[articolo di Sara De Carli pubblicato su Vita.it il 26 giugno 2023]
I numeri sono impressionanti: 8.291 enti esclusi nell’edizione 2022 contro 1.633 enti esclusi nell’edizione 2021. L’elenco di Ets e Onlus è il più popolato fra gli enti degli esclusi: 7.626 contro i 710 dell’anno prima, più di dieci volte tanto. Fra essi, c’è da dire che 2.210 enti sono comunque a zero firme: «un’occasione anche per fare una “pulizia degli elenchi”, dopo la trasmigrazione alcune Odv e Aps sono state cancellate dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali perché si sono rivelate di fatto inattive e inesistenti», annota Gabriele Sepio, segretario generale di Terzjus. La sorpresa del 5 per mille 2022 sono gli enti esclusi. Che insieme “cubano” 15 milioni di euro: soldi che 400mila cittadini hanno destinato a realtà impegnate in attività socialmente rilevanti e che invece resteranno nelle disponibilità dello Stato (ovviamente al netto di eventuali ricorsi e correzioni).
I numeri
I dati, con questa discontinuità abnorme rispetto all’anno precedente, raccontano qualcosa che non può essere liquidato come “fisiologico”. Se – come detto – è nel nuovo elenco degli Ets (che proprio con la dichiarazione dei redditi 2022 ha sostituito il vecchio elenco degli “enti del volontariato”) che si concentrano la maggior parte degli esclusi (7.626), percentualmente è nell’elenco della ricerca scientifica che c’è l’impennata maggiore di esclusi: passano da 4 a 109. Calano invece gli esclusi fra le associazioni sportive dilettantistiche: da 911 a 513. Fra gli enti che si occupano di beni culturali e paesaggistici, invece, gli esclusi salgono da 8 a 43. Ovviamente per i Comuni per non cambia nulla, sono tutti ammessi. Come pure risultano zero esclusi tra gli enti della ricerca sanitaria e tra i gestori di aree protette.
Il contesto
Qual è quindi la novità che nel 2022 ha coinvolto la galassia del non profit? La necessità dirimente di stare nel Registro Unico del Terzo settore-Runts (per trasmigrazione o per iscrizione) per poter accedere al 5 per mille. Aps e Odv sono state trasmigrate automaticamente, per le Onlus è stato fatto un emendamento di proroga, mentre per gli enti inclusi nell’ex elenco del volontariato ma non Onlus – vale a dire le fondazioni che svolgono attività nei settori Onlus – senza l’iscrizione entro il 31 dicembre 2022 in una sezione del Runts è scattata l’esclusione dal contributo del 5 per mille. Dopo due anni in cui si è discusso se a Onlus e fondazioni convenisse iscriversi subito al Runts o attendere, i dati di questi giorni forse ci dicono che in tanti hanno deliberatamente scelto di attendere, rinunciando per il momento al 5 per mille, oppure che questo passaggio è stato più complicato del previsto e ha lasciato strascichi di vizi di forma non voluti. Sul campo, infatti, ci sono sia i racconti di chi ha scelto consapevolmente di prendersi del tempo in più per fare questa valutazione e quelli di chi invece ha fatto la modifica dello Statuto e voleva diventare Ets, adeguandosi a quanto previsto dalla Riforma del Terzo settore, ma è rimasto incagliato negli aspetti burocratici della questione, alle prese con la seconda o la terza riscrittura dello Statuto chiesta dagli uffici regionali del Runts. Se così fosse, l’anno prossimo vedremo gli esclusi ridimensionarsi drasticamente.
Esclusi illustri e non solo
I primi dieci enti esclusi, nell’elenco Ets e Onlus, assommano da soli 2.369.055,52 euro, destinati da 96.215 contribuenti: quasi un decimo delle firme e un sesto dell’importo che resta allo Stato. Il soggetto che ci perde di più è Fondazione Campagna Amica, voluta da Coldiretti per sostenere mercati a km zero e orti urbani, cui gli italiani avevano destinato quasi mezzo milione di euro. Al secondo posto, con 356mila euro lasciati sul campo, l’Opera Nazionale Assistenza Orfani Militari Arma dei Carabinieri (proprio quella finalità per cui un anno fa il senatore Rufa provò a forzare le finalità del 5 per mille, proponendo di superare l’interesse generale in favore di una – unica e precisa – categoria di beneficiari, appunto l’assistenza per i congiunti del personale delle Forze di Polizia e delle Forze Armate deceduto in servizio). Poco più avanti ci sono anche il Fondo Assistenza Previdenza e Premi per il personale dell’Arma dei Carabinieri (escluso, con 215mila euro di contributo destinato), l’Opera nazionale di assistenza per il corpo dei Vigili del Fuoco (escluso, 74mila euro) e l’Ente editoriale del Corpo della Guardia di Finanza (58mila euro). Al terzo posto la Fondazione Voce di Padre Pio, che in quanto esclusa dovrà rinuciare a 335mila euro. Nell’elenco, anche la Fondazione Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, la Pinacoteca del Lingotto Giovanni e Marella Agnelli che con le sue tre firme avrebbe portato a casa 66mila euro, la Fondazione Arena di Verona. E un’infinità di scuole materne (185), asili infantili (239) e scuole dell’infanzia (192), che grazie al 5 per mille davano una boccata d’aria a bilanci spesso sul filo del rasoio. Insomma, un mondo estremamente variegato.
Le cause
In attesa di capire dall’Agenzia delle Entrate quante di queste esclusioni sono dettate da vizi di forma, quante da mancata compliance con la normativa e quante dalla mancata iscrizione al Runts, i ragionamenti sono giocoforza ipotetici. Ma dicono che qualcosa non è andato come avrebbe dovuto, a cominciare evidentemente da quei 15 milioni di euro che (correttamente, ma che peccato) restano nelle disponibilità dello Stato.
PerGabriele Sepio, segretario generale di Terzjus, accanto alla cancellazione di una certa quota di Aps e Odv che ai controlli successivi alla trasmigrazione si sono rivelate inesistenti («prova ne siano i 2mila enti a zero firme che figurano tra gli esclusi»), ci sono altre due possibili ragioni per l’impennata degli esclusi: la mancata iscrizione al Runts delle «fondazioni che svolgono attività nei settori Onlus, ma che non erano Onlus, a dire il vero un’anomalia più quella passata che quella attuale» e una serie di soggetti del mondo della cultura, come le Fondazione lirico sinfoniche, che ad oggi «non possono entrare nel Runts perché “controllate da Enti pubblici”, per cui si sta valutando la possibilità di un emendamento».
Per Riccardo Friede di Officine Buone Cause, esperto di fundaraising per le piccole organizzazioni, invece non c’è dubbio che questi numeri siamo l’ennesimo segnale della confusione, della disinformazione e della fatica che sta facendo il non profit italiano, fatto in larghissima parte di piccole organizzazioni gestite solo da volontari. «Una riforma epocale, che apparentemente tutto il Terzo settore conosce, in realtà è ancora largamente sconosciuta. E anche dove c’era la volontà di essere compliant alla normativa, spesso l’affaticamento delle organizzazioni ha portato a compiere errori di forma, so di enti preparati e convinti della riforma a cui è stato chiesto di riscrivere per tre volte lo Statuto», racconta.
Quella di una riforma troppo complessa è però una «vulgata» per Luigi Bobba, presidente di Terzjus: «C’è chi ha agito come rete, penso alle Pro Loco, alle Acli, all’Associazione Nazionale delle Bande Italiane Musicali Autonome, agli oratori dell’Associazione Nazionale San Paolo Italia: hanno creato una piattaforma, hanno iniziato a muoversi nel 2018, ormai hanno iscritto tutte le loro realtà locali. Altri soggetti invece sono stati meno proattivi, scaricando gli oneri dell’adeguamento sulle singole sedi territoriali», racconta. Bobba ammette la necessità di alcune semplificazioni «possibili al 90% senza modifiche di legge», per correggere «eccessi che non sono nemmeno previsioni di legge» come la necessità della firma digitale per enti che hanno entrate inferiori ai 220mila euro o al contrario la possibilità di delegare l’aggiornamento dei dati a un professionista interno o esterno o a un CSV, analogamente a quel che accade per le aziende. «Anche il ritardo con cui sono stati pubblicati gli Statuti tipo da parte del Ministero ha sicuramente pesato, non ci si sarebbe sbizzarriti in testi fantasiosi e anche gli uffici regionali a quel punto avrebbero avuto un riferimento chiaro», dice. In effetti questi modelli standardi tipizzati di Statuto, previsti dalla Legge per agevolare sia gli enti in fase di iscrizione al Runts sia il lavoro degli Uffici regionali del Runts, sono arrivati solo a maggio 2023, dopo ben sei anni. Anche se il problema vero – conclude Bobba – «è la scarsa digitalizzazione del Terzo settore italiano, come d’altronde di tutto il Paese».
Intanto l’Agenzia delle Entrate fa sapere che la sua competenza «per il 2022 è limitata alle sole Onlus, iscritte alla relativa Anagrafe, il cui trend non ha subito alcuno scostamento di particolare rilevanza». Informazione che porta a pensare ad un impatto ancora più importante dell’iscrizione o meno degli enti al Runts.