Servizio civile obbligatorio? No, meglio universale

Coloro che sostengono l’introduzione dell’obbligatorietà, fanno leva sulla necessità di irrobustire l’appartenenza alla propria comunità nazionale non solo attraverso il rispetto dei diritti fondamentali dei singoli, ma anche con un esplicito richiamo ai connessi doveri senza i quali nessuna comunità è in grado di durare nel tempo.

In un tempo dove appare oltremodo necessaria una maggiore coesione sociale, tale evocazione risuona in modo positivo alle nostre orecchie. Anche una figura autorevole come Giuseppe De Rita ha recentemente rievocato lo spirito che ha animato molti italiani nel dopoguerra, i quali, più che attendersi un aiuto dallo stato hanno contribuito personalmente e con le proprie famiglie alla ricostruzione del Paese.

Ma la domanda giusta a cui rispondere non è se il servizio civile debba essere o no obbligatorio, ma se sia possibile rendere veramente universale l’attuale servizio civile ancorato alla scelta volontaria delle persone. È a questa domanda che proverei a rispondere, partendo da due dati che non possiamo ignorare.

Nel Rapporto giovani del 2017 curato dal prof. Rosina, emergevano due elementi: l’87% dei giovani era contrario all’introduzione di un servizio civile obbligatorio; ma, più del 90% di coloro che avevano fatto servizio civile, avrebbe sicuramente consigliato ad un amico di compiere tale scelta. E, siccome ad un amico non si consiglia mai qualcosa di negativo, ne consegue che il “contagio positivo” – piuttosto che l’obbligatorietà – potrebbe essere la strada per far diventare il servizio civile veramente universale. Come alimentare questo “contagio positivo”?

Prima mossa: introdurre nella scuola secondaria e nella formazione professionale una sorta di alternanza scuola /servizio civile. Qualcosa di simile è stato già sperimentato dalla Provincia autonoma di Trento. Si tratta di inserire nel curriculum scolastico dello studente uno/due mesi – concentrati durante l’estate – di impegno volontario e di responsabilità civica presso un ente di Terzo settore o un ente locale del territorio. Come accade per l’alternanza scuola/lavoro, questo periodo darà luogo a dei crediti da riconoscere nel curriculum formativo dello studente.

L’onda d’urto di alcune decine di migliaia di giovani volontari impegnati in questa originale forma di alternanza, sortirebbe un duplice risultato: diffondere la cultura dell’impegno volontario e della responsabilità civica in una parte significativa delle generazioni giovani; e poi, far conoscere a quel 60% dei giovani che non sa cos’ è il servizio civile, la possibilità di operare tale scelta.

Se nel prossimo anno scolastico, anche solo il 10% degli studenti della scuola secondaria e della formazione professionale potessero fruire di tale opportunità, avremmo posto le basi perchè non pochi di questi ragazzi – terminati gli studi – decidano liberamente di fare 8/12 mesi di servizio civile. Come dice Massimo Recalcati, viene il tempo di “piantare la vigna del nostro futuro”.

Seconda mossa: grazie a questa seminagione e in forza di quel “contagio positivo” di cui ho parlato, le porte del servizio civile potrebbero progressivamente aprirsi ad un numero sempre maggiore di giovani. Ovvero, se accresciamo progressivamente il numero di giovani in servizio e presupponiamo un fattore R di “contagio positivo” con un valore decrescente da 2 a 1, si può passare nell’arco di cinque anni dagli attuali 40/50.000 giovani servizio a circa 400.000, ovvero la stragrande maggioranza dei giovani del nostro Paese. Il presupposto non è astratto in quanto si è osservato che negli ultimi cinque anni, ad una maggior offerta di posti a bando, è corrisposta anche una crescita delle domande da parte dei giovani.

Nel 2018, a fronte di 57.000 posti messi bando, le domande furono più di 110.000 e nel 2019, ai 40000 posti disponibili, sono corrisposte circa 85.000 richieste. Per uscire dalla retorica degli annunci e potersi avviare su questa strada, serve subito un primo passo. Il Governo recepisca la proposta formulata dalla Rappresentanza Nazionale dei Volontari in Servizio Civile di accogliere tutte le domande che gli enti formuleranno in base al bando aperto in questi mesi. Si avrebbero così presumibilmente in servizio negli ultimi mesi di questo 2020 più di 50.000 giovani cioè circa il doppio di quelli finanziati sulla base delle risorse disponibili nel Fondo del servizio civile per il 2020, per un impegno di spesa aggiuntivo di circa 140 milioni di euro. Un primo passo indispensabile per varare poi un piano ambizioso con un orizzonte temporale di cinque anni e con un investimento di circa 10 miliardi.

Terza mossa: questa crisi ha messo a nudo la difficoltà delle persone a non lasciarsi imprigionare dalle proprie paure ed incertezze. E la difficoltà dei governanti ad offrire risposte convincenti ed efficaci. Anzi,ci sono alcune forze politiche che, per assorbire o cavalcare queste paure, propugnano la via del capro espiatorio.

L’Europa è il candidato numero uno. L’Europa matrigna, l’Europa che ci strangola, che ci mette all’angolo. Anche qui serve respirare aria nuova. Nella riforma del servizio civile universale (Dlgs n. 40 del 2017), c’è un tassello che potrebbe diventare una pietra angolare nella costruzione tra i giovani di una cittadinanza europea. Quale? Rendiamo obbligatoria (o fortemente premiante) la previsione, in tutti i progetti che gli enti dovranno presentare, di un periodo (due/tre mesi) di servizio civile in un altro paese della Unione Europea. Insomma un vero e proprio Erasmus del servizio civile. Come per gli studi universitari, decine di migliaia di giovani potrebbero così fare esperienza di Europa camminando sui sentieri della solidarietà. Un investimento sull’Europa di domani che vale più di mille vertici e di tanti Trattati. Perché non cominciare? Se non ora, quando?

Infine, c’è da domandarsi se una trasformazione così imponente per numeri e qualità dell’offerta, non richieda l’istituzione – come accade in altri Paesi – di un’Agenzia nazionale del Servizio civile, una struttura dotata delle risorse necessarie e che possa operare con maggiore elasticità e tempestività.

In conclusione, mi domando perchè – proprio a fronte di una crisi così dolorosa e ad un’emergenza sociale così imponente, – dovremmo lasciare a casa quei 90.000 giovani che hanno visto inevasa la loro richiesta di fare servizio civile. Perché non mobilitare quell’ “esercito del bene comune” dispiegandolo per attività e servizi per le persone più vulnerabili, per rammendare le tante parti degradate del nostro territorio, per contrastare il digital divide che colpisce i bambini e le famiglie meno abbienti, per dare continuità all’assistenza delle persone disabili ,per fare volontariato nelle mense popolari o distribuire cibo e medicinali agli anziani soli?

Se vogliamo che il servizio civile diventi veramente universale, se vogliano dare una risposta con un respiro lungo all’emergenza che ci attanaglia, occorre una visione, un sogno ma anche un disegno e un percorso.
Forse oggi occorre saper trasmettere a tanti giovani un messaggio e indicare una rotta: quella ben sintetizzata in un celebre discorso del 1963 di John Fitzgerald Kennedy. “Non chiederti cosa il Paese può fare per te, ma cosa puoi fare tu per il tuo Paese”.

Articolo originariamente pubblicato su: Welforum.it

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