariamente, senza fini di lucro e in chiave solidarista. Il contributo prestato dal volontario risultava, pertanto, incoercibile e incompatibile con la previsione di un ritorno economico o di un qualsivoglia ulteriore vantaggio patrimonialmente apprezzabile.
Il nuovo art. 17, comma 2, CTS valorizza correttamente l’autonomia e la spontaneità che connota l’agire del volontario e collega la generosa autodeterminazione individuale alla realizzazione di attività in favore della comunità e del bene comune. In tal modo, si legittima pienamente il sacrificio del volontario, consistente nel mettere a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per fronteggiare i bisogni altrui, in modo spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neppure indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà.
In linea con quanto già espresso nella previgente disciplina, è impossibile riconoscere una retribuzione al volontario: come precisato dall’art. 17, comma 3, CTS, è ammesso esclusivamente il rimborso delle spese effettivamente sostenute e debitamente documentate – anche a fronte di una autocertificazione purché nei limiti delle soglie previste dall’art. 17, comma 4, CTS – da parte dell’ente del Terzo settore tramite il quale il volontario svolge l’attività. Al fine di non aggirare l’impianto normativo, è vietato ogni rimborso di tipo forfetario, cioè svincolato dalla documentazione ovvero, nei limiti in cui è consentita, dalla autocertificazione delle spese effettivamente sostenute. Da ultimo, risulta ferma l’incompatibilità della qualità di volontario con qualsivoglia tipo di lavoro subordinato o autonomo, nonché con qualsiasi altro rapporto di lavoro retribuito con l’ente cui il volontario afferisce o tramite il quale svolge la propria attività (art. 17, comma 5, CTS).
Può, quindi, rilevarsi come la ricostruzione offerta dal giudice di prime cure in rassegna appaia ovviamente conforme al dettato legislativo.